Sostenibilità e rischio di impresa -Responsabilità e vantaggi derivanti dalla gestione integrata dei rischi e dall’adozione di comportamenti aziendali sostenibili
Indice
مقدمة
La responsabilità ambientale e sociale delle imprese
La L. Costituzionale n. 1/2022: l’ambiente diventa un bene costituzionalmente tutelato
Gli strumenti giuridici finalizzati a garantire il rispetto degli impegni di responsabilità sociale e ambientale: i sistemi di gestione integrati del rischio
Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili: l’inclusione dei rischi legati alla sostenibilità e il concetto di “successo sostenibile”
Responsabilità ambientale e sociale dell’impresa e Modelli di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001
La finanza sostenibile: gli investimenti ESG
الاعتبارات النهائية: i vantaggi per le imprese derivanti dall’adozione di pratiche di responsabilità sociale e ambientale
1. مقدمة
Le imprese, così come gli intermediari finanziari, si trovano oggi a dover affrontare una serie di inaspettate tipologie di rischio di difficile identificazione, quantificazione e prevenzione.
Basti penare, solo per citarne alcuni, ai rischi derivanti dall’emergenza sanitaria, climatica ed energetica.
L’attuale contesto sociale, في الواقع, – caratterizzato da una gamma di rischi mai sperimentati in precedenza – ha avuto un forte impatto sulle imprese, le quali sono state chiamate a rivedere i propri sistemi di governance e a dover ripensare a come orientare i propri investimenti al fine di tutelarsi da rischi inediti sempre più interconnessi, interdipendenti e imprevedibili.
Tale mutamento ha messo a dura prova i tradizionali sistemi di compliance aziendale, che quindi necessitano di essere rimodellati in chiave preventiva e su soluzioni integrate.
A questa nuova esigenza sembra rispondere il Legislatore, il quale – in primis attraverso la modifica dell’art. 2086 ج. – invita (e talvolta obbliga) gli imprenditori a propendere verso logiche volte all’implementazione di un modello di business strategico improntato all’aspetto ambientale- sociale e organizzato in un ottica preventiva del rischio: solo predisponendo strumenti di gestione dei rischi, في الواقع, essi si possono poi governare. Tale approccio implica che la nuova normalità sarà valutare un’impresa attraverso una pluralità di indicatori, tra cui il rispetto delle regole di responsabilità ambientale e sociale. Ciò sta accadendo tramite i c.d. “criteri ESG”, ovvero criteri di valutazione dell’impegno di un’azienda secondo tre dimensioni: ambientale, sociale e organizzativa (c.d. compliance aziendale). Le imprese con buone performance ESG, في الواقع, vengono premiate da investitori e consumatori.
L’attuale dibattito risulta oggi fortemente caratterizzato da un importante quesito: come gestire i nuovi rischi ESG e integrare il concetto di Sostenibilità nelle strategie di investimento?
La sfida di oggi è quella da una parte di convergere verso una integrata governance dei nuovi rischi da una parte e dall’altra quella di far emergere quanto una buona performance ESG sia proprio ciò di cui ha bisogno il nuovo business a lungo termine.
Per fare ciò, occorre, in primis, colmare il gap presente nelle “cultura del rischio”, aumentando la consapevolezza degli operatori economici del fatto che il risk management crea valore al business.
Il presente contributo, senza alcuna pretesa di esaustività, si svilupperà partendo dalla centralità che oggi le regole di responsabilità sociale e ambientale hanno assunto per le imprese, per poi delineare gli strumenti giuridici che le imprese possono/devono implementare per rispettare gli impegni di responsabilità ambientale e sociale (sistemi di gestione integrata, Modelli 231 e adeguati assetti organizzativi in un ottica di “sviluppo sostenibile”).
La trattazione proseguirà analizzando il tema degli investimenti sostenibili ESG che completano il quadro in tema di sostenibilità per poi esporre, infine, i vantaggi per le imprese (in particolare per le PMI che compongono la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano) derivanti dall’adozione di pratiche di responsabilità sociale e ambientale.
2. La centralità della questione ambiente per le aziende: la responsabilità ambientale e sociale delle imprese
Gli scandali finanziari verificatisi negli ultimi due decenni – quali, in primis, l’insostenibilità dei debiti sovrani e l’eccessiva esposizione al rischio di molte banche d’affari – hanno destabilizzato i sistemi economici occidentali determinando una profonda crisi sociale, che si è manifestata attraverso il calo occupazionale e il cambiamento dei consumi[1].
Parallelamente, negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha assunto dimensioni sempre più preoccupanti – alterando non soltanto l’ecosistema e la nostra salute, ma anche l’economia – tanto da assumere i connotati di una vera e propria crisi ambientale globale.
Il clamore che hanno suscitato tali eventi, unitamente all’attuale crisi energetica senza precedenti dagli anni settanta del secolo scorso – che ha trovato origine in primis nelle difficoltà che l’offerta di fonti fossili sta incontrando nel tenere il passo alla rapida impennata della domanda post crisi pandemica[2] – ha avuto come conseguenza l’impulso a considerare l’impresa sotto un profilo ancora poco sviluppato, ovvero quello etico e sociale.
Le aziende, infatti – consce del fatto che oggi la loro sopravvivenza e il loro successo sul mercato non dipendono più soltanto dalla massimizzazione del profitto, ma anche dall’assolvimento di impegni di natura sociale – hanno progressivamente reagito alle situazioni di crisi prestando particolare attenzione al concetto di sviluppo sostenibile, iniziando così a strutturare modelli di business che tengano conto dei temi sociali e ambientali.
Si è affiancato così al concetto “classico” di azienda, basato sui criteri tradizionali di economicità, protesi al raggiungimento di buone performance soltanto in termini di profitto, il concetto di sviluppo sostenibile, che ricomprende invece forme di crescita economica compatibili con l’ambiente e la salvaguardia delle risorse per le future generazioni.
In ordine temporale, la prima definizione di sviluppo sostenibile è stata quella proposta nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente (https://www.treccani.it/enciclopedia/ambiente) e lo sviluppo (https://www.treccani.it/enciclopedia/sviluppo) (Commissione Bruntland) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (https://www.treccani.it/enciclopedia/programma-delle-nazioni-unite-per-l-ambiente), secondo cui «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri».
Successivamente, quasi un decennio più tardi, l’International Council for Local Enviromental Initiatives, evidenzia la correlazione esistente fra la dimensione economica, ambientale e sociale nonché la necessità che ogni intervento di programmazione aziendale tenga conto delle reciproche interrelazioni tra tali elementi, definendo lo sviluppo sostenibile come «sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi».
Un ulteriore riferimento è poi costituito dal rapporto OCSE del 2008 sullo sviluppo sostenibile che ribadisce le tre dimensioni della sostenibilità: ecologia, equità, economia[3].
Lo sviluppo sostenibile diviene, dunque, uno standard di riferimento nella creazione e applicazione di principi e norme di diritto internazionale dell’economia.
A dimostrazione di ciò è opportuno segnalare l’adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile[4]. Si tratta di un documento di fondamentale importanza, in quanto stabilisce obiettivi universali «che mirano a eradicare la povertà, lottare contro le crescenti disparità e la discriminazione, promuovere la prosperità, la sostenibilità, la responsabilità ambientale, l’inclusione sociale, l’uguaglianza di genere e il rispetto dei diritti umani, garantendo la coesione economica, sociale e territoriale, rafforzando la pace e la sicurezza[5]».
Il mutamento del contesto culturale e sociale di riferimento, che ha reso necessaria un’attenzione da parte delle imprese alle tematiche ambientali e sociali, ha determinato così la nascita di una nuova “cultura di impresa” denominata Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) o Corporate Social Responsability (CSR).
Ecco che allora la dimensione prettamente “economica” dell’impresa, tesa alla massimizzazione del profitto, si cumula con la dimensione “sociale”, che non mira soltanto alla soddisfazione dell’interesse degli azionisti di maggioranza, ma anche al rispetto dei diritti dei lavoratori e della comunità, nonché alla tutela dell’ambiente (c.d. approccio Triple Bottom Line)[6].
In prima approssimazione, si può affermare che il concetto di Corporate Social Responsability, si traduce in una manifestazione di volontà delle grandi, piccole e medie imprese di adottare un comportamento socialmente responsabile nei confronti delle problematiche di impatto etico – sociale[7].
La RSI, dunque, è innanzitutto una scelta volontaria, di tipo etico: le regole sue proprie provengono in larga parte da fonti di soft law (raccomandazioni, principi, linee guida), quindi non vincolanti dal punto di vista giuridico, ma che svolgono una funzione di arricchimento e valorizzazione dell’attività di impresa, potendo contribuire in modo decisivo alla reputazione dell’azienda che decide di adottarle e quindi al suo successo sul mercato.
Alla Responsabilità Sociale di Impresa non viene attribuita una definizione universale; poiché si tratta di un concetto legato ai continui mutamenti della società e dell’ambiente, nel tempo si sviluppate diverse teorie sia a livello nazionale che internazionale.
Una definizione relativamente recente è quella secondo cui la Responsabilità Sociale si identificherebbe con «un modello di governance allargata dell’impresa, in base al quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder[8], che è valido per ogni tipo di impresa al di là della sua struttura di proprietà e controllo[9]».
In ambito europeo[10], fondamentale è il riferimento al Libro Verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese»[11], nel quale la RSI viene definita come «l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate».
Un’altra nozione di RSI è quella contenuta nella «Guida sulla Responsabilità Sociale delle organizzazioni» emessa nel novembre 2010 dall’International Organization of Standardization. In particolare, lo standard ISO 2600 costituisce uno standard internazionale che fornisce delle linee guida sulla Responsabilità Sociale delle Imprese e delle Organizzazioni e definisce la RSI come la «responsabilità di una organizzazione per gli impatti delle sue decisioni e delle sue attività sulla società e sull’ambiente, attraverso un comportamento etico e trasparente, أن: contribuisce allo sviluppo sostenibile, inclusa la salute e il benessere della società; tiene conto delle aspettative degli stakeholder; è in conformità con la legge applicabile e coerente con le norme internazionali di comportamento; è integrato in tutta l’organizzazione e messo in pratica nelle sue relazioni[12]».
Emergono così i due differenti ambiti applicativi delle regole sulla Responsabilità Sociale: da un lato l’attenzione delle imprese verso le problematiche sociali (con particolare riferimento all’approvvigionamento di capitali, alle risorse umane, a territorio e comunità locali), dall’altro la questione relativa alla tutela dell’ambiente.
Occorre evidenziare che l’attenzione alle problematiche ambientali – e, in particolare, agli aspetti relativi le potenzialità positive dell’impresa nei confronti dell’ambiente e alla mitigazione della loro attività produttiva sull’ecosistema – ha avuto minor credito rispetto a quella prestata già da tempo alle tematiche prettamente sociali, e ciò sia dal punto di vista della tutela istituzionale, nazionale e sovranazionale, che da quello della ricerca scientifica.
Basti pensare al fatto che inizialmente la tutela ambientale non era nemmeno considerata quale autonoma politica per le Istituzioni europee. All’interno del Trattato CEE, في الواقع, l’ambiente non era menzionato fra le politiche comunitarie, in quanto primarie erano le esigenze economiche relative all’abbattimento delle barriere commerciali all’interno del mercato interno europeo.
