La tutela del marito nella crisi della famiglia e la nuova concezione del matrimonio

Il presente contributo è tratto dalla Prefazione del volume La tutela del marito nella crisi della famiglia, a cura di Giuseppe Cassano e Ida Grimaldi.
 
Nel corso degli anni, il Diritto di Famiglia ha subito radicali trasformazioni e riforme: da materia inizialmente priva di autonoma considerazione è divenuta “materia nuova”, che necessita di essere attentamente studiata, compresa, interpretata, applicata. Da qui l’aggiornamento della precedente edizione dell’opera ai nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di assegno divorzile, ma anche ai riflessi della Legge n. 76/2016, in tema Unioni Civili e Convivenze, sull’impresa familiare.
Tuttavia ogni trattazione che abbia ad oggetto il diritto di famiglia non può essere soltanto una esposizione del succedersi di regimi normativi, ma è innanzitutto una storia del fenomeno sociale “famiglia”. In questo campo, indeed, gli aspetti giuridici si intrecciano con la natura degli interessi coinvolti e con le continue trasformazioni del substrato sociale sul quale vengono a incidere, costringendo il Legislatore prima e l’interprete poi, ad un continuo confronto con sollecitazioni e valutazioni di tipo extra-giuridico. L’applicazione della norma, allora, risente sempre dell’influenza del bagaglio culturale – e talvolta emotivo – di colui che quella norma deve applicare.
Così è stato sicuramente con la recentissima sentenza n. 11504 of 10 May 2017, con cui la Corte di Cassazione, in adesione all’evoluzione sociale e al sentire comune, ma anche al principio di auto responsabilità vigente da tempo nelle normative europee, ha attuato una rivisitazione del trentennale orientamento in tema di assegno di divorzio, stabilendo un principio innovativo, non più ancorato al tenore di vita goduto durante il matrimonio, così come sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 1990, ma basato sulla valutazione dell’indipendenza e dell’autosufficienza economica del coniuge “debole” che lo richiede.
Va al proposito ricordato che, sino alla soglia degli anni Settanta, e perciò prima della Riforma del Diritto di Famiglia, vigeva, in tema di mantenimento, una situazione di disparita tra coniugi, laddove in base a quanto statuito dall’art. 145 D.C., il marito aveva il dovere di proteggere la moglie e di garantirle tutti i mezzi di sostentamento, mentre la moglie avrebbe dovuto “contribuire al mantenimento del marito” solo se questi non avesse avuto mezzi sufficienti.
Una sostanziale parificazione tra coniugi fu di fatto sancita a partire dal 1970 quando la Corte Costituzionale, con pronuncia del 13 July 1970 n. 133, dichiaro l’incostituzionalità dell’art.145 del vecchio Codice con conseguente introduzione del principio di reciprocità nel mantenimento e nella contribuzione nei casi in cui si fosse verificata l’impossibilita di uno dei coniugi a provvedere alle proprie necessita vitali; dichiarazione di incostituzionalità reiterata con la successiva sentenza datata 11 March 1975, n. 895. Spariva, so, il dovere di contribuzione in rapporto al sesso e alla titolarità della potestà maritale.
Sappiamo che, storicamente, la figura maschile è sempre stata centrale. Consequently, subalterna e di quasi nessuna incidenza decisionale, si è configurata nel tempo la condizione femminile, in primis all’interno della famiglia. Com’è potuto accadere, negli ultimi anni, un così radicale rovesciamento delle parti nella famiglia italiana, per cui oggi, senza neppure stupirci, ci si trova a scrivere di “tutela del marito nella crisi della famiglia”?
