Pubblico ufficiale e praticante avvocato, è incompatibile

La qualifica di pubblico ufficiale non è compatibile con l’iscrizione nel registro speciale dei praticanti.
E’ quanto si evince dalla sentenza del Consiglio nazionale forense n. 149 of 10 October 2017, in una vicenda ove una giovane laureata chiedeva all’Ordine degli avvocati competente, di essere iscritta nel registro dei praticanti, rappresentando di essere contestualmente dipendente pubblico presso la Guardia di Finanza con qualifica di ufficiale addetto alla polizia giudiziaria presso il Tribunale della Procura della Repubblica.
Sicché l’Ordine forense chiedeva alla ragazza di fornire osservazioni e chiarimenti circa le modalità con cui intendeva effettuare la pratica, sia sotto il profilo della compatibilità degli orari connessi alla sua posizione di impiego, sia sotto l’aspetto dell’esistenza di un potenziale conflitto di interessi con l’attività lavorativa prestata. La ragazza rispondeva che la compatibilità tra la pratica forense e la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, era stata opportunamente vagliata sotto due profili: a) l’area legale di potenziale interesse, andandosi ella ad occupare, presso lo studio legale scelto, di affari prettamente civilistici; b) la dovuta preventiva comunicazione al dominus della tipologia di lavoro subordinato svolto.
Non è il pubblico impiego ad essere incompatibile con la pratica, ma l’appartenenza alle forze dell’ordine
Nonetheless, il competente Ordine forense, con propria delibera, negava l’iscrizione della dottoressa nel registro dei praticanti, in base alla seguente motivazione:
“La qualifica di pubblico ufficiale ed il connesso dovere ex art. 361 c.p. di denunciare ai superiori ed all’autorità giudiziaria competente la notitia criminis, si pone agli antipodi con i doveri di segretezza, riservatezza e di fedeltà cui sono sottoposti sia gli avvocati che i praticanti. Ne consegue che ad essere incompatibile con l’esercizio delle funzioni di praticante, non è tanto la condizione di pubblico dipendente, quanto piuttosto lo status particolare di appartenente alle forze dell’ordine, su cui grava un dovere di intervento ed un obbligo di denuncia di fatti comunque appresi, che non può ritenersi conciliabile con l’eventuale adozione di accorgimenti di fatto, quale l’individuazione di determinati settori o di casi preventivamente valutati dall’affidatario attorno ai quali circoscrivere la pratica. In tal modo, si perderebbe di vista il profilo assorbente del doveroso inserimento del praticante nel contesto organizzativo e funzionale dello studio professionale. A ciò si aggiunga inoltre che la pratica forense non può essere limitata ad alcune materie, ma deve riguardarle tutte”
Una motivazione che non è stata nemmeno messa in discussione dal Cnf, dinanzi al quale la ragazza aveva dapprima proposto ricorso, per poi rinunciarvi, con conseguente declaratoria di improcedibilità dello stesso.
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