Di conseguenza, mancavano basi giuridiche per vincolare gli Stati membri a prevedere un sistema interno di norme e controlli in materia ambientale.
È soltanto con il Trattato di Amsterdam dell’ottobre del 1997 che la tutela dell’ambiente inizia ad assumere una valenza primaria nelle politiche comunitarie. Il Trattato, in particolare – prevedendo che «le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile[13]» – consacra il c.d. «Principio di integrazione» delle istanze ambientali nelle altre politiche europee.
Soltanto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel dicembre 2009, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea dedica un intero Titolo – il Titolo XX – alla tutela ambientale. In particolare, l’art. 191 TFUE statuisce che «la politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: – salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; – protezione della salute umana; – utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; – promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici»[14].
Anche in ambito internazionale la nascita di un vero e proprio “diritto dell’ambiente”- da proteggere come risorsa in sé e non solo in quanto funzionale alla fruizione da parte dell’uomo – è relativamente recente. Le tappe fondamentali di questo approccio, في الواقع, si sono snodate attraverso l’adozione di tutta una serie di atti internazionali che hanno trovato il loro fondamento nel sopra detto «Rapporto Brundtal» del 1983. Tale documento, menzionando la nozione di «sviluppo sostenibile», teorizza per la prima volta la possibilità di una cooperazione virtuosa tra impresa e ambiente[15].
Per quanto concerne il nostro Pese, l’interesse del Legislatore e della società verso le tematiche ambientali è sorto concretamente soltanto nell’ultima metà del secolo scorso.
Basti pensare che la nostra Carta Costituzionale, nella sua versione originaria, non contemplava l’ambiente quale bene oggetto di una specifica tutela e soltanto in tempi recentissimi – con la L. Costituzionale n. 1/2022 – l’ambiente è diventato un bene costituzionalmente tutelato[16]. A livello di legge ordinaria, anche il c.d. Codice dell’Ambiente (Decreto Legislativo n. 152 ال 3 أبريل 2006) è di recente introduzione[17].
Dalla breve ricostruzione esposta, emerge come oggi per le Istituzioni comunitarie, nazionali e internazionali, la tutela dell’ambiente sia divenuta di primaria importanza[18].
Nel corso degli ultimi anni, في الواقع, si è assistito ad un incremento della normativa a difesa dell’ecosistema, che ha inciso significativamente anche sulle normative comunitarie che interessano il settore imprenditoriale e industriale[19].
Tutto ciò testimonia come oggi la RSI in materia ambientale debba considerarsi parte integrante delle politiche nazionali ed europee per lo sviluppo sostenibile.
Si è già osservato come il «Triple Bottom Line» sia un approccio caratterizzato non solo dalla massimizzazione del profitto, ma anche dal rispetto, da parte dell’impresa, dei diritti dei lavoratori, della comunità e dell’ambiente.
La Commissione Europea ha definito il «Triplice approccio» come «la concezione secondo la quale le prestazioni globali di un’impresa devono essere misurate in funzione del suo contributo combinato alla prosperità, alla qualità dell’ambiente e al capitale sociale[20]».
In relazione all’aspetto della tutela ambientale, in particolare, tale approccio permette di integrare il concetto di sviluppo sostenibile nella valutazione delle performance ambientali, attraverso target e indicatori ambientali[21]. Ecco che allora la valutazione della sostenibilità avviene seguendo tre binari: quello economico, al quale si fa riferimento in relazione alla capacità dell’impresa di generare ricchezza; quello sociale, inteso quale comportamento responsabile dell’azienda nei confronti dei vari stakeholder e quello ambientale, nel senso di attenzione all’impatto ecologico dell’attività produttiva.
Sebbene l’obiettivo primario dell’impresa rimanga in ogni caso il conseguimento del massimo profitto, l’imprenditore oculato sarà colui il quale sceglierà di svolgere l’attività produttiva in linea con il «Triplice approccio»; in tal modo egli riuscirà a conseguire il massimo risultato economico impiegando strategicamente le regole di RSI quale strumento di valorizzazione e differenziazione della propria attività di impresa, anche nell’ottica del raggiungimento di ottimi risultati in termini di reputazione sul mercato.
Si è detto che la recente attenzione da parte della società e delle Istituzioni al bene ambiente e, in generale, al tema della sostenibilità ambientale ha condotto allo sviluppo di un articolato sistema normativo a livello internazionale, europeo e nazionale.
Di conseguenza, da un lato si è ritenuto necessario dare vita ad un insieme normativo cogente teso alla prevenzione e alla riparazione dei danni ambientali; آخر, nell’ambito della più ampia categoria della Responsabilità Sociale, ha iniziato a prendere forma una più specifica Responsabilità dell’impresa verso la tutela ambientale[22]: la c.d. Corporate Enviromental Responsability)[23].
In particolare, la Responsabilità Ambientale d’Impresa è un modello di business che considera il rispetto dell’ambiente come un fattore competitivo, fondamentale per conquistare nuovi mercati e orientare le strategia di innovazione e sviluppo dell’impresa. Essa comprende quell’insieme di azioni volontarie poste in essere dalle aziende dirette a conseguire obiettivi di minimizzazione dell’impatto ambientale nel corso della propria attività produttiva[24].
Grazie alla sempre maggiore attenzione che i consumatori ripongono nelle scelte di mercato “verdi”[25], le imprese stanno iniziando a prendere in seria considerazione una modalità di produzione sostenibile, prestando attenzione non soltanto a “quanto”, ma anche a “come” produrre. L’interesse generale, dunque, preme affinché la tutela ambientale divenga uno dei principali obiettivi della politica aziendalistica contemporanea.
Pertanto, oggi è quanto mai necessario che la classe imprenditoriale comprenda che l’adozione di comportamenti volontari responsabili nei confronti dell’ambiente comporta molteplici vantaggi per le imprese sotto il profilo economico. L’adozione di pratiche di Responsabilità Ambientale e, più in generale, di Responsabilità Sociale, solo apparentemente sacrifica la massimizzazione del profitto, poiché, in realtà, tale scelta getta le basi per un guadagno maggiore e di lungo periodo[26].
La modalità con cui le imprese possono rispondere alle esigenze di tutela ambientale della collettività senza sacrificare il profitto è l’adozione di nuovi modelli di business caratterizzati dall’inserimento della salvaguardia ecologica tra i principi cardine dell’attività produttiva[27].
In conclusione, se da un lato l’adozione delle regole di RSI è una scelta volontaria delle imprese, آخر, l’accresciuto interesse per le tematiche sociali e ambientali da parte della società civile e la presenza di standard nazionali e internazionali che di fatto si sono imposti nei mercati globali, tale scelta sta diventando in un certo senso “necessaria” per gli imprenditori contemporanei.
3. Legge Costituzionale n. 1/2022: l’ambiente diventa un bene costituzionalmente tutelato
ال 22 فبراير 2022 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge costituzionale n. 1/2022[28] أن, attraverso la modifica degli articoli 9 البريد 41 della Costituzione, sancisce definitivamente il riconoscimento da parte del Legislatore costituzionale dell’ambiente quale bene costituzionalmente tutelato.
Tale riforma riveste senza dubbio una portata dirompente, in quanto, per la prima volta dal 1948 viene apportata una modifica ad uno degli articoli della Costituzione inseriti tra i Principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (مقالات. 1-12).
Per comprendere appieno la porta innovativa di tale riforma, è necessario tenere presente che la Costituzione, nella sua formulazione originaria, non conteneva disposizioni espressamente tese alla tutela dell’ambiente. I concetti di «ambiente» ed «ecosistema» sono stati introdotti a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione in relazione al riparto di competenze tra Stato e Regioni; dunque, anche all’epoca nessun riferimento alla tutela ambientale in sé considerata.
Nonostante ciò, la dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno tentato di attribuire un fondamento costituzionale alla tutela ambientale facendo ricorso ad altre disposizioni costituzionali.
In particolare, la Corte costituzionale ha utilizzato come base d’appoggio dapprima lo stesso articolo 9 della Costituzione, أن, nella sua versione ante riforma, individuava al secondo comma, tra i compiti assegnati alla Repubblica, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione. Orbene, la nozione di «paesaggio» è stata soggetta ad una interpretazione estensiva da parte della Corte costituzionale, includendo anche la tutela ambientale[29].
Tale interpretazione, tuttavia, aveva il limite di non offrire una copertura costituzionale a fenomeni che, pur non rientrando nella nozione di paesaggio inteso quale «forma del territorio e dell’ambiente», impattavano comunque sull’ambiente (si pensi, a titolo esemplificativo, alle emissioni in atmosfera). La giurisprudenza, dunque, ha ricercato fondamenti costituzionali ulteriori per fornire copertura anche a tali fenomeni. Ciò è stato fatto tramite il riferimento all’art. 32 della Costituzione inerente la tutela della salute. Dunque, a partire dalla storica sentenza della Corte costituzionale n. 210/1987 [30] il diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione è stato interpretato quale diritto dei consociati ad un ambiente salubre.
Infine, secondo la Corte costituzionale, tra i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale imposti dall’articolo 2 della Costituzione, rientrerebbero anche quelli di solidarietà ambientale. In tal modo la giurisprudenza è riuscita in ogni caso a garantire la copertura costituzionale a tutti i casi che non rientravano nell’ambito di applicazione degli articoli 9 البريد 32 della Costituzione.
Orbene, la legge costituzionale incide innanzitutto sull’art. 9 della Costituzione, introducendo tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Il nuovo articolo stabilisce, inoltre, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali[31].
La riforma è intervenuta altresì sull’art. 41 Cost. – inserito tra le previsioni della c.d. Costituzione economica – il quale, nella sua nuova formulazione, dispone che «l’iniziativa economica privata è libera» e «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». L’articolo prevede inoltre che sia la legge a determinare «i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
La legge costituzionale, dunque, introduce due ulteriori limiti alla libertà di iniziativa economica privata, la quale non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente, oltre che con l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana. In sostanza, la nuova previsione consente al legislatore di imporre ai privati una internalizzazione delle esigenze ambientali nel contesto della loro attività di impresa modificando in tal modo l’idea stessa di attività economica privata[32].
Ad oggi, da un lato l’articolo 9 della Costituzione non tutela più soltanto il paesaggio, ma altresì l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi; dall’altro l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente.
Il Legislatore, dunque, ha sostanzialmente riscritto i rapporti tra ambiente, proprietà privata e libertà di impresa attribuendo centralità alle questioni ambientali.
La tutela ambientale diventa un bene costituzionalmente tutelato e, على هذا النحو, bilanciabile con gli altri interessi tutelati dalla Carta fondamentale. In particolare, oggi, la tutela della libera iniziativa economica deve essere in ogni caso bilanciata con il principio fondamentale della tutela dell’ambiente di cui al novellato articolo 9 della Costituzione.
Grazie alla novella – che ha cristallizzato gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale sul punto – la tutela dell’ambiente assume formalmente un peso notevole (in quanto inserita tra i principi fondamentali) nel bilanciamento con altri interessi costituzionalmente tutelati.
Essenziale, inoltre, è il richiamo operato dall’articolo 9 فاصلة 3 alle future generazioni. Tale riferimento, في الواقع, rende la tutela ambientale un principio intergenerazionale, in linea sia con quanto previsto da altre Carte costituzionali europee, sia dal principio dello sviluppo sostenibile, riconosciuto a livello nazionale, europeo e internazionale, che – secondo la definizione del Rapporto Bruntland – impone il perseguimento di uno sviluppo che garantisca i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri[33].