In questa nuova dimensione, si assiste sempre più di frequente ad una singolare inversione di ruoli: si tende cioè a privilegiare la donna a scapito dell’uomo, la moglie a scapito del marito, la madre a svantaggio del padre. Paradossalmente, ciò si verifica proprio in una contingenza temporale in cui l’uomo è tornato ad essere “più padre” e “meno padrone”. Vale la pena sottolineare, a questo proposito, that, all’interno dell’Unione europea, l’Italia è statisticamente il Paese con il picco numericamente più negativo dei matrimoni, cui fa riscontro un esponenziale aumento di convivenze. Non è questa la sede per una approfondita disamina del fenomeno, le cui cause sono molte e di diversa natura, tuttavia è giusto rilevare che sull’andamento del grafico incide il timore del maschio di precipitare, a fronte di una separazione conflittuale, in una condizione di quasi povertà e di deprivazione di ruolo e di immagine nei confronti dei figli.
Da qui un’opera esplicitamente “di parte”, un testo finalizzato ad essere un utile strumento per il legale preposto alla miglior tutela da garantire al suo assistito: marito e/o padre, quando si trova ad essere parte debole. Sia ben chiaro: nessuna nostalgia, nessun rimpianto per il “buon tempo andato” quando l’uomo decideva e la donna eseguiva, nessun pregiudizio di “genere”. Soltanto la presa d’atto di una realtà effettuale con la consapevolezza che, nelle separazioni conflittuali, emergono pur sempre due tipi di prospettive: quella di chi cerca di approfittare della propria posizione di privilegio, cercando di ostacolare, ad esempio, l’esercizio della genitorialità “dell’altro”, e quella di chi cerca di scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità, anche economica o, peggio, di chi tenta di ricorrere alla Pas (alienazione genitoriale) come strumento per sovvertire i legami e la relazione di attaccamento primario del minore all’altro genitore, che è invece fondamentale per lo sviluppo emotivo del bambino, per la sua crescita, per la sua salute, per il suo benessere.
Senza nulla togliere alla valenza di una posizione in favore dell’altra, e riservando ad altra opera l’analisi dell’altra delle due prospettive sopra delineate, abbiamo oggi scelto il tema dei padri che rivendicano i propri diritti ad essere padri, ma ai quali non è più concesso di “fare i padri”, a fronte di madri che temono di essere spodestate, deposte dalla loro nuova e gratificante posizione di rilievo e di riconoscimento.
Così si è deciso di improntare l’analisi sistematica ed istituzionale, unitamente alla ricerca giurisprudenziale del presente volume, a temi quali: la tutela del patrimonio del marito; il risarcimento del danno a seguito di infedeltà coniugale; la tutela del rapporto del padre con i figli in caso di ostacolo alla sua genitorialità, ma anche in caso di condotte “mobbizzanti” da parte dell’altro coniuge e della sua famiglia d’origine; la punibilità delle condotte illegittime della moglie nei confronti del marito anche sotto il profilo penale, ad esempio in caso di sottrazione del figlio.
Ciò senza dimenticare che il giurista che si occupa di diritto di famiglia non deve mai farsi condizionare dai suoi vissuti di genitore, evocando le proprie esperienze familiari nel caso sottoposto alla sua attenzione. Centrale rimane sempre il reale interesse del minore, il suo ascolto nelle procedure che lo riguardano, in quanto il bambino ha tutta una serie di diritti come persona, prima che come figlio. Tra questi il diritto alla salute e alla sicurezza, allo sviluppo della sua personalità, il diritto alle relazioni che non sono solo parentali, ma anche sociali, amicali e scolastiche, fondamentali, assieme a quelle familiari, per la sua evoluzione. Rispetto, therefore, del fondamentale diritto alla bigenitorialità quale parametro di riferimento per tutte le decisioni che riguardano i figli, ricordando, however, che esso è un diritto e non un dovere del bambino e non dell’adulto.
 
 
Il presente contributo è estratto dalla Prefazione del seguente volume:

La tutela del marito nella crisi della famiglia
Giuseppe Cassano , Ida Grimaldi (the care of), 2017, Maggioli Editore
Aggiornato ai nuovi orientamenti giurisprudenziali in materia di assegno divorzile di cui alla sentenza della Corte di Cassazione 10 May 2017, n. 11504, il testo affronta le tematiche riguardanti la figura del padre/marito nelle vicende della crisi

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