4. Gli strumenti finalizzati a garantire il rispetto degli impegni di responsabilità ambientale: i sistemi di gestione e i sistemi di gestione integrati del rischio.
Oltre ai modelli di organizzazione e gestione che verranno esaminati nel prosieguo della trattazione, vi sono anche altri strumenti di regolamentazione e organizzazione dell’attività aziendale.
Sono i c.d. sistemi di gestione, ovvero un insieme di regole e procedure definite in una norma internazionale (c.d. standard internazionali) che un’azienda o un’organizzazione può adottare volontariamente[34], utili a perseguire l’obiettivo di un miglioramento continuo dell’impatto ecologico dell’attività di impresa.
In sostanza, si tratta di un corpus di norme elaborate a livello internazionale, pensate per regolamentare alcuni aspetti dell’attività aziendale al fine di garantire che questa si attenga ai principi di responsabilità sociale. In particolare, gli standard internazionali stabiliscono soglie minime da rispettare e offrono indicazioni per una gestione corretta di particolari aree o funzioni e impegnano l’azienda a rispettarle[35].
Vi sono differenti tipologie di sistemi di gestione in base al settore di interesse. In particolare, per il settore Qualità si individua la norma internazionale UNI EN ISO 9001; per l’ambito Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro è previsto lo standard UNI ISO 45001[36]; in relazione alla Responsabilità sociale dell’impresa si individua il sistema di norme SA8000; per il settore energia UNI CEI EN ISO 50001; per la Sicurezza delle informazioni, cybersecurity e protezione della privacy ISO/IEC 27002; per la Sicurezza alimentare ISO 22000.
Per il settore che qui maggiormente interessa, invece, il riferimento è ai c.d. sistemi di gestione ambientale (SGA) redatti uniformemente allo standard internazionale UNI EN ISO 14001[37], ovvero conformemente al Regolamento europeo EMAS (Economanagement and Audit Scheme)[38].
Il sistema ISO 14001 attesta la conformità di una azienda alla norma internazionale UNI EN ISO 14001 che specifica i requisiti dell’organizzazione aziendale volti a migliorare le prestazioni ambientali, adempiere agli obblighi di conformità e raggiungere i propri obiettivi ambientali.
In particolare, tale norma – «destinata all’utilizzo da parte di un’organizzazione che cerca di gestire le proprie responsabilità ambientali in un modo sistematico, che contribuisca al pilastro ambientale della sostenibilità» – definisce il sistema di gestione ambientale come «parte del sistema di gestione utilizzata per gestire aspetti ambientali, adempiere gli obblighi di conformità e affrontare rischi e opportunità».
Analogamente, il citato regolamento EMAS, descrive il sistema di gestione ambientale come «la parte del sistema complessivo di gestione comprendente la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le pratiche, le procedure, i processi e le risorse per sviluppare, mettere in atto, realizzare, riesaminare e mantenere la politica ambientale e per gestire gli aspetti ambientali»[39].
Laddove un’organizzazione intenda uniformarsi a tale standard, deve adottare alcune precise procedure che trovano attuazione attraverso una serie di fasi che si ripercorrono di seguito per sommi capi[40].
La prima fase prevede la redazione della c.d. politica ambientale, che consiste in un documento programmatico con cui l’ente si fa carico di una mission consistente nel rispetto della normativa ambientale e nel raggiungimento di obiettivi di miglioramento dell’impatto della propria attività sull’ecosistema.
Terminato tale adempimento, la ISO 14001 prescrive il compimento di un’attività di pianificazione nell’ambito della quale l’ente è tenuto ad identificare gli aspetti ambientali significativi dell’organizzazione, stabilendo attraverso una sorta di mappatura dei rischi, quali siano le attività o i processi che possano impattare negativamente sull’ecosistema. Una volta mappati gli aspetti ambientali significativi, l’ente deve poi procedere alla identificazione e all’adempimento degli obblighi giuridici che incombono sull’organizzazione (ad es. provvedimenti autorizzativi, leggi nazionali, etc.).
Occorre quindi procedere alla fase di attuazione. L’ente deve definire ruoli, autorità, responsabilità e destinare risorse relative al sistema di gestione ambientale, anche mediante l’individuazione del responsabile della gestione ambientale (RGA); definire, attuare e mantenere specifiche procedure affinché tutte le funzioni operino nel rispetto dei principi della politica ambientale; definire procedure per il riesame, la modifica e l’aggiornamento del sistema; provvedere alla formazione del personale in relazione alle problematiche ambientali inerenti ai rispettivi settori di attività.
Infine, una corretta attuazione del sistema di gestione presuppone la sottoposizione allo stesso ad un regime di verifica al fine di valutare eventuali carenze o non conformità di comportamenti al sistema stesso.
Tale fase prevede azioni di monitoraggio, la definizione di un sistema per la valutazione e il rispetto delle prescrizioni, la definizione di procedure con cui affrontare le non conformità al sistema e lo svolgimento di audit interni.
L’attività di audit ha come obiettivo quello di operare una valutazione periodica e documentata del sistema di gestione ambientale e dei processi da esso previsti, nonché di valutare la conformità delle procedure alla politica ambientale.
In base alla documentazione di audit interno, la direzione può procedere a riesaminare il sistema di gestione, valutando l’opportunità di una eventuale modifica degli obiettivi, della politica ambientale, delle procedure e, in generale, di tutto il sistema di gestione nel suo complesso.
Una volta attuate le predette fasi e una volta poste in essere eventuali azioni correttive, l’ente può richiedere la certificazione ISO 14001 o avviare la procedura di registrazione EMAS. في الواقع, tutte le fasi e le procedure descritte per la certificazione ISO 14001 sono prescritte anche per l’adozione di un sistema di gestione ambientale ispirato al regolamento europeo EMAS[41].
Gli standard internazionali possono applicarsi in modo integrato, dando luogo ad un sistema di gestione integrato. Quest’ultimo, فقط, può definirsi come un modello di gestione che nasce dall’integrazione di due o più standard internazionali tra quelli sopra menzionati (Qualità, Ambiente, Energia, Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, etc.).
Nonostante tutti i sistemi siano integrabili in un unico modello gestionale, storicamente l’integrazione a interessato soprattutto gli standard per la Qualità (ISO 9001), l’Ambiente (ISO 14001) e la Salute e sicurezza sul lavoro (UNI ISO 45001).
Grazie all’integrazione dei sistemi di gestione, le aziende possono godere di un sistema di gestione integrato che consente loro di migliorare non solo la loro reputazione all’esterno, dunque agli occhi di consumatori e fornitori, ma altresì di migliorare i processi interni di produzione.
Naturalmente, l’implementazione di un sistema di gestione e di un sistema di gestione integrato rappresenta un costo per l’azienda, soprattutto se si tratta di una realtà produttiva di piccole o medie dimensioni.
Se, على جانب واحد, per le PMI – quali la maggior parte delle aziende italiane – tali sistemi possono risultare economicamente difficili da attuare, dall’altro il controllo di gestione rappresenta uno strumento indispensabile alle PMI per competere in un mercato globale sempre più competitivo e orientato allo sviluppo sostenibile.
La strada da percorrere, dunque, sembra essere proprio quella che si pone nella direzione di incentivare le PMI ad adottare sistemi di gestione, in quanto ad oggi imprescindibili per lo sviluppo, la crescita e talvolta la sopravvivenza dell’impresa[42].
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5. Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili: l’inclusione dei rischi legati alla sostenibilità e il concetto di “successo sostenibile”. Una possibile integrazione con i Modelli Organizzativi ex D.Lgs. 231/2001?
In una società, come quella attuale, in cui la dimensione del rischio pervade ogni ambito di attività, le imprese sono state chiamate a rivedere i propri sistemi di governance per tutelarsi dalle molteplici tipologie di rischi presenti nella nostra società contemporanea (basti pensare, ad esempio, all’emergenza Covid -19 e al cambiamento climatico). Tale nuovo contesto ha messo a dura prova i sistemi tradizionali di Corporate Compliance, i quali sono stati rimodulati su soluzioni integrate.
Solo una gestione integrata dei rischi, في الواقع, può offrire una adeguata interconnessione tra procedure, principi, organi di controllo e flussi informativi idonea alla corretta gestione dei rischi in un ottica di continuità aziendale.
Tale approccio, come noto, è ritenuto fondamentale dalle stesse Linee Guida di Confindustria, secondo le quali, sebbene la gestione degli obblighi di compliance possa implicare l’adozione di una pluralità di processi, il passaggio ad una compliance integrata risulta necessaria per orientale le imprese all’adozione di un complesso davvero efficace di misure organizzative, procedure e protocolli volti a governare i vari rischi aziendali prevenendo la crisi di impresa.
Proprio a questa esigenza sembra rispondere la novella introdotta dal D.lgs. 14/2019, che ha introdotto il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
كما هو معروف, l’art. 375 فاصلة 1 c.c.i.[43], sostituisce la rubrica dell’art. 2086 ج. con la seguente: «Gestione dell’impresa».
La novella riflette l’intenzione del Legislatore di facilitare la rilevazione tempestiva della crisi di impresa e di incentivare le azioni necessarie a tutelare la continuità aziendale.
In particolare, il c.c.i. introduce il secondo comma dell’art. 2086 ج. che prevede l’obbligo, in capo all’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva, di implementare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili in relazione alle dimensioni dell’azienda e alla natura e alla complessità dell’attività svolta.[44]
Lo scopo del «principio di adeguatezza» consacrato dalla norma, è dunque quello di garantire la tempestiva rilevazione dei segnali di difficoltà aziendale, assicurando l’emersione anticipata delle situazioni di crisi – ovvero degli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario ex 13 c.c.i. – al fine di adottare uno degli strumenti previsti dal Codice per il superamento della crisi in un ottica di continuità aziendale.
Per la verità, tale obbligo non si riferisce testualmente ad ogni imprenditore: la previsione normativa, في الواقع, non allude all’imprenditore individuale, ma solo a quello collettivo (società o altro ente). Ciò, tuttavia, non significa che il primo non sia tenuto a conformarsi al principio di adeguatezza: il motivo, con ogni probabilità, risiede nel fatto che le imprese individuali generalmente sono incentrate sulla persona dell’imprenditore stesso e, dunque, sono caratterizzate da una struttura organizzativa generalmente poco complessa. In ogni caso, essendo quello di adeguatezza un principio di portata generale, deve ritenersi che, qualora l’impresa, seppure riferibile ad una persona fisica, presenti una certa complessità, anche l’imprenditore individuale ha l’obbligo di istituire un assetto adeguato della struttura societaria[45].
In questo senso muove anche l’art. 3 c.c.i., rubricato «Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa», nel quale è fornito esplicito riferimento all’imprenditore individuale che «deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie a farvi fronte». La formulazione della norma rende secondario il riferimento alla forma giuridica e alle dimensioni per rendere applicabili le condotte virtuose di buona gestione che consentono la prevenzione delle situazioni di crisi[46].
Il dovere introdotto con il novellato art. 2086 شارك. 2 ج. è poi richiamato, ad opera dall’art. 377 c.c.i., in tutti le tipologie societarie (مقالات. 2257, 2380-إلى, 2409-nonies e 2475 c.c.) attribuendo l’implementazione degli assetti organizzativi alla competenza dei singoli amministratori o dell’organo amministrativo[47].
L’estensione dell’obbligo di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili a tutti gli imprenditori operanti in forma societaria e collettiva, attraendoli ai doveri originariamente previsti soltanto per le società per azioni, mette in luce chiaramente la volontà del Legislatore di rispondere all’esigenza imminente di una crescita culturale da provocare ai diversi livelli della struttura organizzativa delle imprese, in particolare di quelle di piccole e medie dimensioni, favorendo la rimozione o comunque la riduzione di alcuni fattori critici quali il sottodimensionamento, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi e l’assenza di monitoraggio e pianificazione[48].
Orbene, l’adeguatezza è richiesta per l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile. Per quanto riguarda il primo, si intende «l’insieme delle regole e delle procedure finalizzate a garantire la corretta attribuzione del potere decisionale in relazione alle capacità e responsabilità dei singoli soggetti. Ad ogni funzione aziendale investita da responsabilità deve corrispondere la competenza necessaria e sufficiente ad assumere correttamente le decisioni in funzione del grado di potere di cui dispone. L’adeguatezza dell’assetto richiede che la struttura organizzativa risulti correttamente formalizzata»[49].
Dal punto di vista operativo, occorre, in primis, procedere all’articolazione della struttura organizzativa in unità produttive, per poi procedere all’identificazione delle singole funzioni, all’assegnazione delle responsabilità e all’individuazione delle relazioni tra i vari organi.
Strumento fondamentale per la rappresentazione dell’organizzazione gerarchica dell’ente – la cui validità è data dal grado di dettaglio e completezza – è l’organigramma aziendale. Esso, في الواقع, rappresenta l’allocazione delle responsabilità organizzative delle unità operative, evidenziando ruoli, i legami funzionali e gerarchici, la divisione dei compiti e le responsabilità dei soggetti inseriti nell’organico aziendale.
L’adozione di un idoneo assetto organizzativo, corredato dal corretto svolgimento dei controlli interni e della gestione dei rischi, è funzionale alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale, con conseguente adozione degli strumenti posti dall’ordinamento per rimediare a tali situazioni.
Gli standard di riferimento per la disciplina dei sistemi di gestione – quali ISO 9001 (Sistema per la gestione della qualità); ISO 14001 (Sistema di gestione ambientale) ect. – hanno reso centrale il c.d. Risk Based Thinking. Si è visto, في الواقع, che tali strumenti assegnano un ruolo fondamentale non solo alla pianificazione e all’attuazione dei processi necessari a garantire il raggiungimento di determinati livelli di compliance normativamente imposti, ma altresì alla predisposizione di procedure specifiche di verifica, volti alla misurazione dei processi stessi.
L’assetto amministrativo – contabile si può invece definire come «l’insieme di tutte le procedure e direttive poste in essere allo scopo di produrre un’informativa societaria di matrice economica, finanziaria e patrimoniale che sia completa, tempestiva e attendibile. L’appropriata adozione di un assetto di siffatta natura permette la precisa rilevazione contabile che, si fini dell’approccio forward -looking richiesto dalla nuova normativa, dovrà essere sostenuta anche dalle informazioni che derivano da un adeguato sistema di controllo di gestione»[50].
In sostanza, l’adeguatezza degli assetti richiede di assicurare che i fattori di produzione disponibili siano congrui rispetto al programma che l’imprenditore intende svolgere; che il procedimento decisionale interno all’impresa sia coerente in relazione alla complessità dell’iniziativa imprenditoriale; che i centri decisionali siano sorretti da un sistema informativo che sia idoneo a mettere nelle condizioni di assumere decisioni ponderate; che il sistema informativo sia in grado di rilevare segnali di crisi mettendo gli amministratori nelle condizioni di attivare tempestivamente gli strumenti offerti dall’ordinamento per affrontare tali situazioni. Il principio di fondo di tutto l’impianto del nuovo Codice della Crisi è proprio che la pronta e tempestiva attivazione di strumenti appropriati favorisce la possibilità di superare la crisi, consentendo il ripristino del normale svolgimento dell’impresa, evitando la necessità di una sua cessazione.
Il Legislatore, con il nuovo c.c.i. – che impone all’imprenditore l’adozione di assetti organizzativi aventi la funzione di prevenzione della crisi e dell’insolvenza – adotta un approccio in chiave preventiva, analogo a quello che impronta la disciplina di cui al D.lgs. 231/2001.
In questo senso – posto che gli assetti, se adottati efficacemente ed adeguati, aiuteranno l’impresa a rilevare tempestivamente eventuali carenze e adottare le misure correttive più adeguate – l’assetto organizzativo che venga adottato, aggiornato, implementato e diffuso all’interno dell’azienda, potrà assurgere a Modello Organizzativo.
Nel rinnovato contesto organizzativo, il Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.Lgs. 231/2001 diviene uno strumento necessario non solo per prevenire la commissione dei reati e scriminare l’ente da una possibile responsabilità, ma anche per evitarne la crisi e la cessazione. Ed infatti, l’adozione di un Modello Organizzativo può fungere da base d’appoggio per la costruzione di un adeguato assetto aziendale funzionale alla prevenzione e all’adeguata gestione di una eventuale crisi. Del resto, è frequente che in un contesto di crisi, l’ente sia maggiormente esposto al rischio di commissione di uno dei reati di rilevanza 231, così come è stato riscontrato che nei contesti aziendali caratterizzati da una prassi di costante violazione del Modello 231, sia maggiore il rischio di verificazione di situazioni di squilibrio economico – finanziario.
Il rapporto tra assetti organizzativi e Modelli Organizzativi è dunque sinergico (seppure non perfettamente coincidente): da un lato i protocolli e le procedure previste dal Modello forniscono una base d’appoggio per i contenuti degli assetti e forniscono risposte organizzative per adempiere agli obblighi di cui all’art. 2086 فاصلة 2 c.c.; dall’altro lato, un efficace Modello Organizzativo non può prescindere da un adeguato assetto organizzativo e gli adempimenti imposti dall’art. 2086 ج. sostengono le imprese a prevenire i reati di rilevanza 231, ad esempio i reati societario, tra cui proprio l’impedito controllo (nota??).
D’altronde un imprenditore che ad oltre vent’anni dall’entrata in vigore del D.lgs. 231/2001 non abbia ancora adottato un Modello organizzativo finalizzato alla prevenzione dei reati e non ha introdotto in azienda protocolli e procedure volte alla prevenzione del rischio, come potrà convincere l’autorità giudiziaria dell’adeguatezza degli assetti organizzativi in ipotesi di crisi?
E’ evidente che un’organizzazione che abbia adottato strumenti di risk approach per la prevenzione dei reati, sarà già pronta ad estendere la metodologia organizzativa aziendale anche alla prevenzione dalla crisi di impresa.
La creazione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, proprio come l’implementazione di un Modello di Organizzazione e Gestione implica la necessità per l’imprenditore di analizzare in concreto il proprio contesto aziendale, operare una valutazione del rischio, identificare i soggetti apicali, i preposti ed i rispettivi ruoli all’interno dei sistemi di gestione, nonché definire il sistema delle deleghe.
Utili ai fini della definizione dell’assetto organizzativo, inclusivo del sistema di controllo interno e di quello di gestione dei rischi aziendali, sono le best practices contenute nel Codice di Corporate Governance per le società quotate, pubblicato dal Comitato per la Corporate Governance [51].
In particolare, all’art. 1, il Codice prevede tra i compiti dell’organo di amministrazione, quello di definire «il sistema di governo societario della società e la struttura del gruppo ad essa facente capo e valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e delle controllate aventi rilevanza strategica, con particolare riferimento al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi». Pertanto, il riferimento al sistema di controllo interno e a quello di gestione dei rischi, portano a considerare adeguato l’assetto in presenza della puntuale individuazione dei principali fattori di rischio aziendale e delle conseguenti attività di buona gestione e monitoraggio.
Il richiamo alla funzione del sistema dei controlli interni e di gestione dei rischi è presente anche nell’art. 6, principio XVIII, che definisce tale sistema come «l’insieme delle regole, procedure e strutture organizzative finalizzate ad una effettiva ed efficace identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, al fine di contribuire al successo sostenibile della società», quest’ultimo inteso quale «obiettivo che guida l’azione dell’organo amministrativo e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholders rilevanti per la società».
Il concetto di «successo sostenibile» è proprio il centro nevralgico della novella del 2020. Esso diventa il cardine del nuovo sistema di autodisciplina che testimonia il grado di crescente attenzione che le società quotate devono riservare alla individuazione di strategie indirizzate alla sostenibilità dell’attività svolta.
Più in generale, si può affermare che il parametro del successo sostenibile diventa il cardine di un nuovo modo di fare impresa: per garantire il mantenimento e il rafforzamento della capacità dell’impresa di creare valore per gli azionisti e per gli stakeholders e la ricerca del successo sostenibile dell’attività svolta, diviene sempre più necessaria l’adozione di procedure specifiche per il contenimento del rischio.
Anche nel Codice della Crisi si rinvengono elementi del diritto d’impresa sostenibile e il novellato art. 2086 ج. ne è un chiaro esempio. La continuità aziendale, nella sua accezione di dovere di improntare la gestione dell’impresa ad un equilibrio economico – finanziario di lungo termine, implica la necessità di approntare sistemi di rilevazione periodica dell’andamento della gestione e della profilatura dei rischi.
Il «business sostenibile», في الواقع, comporta un dovere organizzativo e di pianificazione: la gestione diligente dell’azienda è quella organizzata in modo tale da prevenire l’emersione della crisi mediante l’implementazione di procedure da adottare in determinate situazioni che possono avere un impatto negativo sull’andamento economico.
Sostenibilità, dunque, implica la gestione dei rischi mediante la programmazione della situazione della crisi di impresa, che si attua attraverso l’individuazione di funzioni e soggetti titolari di determinati compiti e redazione di codici di condotta da adottare nella fase di emersione della crisi (nota).
Tale gestione dei rischi, oggi, deve necessariamente adottare soluzioni integrate in un’ottica preventiva, volta alla salvaguardia della continuità aziendale, in grado di generale profitti a lungo termine: una gestione, dunque, orientata al successo sostenibile dell’impresa.
6. Responsabilità ambientale e sociale dell’impresa e Modelli di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001
Tra gli strumenti giuridici utili a garantire la vincolatività degli impegni assunti volontariamente dall’impresa in ambito sociale e ambientale, vi sono senz’altro i Modelli di Organizzazione e Gestione previsti dal D.lgs. 8 يونيو 2001 ن. 231.
Su impulso del legislatore comunitario, ciascuno Stato membro ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per la commissione di illeciti dipendenti da reato.
Il nostro legislatore, ha provveduto con il D.lgs. 231/2001, il quale prevede uno strumento innovativo in grado di prevenire la commissione di talune tipologie di reato tassativamente previste dal decreto stesso[52].
In particolare, la riforma – introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento una responsabilità penale delle persone giuridiche – permette di punire non solo la persona fisica autrice materiale dell’illecito penale, ma anche le persone giuridiche allorquando tali reati siano stati commessi nel loro interesse o vantaggio[53].
La finalità della riforma è duplice: da un lato scongiurare il rischio di commissione di determinati reati nei settori di attività in cui opera l’ente; dall’altro rendere il più possibile trasparente l’azione delle società a vantaggio anche della loro immagine. Lo strumento introdotto dal legislatore, في الواقع, offre l’opportunità alle imprese non solo di fornire adeguate garanzie in relazione alla commissione di reati societari agli investimenti dei soci e degli azionisti, ma anche di aumentare il vantaggio competitivo della società basando la politica aziendale sui principi etici.
مقالة 1 del D.lgs. 231/2001 delinea l’ambito di applicazione delle disposizioni ivi previste. In particolare, destinatari del Decreto sono gli enti forniti di responsabilità giuridica e società (anche unipersonali) e associazioni anche prive di personalità giuridica[54]. Sono invece esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
I soggetti la cui condotta penalmente rilevante può far scattare la responsabilità penale dell’ente (i c.d. soggetti interessati) sono indicati all’art.5 comma 1 del Decreto. Si tratta delle persone che si pongono in posizione apicale della struttura societaria (ovvero che hanno funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa finanziariamente e funzionalmente autonoma) e di quelle che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente, nonché delle persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra menzionati[55].
La normativa richiede che l’ente si doti di un modello di organizzazione e gestione che – attraverso la predisposizione e l’attuazione di protocolli e procedure – attui soluzioni preventive rispetto alla commissione di talune tipologie di reato (c.d. reati presupposto).
In questo senso, l’ente sarà chiamato a rispondere non di un reato estraneo al suo agire, ma della propria condotta negligente e inidonea a prevenirlo. In sostanza, ciò che viene imputato all’ente è un difetto organizzativo, un’inerzia nel predisporre adeguate misure idonee a prevenire reati nell’ambito della propria attività, che si aggiunge, a titolo di responsabilità soggettiva, a quella personale dell’autore materiale del fatto di reato.
Un importante limite al rischio di una responsabilità indiscriminata degli enti è rappresentato dal fatto che la società è sanzionabile soltanto nel caso in cui abbia omesso di attivarsi preventivamente mediante la predisposizione e l’efficace attuazione di un Modello di Organizzazione e Gestione idoneo a scongiurare il pericolo di commissione di uno dei reati presupposto.
In altre parole, secondo quanto previsto dall’art. 6 del Decreto, l’ente non risponde penalmente del reato commesso dalla persona fisica se ha adottato e attuato un Modello di Organizzazione e Gestione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello commesso.
Alla luce di quanto esposto, dunque, dal combinato disposto degli artt. 2392 ج. (in tema di responsabilità degli amministratori) البريد 6 D.lgs. 231/2001 (relativo all’adozione dei MOG da parte delle società), si evince che l’unico modo per gli amministratori di evitare la responsabilità civile per i danni cagionati alla società e quella penale per omesso impedimento di reati è quello di adottare e attuare efficacemente un Modello di Organizzazione e Gestione.
Come detto, il MOG, per assolvere alla propria funzione scriminante, deve superare il vaglio di idoneità operato da un pubblico ministero prima e da un giudice penale dopo. Affinché ciò si verifichi, esso deve anzitutto prevedere la c.d. mappatura dei rischi, ovvero individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati e implementare specifici protocolli diretti ad orientare l’attività e le decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire. È proprio questo il cuore pulsante della costruzione del compliance program, ovvero la messa in pratica di tutte le attività di risk assessement e di risk management consistenti nella valutazione del rischio di commissione dei «reati presupposto» cui l’ente è esposto e nella individuazione, nei singoli protocolli di gestione, delle misure organizzative ed operative da adottare nell’ambito dell’attività dell’ente per mitigare tali rischi.
Nell’ambito delle attività di valutazione e gestione concreta del rischio-reato cui l’ente è esposto, dovranno essere valutati, in particolare, la tipologia di mercato e business di cui si tratta per identificare la tipologia di rischi connessi all’attività svolta dall’ente.
Deve inoltre elaborare modalità di gestione delle finanze, sempre nell’ottica di prevenzione dei reati; assicurare l’operatività di un obbligo di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza e prevedere un Codice Etico. Si tratta di un documento che esprime i principi, i valori e le regole comportamentali a cui devono attenersi tutti i «portatori di interessi», ovvero dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica amministrazione e azionisti, i quali sono tenuti ad una condotta improntata alla legalità e alla trasparenza delle procedure.
La vincolatività del Codice Etico deve essere garantita da un sistema disciplinare interno all’ente con la funzione di sanzionare adeguatamente i comportamenti difformi dai protocolli e dalle procedure previste dal MOG.
Al fine di conferire piena efficacia ai modelli organizzativi, la legge impone che all’interno di ogni società sia costituito un organismo con autonomia funzionale, c.d. «Organismo di Vigilanza», con il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza delle procedure previste dal Modello. In particolare, l’ODV è titolare di obblighi informativi nei confronti del Consiglio di Amministrazione, con il compito di segnalare eventuali deficienze del Modello, nonché di aggiornarlo in seguito a modifiche organizzative e normative.
All’uopo, i modelli organizzativi devono prevedere efficaci flussi informativi sistematici e cadenzati nei confronti dell’Odv.
Con una organizzazione di questo tipo, le persone fisiche potranno commettere reati soltanto eludendo fraudolentemente il modello 231 e in tale ipotesi, avendo l’ente posto in essere tutte le prescrizioni previste dalla legge volte alla gestione trasparente dell’impresa, non potrà essergli imputata alcuna responsabilità in relazione all’illecito commesso. Il tutto dimostrando sempre che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di vigilanza.
Per quanto riguarda l’impianto sanzionatorio, وLD. 231/2001 espone l’ente alle sanzioni afflittive previste dalla Sezione II del decreto in questione (مقالات. 9 e ss.). Si tratta di sanzioni pecuniarie e/o interdittive, oltre alla confisca e alla pubblicazione della sentenza. Si segnala che la sanzione pecuniaria e la confisca sono obbligatorie, nel senso che in caso di condanna devono venire sempre irrogate.
Si è detto che soltanto taluni reati, se commessi dai soggetti di cui all’art. 5 del decreto, possono fungere da presupposto per la responsabilità dell’ente.
A tal proposito, il decreto prevede un elenco tassativo di reati c.d. «presupposto» in continua evoluzione e ampliamento.
I principali reati previsti sono quelli commessi a danno delle Pubbliche Amministrazioni: si tratta, a titolo esemplificativo, di illeciti quali la malversazione ai danni dello Stato, l’indebita percezione di erogazioni ai danno dello Stato, la truffa (anche quella aggravata dalla finalità di conseguire erogazioni pubbliche), concussione, corruzione, abuso d’ufficio, etc..
Vi sono poi i reati legati ad eversione e terrorismo, delitti di criminalità organizzata, delitti contro la persona, falsificazione di monete, reati transnazionali, delitti contro l’industria e il commercio, reati societari, abusi di mercato, omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, delitti in materia di violazione del diritto d’autore, ricettazione, riciclaggio, reati tributari e reati ambientali.
In particolare, in tema di reati ambientali, si segnala che soltanto in seguito all’emanazione del d.lgs. 7 تموز 2011 ن. 12 il quale – aggiungendo al catalogo dei reati presupposto l’art. 25-undecies – ha esteso la responsabilità da reato degli enti collettivi anche ad alcuni reati ambientali[56], le sanzioni pecuniarie e interdittive sono state estese agli enti anche in relazione ai reati ambientali commessi nel loro interesse o vantaggio.
In relazione al settore ambientale, l’implementazione della c.d. Parte speciale del modello risente del saldo ancoraggio alla disciplina amministrativa settoriale e del rilievo investito dai sistemi di gestione ambientale.
In primo luogo, nella costruzione dei protocolli di gestione del rischio reato previsti dalla normativa 231/2001, assume primario rilievo la conformità dell’organizzazione dell’ente alla normativa amministrativa di settore. Ciò significa che tutti i protocolli, le procedure e le misure di prevenzione predisposte dall’ente nel modello di Organizzazione e Gestione devono essere finalizzate ad accertare che l’ente – mediante il rispetto delle norme amministrative ambientali – l’ente non superi il livello di rischio consentito legato alla propria attività ambientale.
Tutto l’impianto normativo previsto dal D.lgs. 231/2001 è conforme ai canoni previsti dalle regole di Responsabilità sociale e ambientale delle imprese, in quanto è legato al tipo di attività svolta dall’ente e alle sue dimensioni.
A tal riguardo, peraltro, l’ente può giovarsi dei menzionati sistemi standardizzati di gestione ambientale (ISO 14001 e Regolamento EMAS)[57] i cui contenuti in punto di generale impatto sull’ambiente dell’attività di impresa garantiscono un punto di generale impatto ambientale dell’attività di impresa, garantiscono un punto di riferimento nella costruzione del Modello 231.
È chiaro che modelli organizzativi e sistemi di gestione perseguono finalità tra loro profondamente differenti. Mentre con il MOG l’ente si prefigge di eliminare il rischio della commissione di determinati reati nei settori in cui opera, con l’implementazione di un sistema di gestione ambientale, l’ente tende invece al perseguimento di determinati obiettivi di politica ambientale, nell’ottica di una riduzione di potenziali rischi per l’ambiente in termini di efficienza e sostenibilità.
Ferme restando le differenze – di finalità e strutturali – che intercorrono tra modelli organizzativi e sistemi di gestione, è necessario che fra tali strumenti si instauri un proficuo dialogo in modo che le potenzialità di entrambi gli strumenti siano valorizzate senza creare lacune nella costruzione dei necessari controlli[58].
في الواقع, un modello di organizzazione che non tenga in conto delle best practices cristallizzate nel sistema di gestione (se adottato) è destinato ad un giudizio di inidoneità. Allo stesso modo, un sistema di gestione che non venga integrato con i requisiti richiesti dalla legge per l’adozione di un modello di organizzazione e gestione non potrà da solo escludere la colpevolezza dell’ente, dunque, la sua responsabilità da reato[59].
In conclusione, si può affermare che la nuova tendenza del legislatore sia quella di affidarsi all’autoregolamentazione delle imprese, favorendo l’implementazione di modelli organizzativi creati dalle imprese stesse conformi ai canoni della Responsabilità sociale e ambientale.
7. La finanza sostenibile: gli investimenti ESG
Il Regolamento (الاتحاد الأوروبي) 2019/2088, detto anche Sustainable Finance Disclosure Regulation, c.d. SFDR) – considerando (8) afferma che «poiché l’Unione si trova ad affrontare in misura sempre maggiore le conseguenze catastrofiche e imprevedibili dei cambiamenti climatici, dell’esaurimento delle risorse e altre questioni legate alla sostenibilità, sono necessari interventi urgenti per mobilitare capitali non solo mediante politiche pubbliche, ma anche da parte dei servizi finanziari. (...)».
La Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) fornisce agli investitori maggior trasparenza e più dati sui rischi e sulle opportunità, combatte il problema del c.d. greenwashing e incentiva investimenti sostenibili in Europa, introducendo quindi il concetto di «finanza sostenibile».
La finanza sostenibile è quella tipologia di attività che tiene in considerazione i fattori ambientali, sociali e di governo societario, i c.d. «fattori ESG», nel processo decisionale di investimento, indirizzando i capitali e i risparmi verso progetti, attività e imprese sostenibili nel lungo periodo, ovvero imprese che rispettano l’ambiente, sono attente all’inclusione e al benessere dei lavoratori e adottano strumenti di organizzazione aziendale finalizzati alla prevenzione di determinati reati e della crisi di impresa.
In sostanza, la finanza sostenibile è l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria.
Dunque, i fattori ambientali, sociali e di governance, sono quei fattori che qualificano una attività – che imprenditoriale o, فقط, finanziaria – come sostenibile.
Tali fattori, in particolare, compongono il c.d. Rating ESG (o Rating di sostenibilità), che si concretizza in un giudizio sintetico finalizzato a certificare la solidità di un emittente, di un titolo o di un fondo dal punto di vista degli aspetti sociali, ambientali e di governance aziendale.
I fattori di tipo ambientale (Enviromental) riguardano la necessità di favorire processi produttivi meno impattanti per l’ambiente e includono le questioni relative alla mitigazione del cambiamento climatico e la transizione verso la c.d. neutralità climatica, cioè verso un’economia ad immissioni zero e circolare.
I fattori di tipo sociale si riferiscono ai temi relativi alle disuguaglianze, all’inclusione dei lavoratori, alle relazioni di lavoro, al benessere della collettività nonché al rispetto dei diritti umani.
Infine, i fattori di governo societario riguardano il rispetto di politiche di diversità nella composizione degli organi di amministrazione delle imprese, la presenza di consiglieri indipendenti o le modalità di remunerazione dei dirigenti, ovvero tutti quegli elementi che hanno un ruolo fondamentale nell’assicurare che gli aspetti di tipo sociale e ambientale vengano considerati nelle decisioni delle imprese e delle organizzazioni.
E’ importante sottolineare che per un’impresa prendere in considerazione i fattori ESG non è soltanto una questione etica, ma anche e soprattutto una scelta strategica nell’ottica di tutelare, anche attraverso il miglioramento dell’immagine dell’impresa sul mercato, un profitto futuro e a lungo termine.
Emblematiche sul punto sono le parole di Larry Fink, CEO di BlackRock, la più grande società di investimento del mondo, il quale afferma che «Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ecologisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto fiduciario verso i nostri clienti».
E’ evidente, dunque, che la sostenibilità sia anche, e in primis, economica: una performance sostenibile, في الواقع, lungi dall’essere un mero perseguimento di valori etici, è ormai necessaria per essere competitivi nel lungo periodo permettendo altresì di mitigare i rischi.
Gli investimenti sostenibili possono essere declinati secondo varie strategie: quelle presenti all’interno del mercato italiano sono sei[60].
La prima si basa sulle c.d. «esclusioni» e implica un approccio che prevede l’esclusione di singoli emittenti o settori o Paesi dall’universo investibile, sulla base di determinati principi e valori. Tra i criteri più utilizzati vi sono armi, pornografia, tabacco e combustibili fossili.
La seconda strategia implica la selezione degli investimenti sulla base del rispetto di norme e standard internazionali. I più utilizzati sono quelli definiti in sede OCSE, ONU o dalle Agenzie ONU (tra cui ILO, UNEP, UNICEF, UNHCR), come ad esempio, il Global Compact, le Linee Guida dell’OCSE sulle multinazionali e le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
La terza strategia si basa, invece, su un approccio che seleziona gli emittenti secondo criteri ambientali, sociali e di governance, privilegiando gli emittenti migliori all’interno di un universo, una categoria o una classe di attivo.
La quarta e la quinta implicano, rispettivamente, un approccio che seleziona gli emittenti secondo criteri ambientali, sociali e di governance, focalizzandosi però su uno o più temi (alcuni esempi sono i cambiamenti climatici, l’efficienza energetica e la salute) e un approccio che si sostanzia nel dialogo con l’impresa su questioni di sostenibilità e nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale azionario. In quest’ultimo caso si tratta di un processo di lungo periodo, finalizzato ad influenzare positivamente i comportamenti dell’impresa e ad aumentare il grado di trasparenza.
Infine, la sesta strategia implica l’effettuazione di investimenti in imprese, organizzazioni e fondi realizzati con l’intenzione di generare un impatto socio-ambientale positivo e misurabile, insieme ad un ritorno finanziario. Alcuni esempi possono essere gli investimenti in micro finanza, social housing, geen bond o social bond.
In conclusione, fare un investimento che tenga conto dei fattori ESG significa investire in imprese che compiono scelte aziendali sostenibili, coerenti con i principi del Global Compact delle Nazioni Unite (https://www.globalcompactnetwork.org/it/il-global-compact-ita/i-dieci-principi/introduzione.html), relativi a diritti umani, standard lavorativi, tutela dell’ambiente e lotta alla corruzione, nonché con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (https://unric.org/it/agenda-2030/?nowprocket=1) per lo sviluppo sostenibile e dell’Accordo di Parigi (https://economiapertutti.bancaditalia.it/glossario/?letter=A) sui cambiamenti climatici e ciò non soltanto in un ottica etica, ma anche e soprattutto economica.
8. الاعتبارات النهائية: i vantaggi per le imprese derivanti dall’adozione di pratiche di responsabilità sociale e ambientale
Si è detto che l’adozione di pratiche di responsabilità sociale e ambientale esprime la presa di coscienza da parte degli imprenditori che tali comportamenti siano virtuosi e, addirittura necessari per il successo a lungo termine delle imprese nei mercati nazionali e internazionali moderni.
Tali regole, implicano senz’altro benefici per le imprese, sia in termini di vantaggi interni che esterni.
Per quanto riguarda il primo profilo, l’adozione di pratiche di RSI e RSA genera per le imprese ripercussioni positive sia sulla qualità delle risorse umane che sulla competitività sul mercato nazionale e internazionale.
Sotto il primo profilo, un’impresa che adotta comportamenti responsabili, attenti alle questioni sociali – inerenti la realizzazione di programmi diretti alla realizzazione di un ambiente di lavoro sano, inclusivo e rispettoso dei diritti dei dipendenti – e ambientali ha sicuramente maggiori possibilità di attirare dipendenti qualificati, motivati a permanere all’interno dell’azienda e attenti al mantenimento di una buona reputazione dell’impresa sul mercato, con conseguente diminuzione dei costi di reclutamento e formazione del personale.
Sotto il diverso profilo della competitività sui mercati, l’adozione di pratiche responsabili, soprattutto in materia ambientale, permette di minimizzare gli sprechi, ottimizzare le risorse e abbattere i costi di produzione. A titolo meramente esemplificativo, i comportamenti che hanno lo scopo di ridurre le emissioni di gas in atmosfera per mitigare il surriscaldamento globale, permettono alle imprese di ridurre i costi legati ai consumi energetici (un esempio lampante è l’installazione di impianti fotovoltaici).
Tali vantaggi interni si traducono all’esterno in un miglioramento dell’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti agli occhi di consumatori, investitori e fornitori.
In particolare, l’attenzione sempre maggiore dei consumatori a fattori quali la riduzione dell’impatto ambientale, la tutela dei diritti umani e dei minori, l’assenza di prodotti geneticamente modificati, porta a sua volta ad un aumento delle vendite e ad una fidelizzazione della clientela. Il comportamento responsabile, dunque, funge da discrimine, da elemento di differenziazione e caratterizzante dell’impresa che lo adotta rispetto alle imprese concorrenti irresponsabili, permettendo alla stessa di acquisire nuove fette di mercato, di incrementare il volume di affari e di diventare altresì più appetibili per le società di investimento.
L’adozione di condotte in linea con le regole di RAI e RSI comporta anche vantaggi indiretti. في الواقع, così facendo, l’impresa riesce a migliorare la gestione dei rischi attraverso l’adozione degli strumenti di risk approach previsti dall’ordinamento, migliorando in tal modo la propria stabilità e performance finanziaria.
Il fatto di inquadrare la propria impresa non come soggetto singolo, ma come ente inserito all’interno di un determinato contesto sociale con determinate esigenze, composto da altri operatori, consumatori ed investitori, permette indirettamente all’imprenditore di individuare e prevenire anche rischi ancora sconosciuti, mettendo in pratica assetti organizzativi e protocolli finalizzati alla prevenzione e alla limitazione degli stessi.
La capacità dell’impresa di ridurre il rischio induce gli investitori ad optare per una impresa socialmente responsabile e, di riflesso, più solida. Invero, si è detto che le imprese che si dimostrano attente agli aspetti sociali, ambientali e di governance , ovvero un’impresa che prende in considerazione i criteri ESG, presentano una maggiore facilità nell’accesso al credito e al mercato del capitale.
في الواقع, la valutazione della sostenibilità delle aziende mediante i criteri ESG (c.d. ESG Score), permette di favorirne la competitività e la crescita a livello globale: un punteggio elevato in tema di sostenibilità, في الواقع, facilita gli investimenti nelle imprese che li ottengono.
Tuttavia, l’adozione di pratiche di Responsabilità Sociale e Ambientale, implica, quanto meno nel breve termine, anche dei costi. Se ciò per le società di grandi dimensioni non rappresenta un problema, in quanto esse dispongono delle risorse finanziarie per farvi fronte, non si può dire lo stesso per le PMI, che nel nostro Paese compongono la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale.
Occorre dunque incentivare le PMI all’adozione di pratiche di RSI e di RAI, anche facendo leva sui vantaggi che, anche per tale tipologia di impresa, comporta l’adozione di comportamenti responsabili e sostenibili.
In particolare, le PMI hanno interesse a seguire i criteri ESG, in quanto gli investitori e i consumatori premiano le aziende sostenibili e, dunque, quelle che presentano punteggi ESG alti.
Le tematiche prioritarie nella valutazione degli investimenti sono sempre più legate al cambiamento climatico, all’economia circolare e alle questioni sociali.
La definizione della strategia d’impresa deve necessariamente tenere conto di un aspetto fondamentale: l’attenzione degli investitori istituzionali verso le tematiche ambientali, sociali e di governo aziendale e la necessità. Ciò implica la necessità per le PMI di integrare i temi ESG nella strategia aziendale e ciò in un’ottica di convenienza economico-finanziaria che si concretizza in un risparmio di risorse nel medio – lungo periodo.
Quello che è importante che le PMI comprendano è che oggi il criterio differenziale per la scelta dell’impresa da parte di investitori, consumatori e grandi aziende (in termini di cooperazioni e/o operazioni come M&ا, forniture etc.) è l’approccio sostenibile, declinato nelle tre dimensioni: sociale, ambientale e di governance.
Conclusivamente, si può dunque affermare che l’impresa attuale – di qualunque forma e dimensione – se intende mantenersi competitiva sul mercato e massimizzare i propri profitti nel lungo periodo, non può prescindere dall’adozione di comportamenti responsabili, che impongono altresì una gestione integrata e preventiva dei rischi.
Volume consigliato
L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici
Con il “Collegato ambiente” alla legge di stabilità 2015, sono state introdotte nel nostro ordinamento una serie di novità in materia di appalti verdi e alcune modifiche al codice dei contratti pubblici. Le norme hanno previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, incluse le centrali di committenza, di contribuire al conseguimento degli obiettivi ambientali, attraverso l’inserimento nei documenti di gara delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei decreti ministeriali sui CAM (Criteri Ambientali Minimi), adottati in attuazione del Piano di Azione Nazionale (PAN GPP).
Ovviamente, tutte le disposizioni (sugli acquisti verdi e sulla obbligatorietà dei CAM) costituiscono una vera e propria rivoluzione nel mondo degli appalti e gli operatori pubblici e privati sono chiamati a conoscere ed utilizzare gli strumenti di gestione ambientale (EMAS e ISO 14001), le etichettature ecologiche (Ecolabel etc.), le dichiarazioni ambientali di prodotto (DAP), le metodologie di analisi del ciclo di vita (LCA) ed infine l’impronta ecologica dei prodotti (PEF) أن, tra l’altro, sarà utilizzata per il nuovo marchio “Made Green in Italy”, recentemente oggetto del Decreto 21 مارس 2018, ن. 56 del Ministero dell’Ambiente di cui questa edizione tiene conto.
Il focus del libro risulta concentrato sui Criteri Minimi Ambientali e sull’impatto che la loro applicazione avrà sul sistema attuale degli appalti pubblici. Un capitolo è dedicato alla conoscenza del GPP; vengono altresì illustrate alcune esperienze regionali riconosciute come virtuose. Oltre agli strumenti predetti, vengono analizzati i Manuali Europei sugli acquisti verdi e le varie direttive, la normativa nazionale, il Piano di Azione Nazionale (PAN GPP). Si illustreranno i CAM, sia quelli in vigore (ad oggi 18) che quelli in itinere, con commenti e valutazioni ed alcune schede operative.
Tutti i contenuti del volume sono aggiornati e commentati con il D.Lgs. ن. 56/2017. Inoltre, è stato introdotto un nuovo paragrafo sui “Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici” (G.U. serie generale n. 259 ال 6 تشرين الثاني 2017), entrati in vigore il 7 تشرين الثاني 2017.
Seguendo le istruzioni presenti in terza di copertina, si potrà consultare una selezione della normativa europea e nazionale in materia, i PAN GPP, i CAM attualmente in vigore e documentazione varia selezionata dalle esperienze regionali.
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Toni Cellura, 2018, Maggioli Editore
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Note
[1] Catello Landi, Sostenibilità e rischio di impresa. Evidenze e criticità dei Rating Esg, ميلانو, 2020, p. IX ss.; La responsabilità sociale d’impresa, Fondazione Luca Pacioli.
[2] Luigi Federico Signorini, Direttore generale della Banca d’Italia, durante l’intervento Scelte per lo sviluppo sostenibile, tra emergenza e transizione dell’11/06/2022, p. 2.
[3] Per un excursus e un approfondimento sulle nozioni di sostenibilità e sviluppo sostenibile, v. Balluchi , furlotti (a cura di), La responsabilità sociale delle imprese. Un percorso verso lo sviluppo sostenibile. Profili di governance e di accauntability, تورينو, 2019, p. 1 ss; Cataudella, Massa (a cura di) e Giovannini (prefazione di), Sostenibilità. Profili giuridici, economici e manageriali delle PMI italiane, تورينو, 2019, p. 35 ss.; Ruggieri, Tra innovazione e sostenibilità. Verso un modello di business sostenibile, 2012, p. 3 ss.; Grassi, (a cura di) Alpa, Conte, Di Gregorio, Fusaro, Perfetti, Rischio di impresa e tutela dell’ambiente. Precauzione – responsabilità – assicurazione, Napoli, 2012, p. 1 ss.; Peroni, Stabilità economica e sostenibilità nel diritto internazionale, ميلانو, 2020, p. 310 ss.
[4] Risoluzione n. 70/1 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 أيلول 2015.
[5] Per un approfondimento sul tema, v. Peroni, op. cit., p. 337 ss.
[6] ي. Roberts, Eviromental Policy, Routledge, 2004, p 120: «An approach based on the ‘triple bottom line’ has been developed to allow companies to engage with the whole range of sustainable development issues»; A.W. Savitz – K. Weber, The triple bottom line: how today’s best- run companies are achieving economic, social, and environmental success – and how you can too, New York, 2006.
[7] La locuzione «Corporate» di fatto attrae la CRS nell’orbita del diritto delle imprese societarie di grandi dimensioni (c.d. corporate law); tuttavia, gli sviluppi più innovativi della CSR hanno origine proprio nel contesto delle PMI, che spesso hanno una naturale vocazione verso pratiche socialmente responsabili. Per un approfondimento sul punto si v. Ciocca, Massa (a cura di) e Giovannini (prefazione di), op. cit., p. 100 ss.
[8] Dallo shareholder system, in base al quale l’obiettivo primario dell’impresa è quello di massimizzare l’investimento effettuato dal socio, si passa al sistema multi-stakeholder, ove per tali si intendono non soltanto i soggetti che hanno un interesse collegato all’azienda, ma anche coloro i quali subiscono gli effetti esterni (positivi o negativi) delle transazioni effettuate dall’azienda. Nell’ambito di tale sistema, i principali stakeholder aziendali sono, في الواقع, i clienti, i fornitori, il personale interno, i soci ed azionisti (shareholder), le Istituzioni e la Pubblica amministrazione, l’ambiente e la collettività in generale (راجع. www.to.camcom.it).
[9] Sacconi (a cura di), Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria editrice, 2005.
[10] Per un excursus sugli strumenti volti a promuovere la RSI in ambito europeo, si v. Malaguti, Salvati, La responsabilità sociale d’impresa. Percorsi interpretativi tra casi e materiali di diritto internazionale, dell’Unione europea e italiano, ميلانو, 2017, p. 98 ss.
[11] Libro Verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» pubblicato dalla Commissione europea riunitasi a Bruxelles a luglio 2001, con il quale si è inteso dare impulso alla riflessione relativa alla dimensione ecologica e sociale dell’attività di impresa.
[12] In base agli standard ISO 2600, per diventare un’organizzazione socialmente responsabile, occorre conoscere – per poi declinarli in base alle specificità della propria organizzazione – i sette principi della Responsabilità Sociale quali: 1. Accountability (capacità di una organizzazione di assumersi la responsabilità del proprio operato nei confronti degli stakeholder, adottando adeguate misure allo scopo di porre rimedio ad eventuali danni cagionati dalla propria attività ed intraprendendo comportamenti volti ad impedirne la realizzazione. Ciò può avvenire ad esempio attraverso il Bilancio sociale, che ha lo scopo di fornire una panoramica sulla interdipendenza tra fattori economici e socio- politici conseguenti alle scelte dell’azienda); 2. Comportamento etico (l’organizzazione deve dotarsi di un codice etico, che deve essere rispettato al proprio interno da dirigenti e dipendenti e al quale devono informarsi anche i fornitori, allo scopo di prevenire comportamenti illeciti o irresponsabili da parte di chi opera per conto dell’organizzazione). Per un approfondimento sul punto, si v. Bevivino, La responsabilità sociale delle imprese. Strumenti attuativi e rimedi, Napoli, 2018, p.93 ss.; Caponetti, Massa (a cura di) e Giovannini (prefazione di), op. cit., p. 179 ss.; 3. Rispetto del principio di legalità (l’organizzazione deve conoscere ed osservare tutte le leggi e i regolamenti applicabili); 4. Rispetto delle norme internazionali di comportamento (tale principio richiama una sorta di comportamento deontologico dell’organizzazione, che deve evitare di rendersi complice di attività svolte da altre organizzazioni in contrasto con le norme internazionali di comportamento); 5. Rispetto dei diritti umani (essi riguardano in particolare la non- discriminazione, l’uguaglianza di genere, la contrattazione collettiva, il lavoro minorile, il lavoro forzato); 6. Rispetto degli interessi degli stakeholder; 7. Trasparenza (implica la comunicazione in modo chiaro e preciso le proprie politiche, attività e decisioni, inclusi gli impatti sull’ambiente e sulla società).
[13] Art. 2, فاصلة 4 del Trattato di Amsterdam che ha inserito l’art. 3C del Trattato UE (attuale art. 11).
[14] Per un excursus approfondito sulle tappe della politica dell’Unione in materia ambientale, v. amplius Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, تورينو, 2021, p. 37 ss; Gullo, Mattarella, Mosco (a cura di), Tutela dell’ambiente e responsabilità d’impresa, Bari, 2021, p. 18 e ss.
[15] Per un approfondimento sulla nascita del diritto ambientale in ambito internazionale si v. Rossi, op. cit.,p. 30 e ss; Gullo, Mattarella, Mosco (a cura di), op. cit., p. 18 e ss.
[16] الخامس. amplius paragrafo 3 del presente contributo.
[17] Per approfondire le tappe della nascita del diritto ambientale in ambito nazionale si v. Rossi, op. cit., p. 43 ss.; Gullo, Mattarella, Mosco (a cura di), op. cit., p. 18 e ss.
[18] Luigi Federico Signorini, op. cit., p. 5 ss., sostiene che per conseguire gli obiettivi proclamati nel corso degli anni a livello europeo e internazionale (in primis dall’Accordo di Parigi adottato nel 2015 e da ultimo, dal regolamento UE/1119/2021 che richiama l’obiettivo di neutralità climatica), «sono necessari tre elementi: regole ben disegnate, decisioni mirate di investimento (pubblico e privato), scelte coerenti di consumo [...]». Egli, introducendo il concetto di «investimento finanziario verde», sottolinea l’importanza «che banche e investitori istituzionali siano avvertiti della necessità di governare efficacemente, tra gli altri, il rischio ambientale».
[19] A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, al fine di ripercorrere le principali tappe ambientali a livello europeo fino alla ratifica del Protocollo di Kyoto, si citano le seguenti normative:
– Direttiva ambientale 67/548 che stabilisce misure contro l’inquinamento atmosferico prodotto dai veicoli a motore;
– Direttiva 80/778 che stabilisce norme minime per l’acqua potabile;
– Direttiva 85/337 sulla valutazione di impatto ambientale;
– Direttiva quadro 2000/60 per la politica europea sull’acqua;
– Ratifica del Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico.
[20] Libro Verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», Allegato, p. 29.
[21] من المؤسسات الشريكة في صندوق الانتربنك موافق للإنقاذ. Mariano, Responsabilità Etica d’Impresa – Teorie e buone pratiche, Liguori Editore, 2008, p. 46.
[22] Sino ad oggi, في الواقع, il fattore ambientale è sempre stato considerato un sottoinsieme della categoria generale della RSI. Tuttavia, oggi occorre distinguere tali categorie per due ordini di motivi. In primis le due categorie sono regolate da meccanismi normativi differenti e da principi propri; in secondo luogo tale ripartizione permette di conferire una maggiore visibilità alla categoria ambientale, oggi in forte sviluppo e che dunque necessità di una propria individualità. Inoltre, RAI e RSI si basano su strumenti giuridici propri differenti (هذا هو. bilancio di sostenibilità e certificazioni ambientali che vengono redatti su modelli differenti da quelli del codice etico).
[23] Per una definizione della «CER», Piotr Mazurkiewicz, Corporate Environmental Responsibility: Is a common CSR framework possible?
[24] Alcune esemplificazioni di tale modello sono rappresentate dalla disciplina delle certificazioni ambientali EMAS e UNI EN ISO 14001. Per un approfondimento sul punto, v. Pecchio, Emas e certificazioni ambientali in Europa ed in Italia, in Ambiente e territorio, 2007; Regolamento (CE) ن. 1221/2009 sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), che abroga il Regolamento (CE) ن. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE; Commissione Europea, Com (2008) 402 def., Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS); Commissione Europea, Raccomandazione 2003/532/CE, Orientamenti per l’applicazione del regolamento (CE) ن. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS) concernente la scelta e l’uso di indicatori di prestazioni ambientali; Beltramo, Duglio, Il Regolamento EMAS e come si differenzia dallo Standard ISO 14001, 2008, reperibile sul sito www.eurogroup.biz; Furlotti, Balluchi (a cura di), op. cit., p. 175 ss.
[25] Nell’ambito dell’attuale contesto produttivo, si registra un’attenzione sempre maggiore da parte dei consumatori circa le caratteristiche non materiali del prodotto, quali, in particolare, le condizioni di fornitura e la tracciabilità storica del prodotto stesso. Il «prodotto etico», ovvero il risultato finale di un ciclo produttivo che rispetti i diritti umani e l’ecosistema, sta entrando sempre di più nella c.d. «catena di valore dell’impresa», orientando le scelte dei consumatori. All’interno del mercato globale contemporaneo, في الواقع, le imprese interagiscono con un tessuto sociale variegato in cui spicca una collettività molto attenta ad un operato imprenditoriale attento e rispettoso delle istanze sociali e ambientali. Tuttavia, l’attenzione al c.d. «greenwashing», è uno degli aspetti da tenere maggiormente in considerazione per evitare di trovarsi davanti finte aziende sostenibili. In particolare, tale termine indica una strategia di comunicazione adottata da talune imprese al fine attraverso la promozione di una immagine di sé “verde” in realtà non veritiera, approfittando della crescente attenzione dell’opinione pubblica per i problemi ambientali. Tale operazione si concretizza mediante dichiarazioni in cui la società presenta ai consumatori iniziative ambientali false, ovvero con la promozione di iniziative di tutela reali, ma poste in essere quando in realtà l’impresa pone in essere attività dannose per l’ambiente. Siccome i “prodotti verdi” presentano una grande potenzialità e sono tra i segmenti di maggiore crescita nel mercato, tali operazioni di pubblicità ingannevole aiutano le imprese a creare un vantaggio competitivo illegittimo sul mercato. Per una definizione di tale fenomeno, si v. www.economii.com.
[26] ا. Casotti, La responsabilità sociale delle imprese – Definizione, certificazione, bilancio sociale e codici etici, Ipsoa, 2005, p. 9 ss; v. amplius par. XXX del presente contributo.
[27] Ruggieri, op. cit.,p. 130 ss.: «La c.d. innovazione sostenibile, è un processo nel quale gli aspetti sostenibili, a livello ambientale, sociale e finanziario, vengono integrati nei sistemi dell’impresa, dalla generazione dell’idea attraverso la ricerca e lo sviluppo fino alla commercializzazione. L’innovazione che la sostenibilità ambientale genera investe, a vari gradi e livelli, l’infrastruttura produttiva, il prodotto, il processo, l’approvvigionamento, la logistica, التواصل, andando a configurare in alcuni casi un vero e proprio nuovo modello di business [….]. L’innovazione sostenibile è un fattore di competitività per le imprese che su di essa investono, un elemento distintivo di posizionamento sul mercato differenziata a seconda del settore di appartenenza».
[28] Legge costituzionale 11 فبراير 2022 ن. 1 rubricata «Modifiche agli articoli 9 البريد 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 44 ال 22.02.2022.
[29] Nella sentenza n. 94 ال 1985 e n. 151 ال 1986, la Corte Costituzionale interpreta la nozione di paesaggio come «l’ambiente naturale modificato dall’uomo». Ancora, l’ambito del paesaggio coincide «con quello di habitat e con la tutela degli interessi ecologici e degli equilibri ambientali e dunque con la tutela ambientale nel suo complesso [….] comprensiva tanto dell’ambiente naturale che di quello antropizzato» (المحكمة الدستورية, لا حكم. 302 البريد 356 ال 1994).
[30] محكمة دستورية, لا حكم. 210 ال 28 مايو 1987; محكمة دستورية, لا حكم. 167 ال 1987; Corte di cassazione, Sezioni unite n. 5172 ال 6.10.1979.
In particolare, secondo tale giurisprudenza, «l’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione [...] esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini» (محكمة دستورية, لا حكم. 641 ال 1987).
[31] Il nuovo art. 9 Cost. sancisce che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
[32] In questa direzione si muove la recentissima proposta di direttiva sulla due diligence delle imprese in materia di sostenibilità adottata il 23 febbraio scorso dalla Commissione europea. Alle imprese – al momento solo quelle di grandi dimensioni – che intendono operare nel mercato europeo, comprese quelle con sede fuori dell’Unione Europea, hanno l’obbligo di attuare sistemi e processi idonei ad individuare e prevenire i rischi e, ove ciò non sia più possibile, a fa cessare gli effetti negativi delle loro attività sui diritti umani (هذا هو. lavoro minorile; sfruttamento del lavoro) e sull’ambiente (هذا هو. inquinamento).
[33] Cfr. pag. 2 del presente contributo.
[34] I sistemi di gestione, في الواقع, rappresentano dei casi di soft law. L’adeguamento alle best practice di settore, dunque, è rimesso esclusivamente alla scelta dell’impresa.
[35] Balluchi, furlotti (a cura di), La responsabilità sociale delle imprese. Un percorso verso lo sviluppo sostenibile. Profili di governance e di accauntability, تورينو, 2019, pp. 176 e ss.
[36] A decorrere dall’11 marzo 2021 il sistema ISO 45001 ha sostituito definitivamente il sistema OHSAS 18001.
[37] La versione attualmente in vigore è la ISO 14001:2015, reperibile sul sito www.iso.org. La nuova edizione per la prima volta prende in considerazione le conseguenze economiche, ambientali e sociali di un prodotto o di un processo nell’arco del suo ciclo di vita.
[38] Regolamento CE n. 122/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25.11.2009 «sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di ecogestione e di audit (EMAS)» pubblicato sulla GUUE del 22.12.2009, من المؤسسات الشريكة في صندوق الانتربنك موافق للإنقاذ 342/1.
[39] Art. 2 ن. 13) del Regolamento CE n. 122/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25.11.2009 «sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di ecogestione e di audit (EMAS)» pubblicato sulla GUUE del 22.12.2009, من المؤسسات الشريكة في صندوق الانتربنك موافق للإنقاذ 342/1.
[40] Per un’analisi approfondita, v. م. De Rosa, Le certificazioni ambientali e la responsabilità sociale del territorio, in Ianus, 2010, p. 17 e ss.
[41] Si tenga comunque presente che, tuttavia, i due sistemi di gestione ambientale presentano significative differenze. في الواقع, mentre la certificazione ISO di norma viene rilasciata da un c.d. ente certificatore (ovvero un organismo privato terzo e indipendente), la registrazione EMAS spetta ad un ente statale. Inoltre, il sistema EMAS presenta maggiori tecnicismi (ad es. la c.d. «dichiarazione ambientale») rispetto ad ISO 14001 che è incentrato per lo più sulla comunicazione della politica ambientale dell’impresa rivolta al mercato. Infine, il sistema EMAS ha efficacia solo in ambito europeo, mentre la norma UNI EN ISO è riconosciuta a livello internazionale. Si v. sul punto M. De Rosa, op. cit., p. 32 ss.
[42] Si v. a tal proposito il Decreto n. 313 ال 26.04.2012 sulla promozione dei Sistemi di Gestione Ambientale Emas e Iso 14001 attraverso la concessione di contributi per il rimborso delle spese sostenute per l’acquisizione di servizi di consulenza e assistenza. Nella stessa direzione si pone il Bando per l’ottenimento di certificazioni ambientali, etiche e sociali mediante il quale la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia intende incentivare a certificazione delle micro, piccole e medie imprese (PMI) aventi sede legale operativa o unità operativa in provincia di Reggio Emilia, attraverso l’erogazione di contributi a fondo perduto per l’acquisizione di servizi per ottenere il primo rilascio di certificazioni ambientali, etiche e sociali nel periodo che va dal 16/05/2022 الله 31/12/2023.
[43] Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, adottato con D.lgs. ال 12 يناير 2019, ن. 14.
[44] فن. 2086 c.c., come novellato dal D.lgs. ال 12 يناير 2019, ن. 14 prevede che «1. L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. 2. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».
[45] Manuale commerciale, p. 65 e ss.
[46] فن. 3 c.c.i. prevede che «1. L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. 2. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative».
[47] In particolare, la modifica dell’art. 2257 ج. si riferisce alle società semplici, alle società in nome collettivo e alle società in accomandita semplice; la modifica agli artt. 2380-bis e 2409-nonies si riferisce all’amministrazione delle società per azioni e quella dell’art. 2475 ج. a quella delle società a responsabilità limitata.
[48] Si v. la Relazione illustrativa al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
[49] Memento
[50] Memento.
[51] Il Comitato per la Corporate Governance è stato costituito, nell’attuale configurazione, nel giugno del 2011 ad opera delle Associazioni di impresa (ABI, ANIA, Assonime, Confindustria), Borsa Italiana S.p.A. e l’Associazione degli investitori professionali (Assogestioni). Il Comitato ha quale scopo istituzionale la promozione del buon governo societario delle società italiane quotate. A tal fine il Comitato approva il Codice di Corporate Governance delle Società Quotate e ne assicura il costante allineamento alle best practices internazionali. Il Comitato garantisce anche un monitoraggio con cadenza annuale dello stato di attuazione del Codice da parte delle società aderenti, indicando le modalità più efficaci per favorire una applicazione sostanziale delle sue raccomandazioni. ال 31 يناير 2020 è entrato in vigore il Nuovo Codice di Corporate Governance, applicabile a partire dal primo esercizio successivo al 31.12.2020.
[52] فن. 1 D.lgs. 231/2001 stabilisce che «Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato».
[53] فن. 5 D.lgs. 231/2001 così dispone: «L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio [….]. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi».
[54] Si tratta, a titolo meramente esemplificativo, di S.p.a., S.r.l., S.a.p.a., S.n.c., S.a.s., associazioni riconosciute e non, cooperative, fondazioni, enti economici sia pubblici che privati, comitati, enti no-profit, consorzi con attività esterna e società consortili. La giurisprudenza ha escluso l’applicabilità della disciplina all’imprenditore individuale affermando che essa si riferisce soltanto agli enti collettivi (Cass., Sez. 6, ن. 18941 ال 03/03/2004); l’ha ritenuta invece applicabile alle società fallite (Cassazione Penale, Sez. 5, 15 تشرين الثاني 2012, ن. 44824).
[55] Art. 5 D.lgs. 231/2001: «1. L´ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
ا) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell´ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; ب) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
L´ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell´interesse esclusivo proprio o di terzi».
[56] In seguito ai molteplici interventi normativi che si sono susseguiti nel corso degli anni, ad oggi, gli illeciti penali che possono comportare la responsabilità da reato degli enti compongono un nutrito elenco, contenuto nell’art. 25- undecies del decreto 231/2001.
[57] Si v. par. 4 del presente contributo.
[58] Sul punto Gullo, Mattarella, Mosco (a cura di), p. 136 ss.
[59] Tale principio è stato evidenziato dalla sentenza del Trib. di Trani, المناطق الاقتصادية الخاصة. dist. Molfetta, ال 26/10/2009, nella quale si sancisce che «il sistema introdotto dal decreto 231 impone alla imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde in tal modo evitare la responsabilità amministrativa». Per un commento sul punto, v. م. Cardia, I modelli organizzativi in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro alla luce della sentenza di condanna del Tribunale di Trani, in La Resp. amm. soc., 2014, 4, p.167 ss.
[60] Si v. il Forum per la Finanza Sostenibile, reperibile sul sito https://investiresponsabilmente.it/cose/.
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