La sanatoria edilizia può essere parziale o soggetta a condizioni?
di Paola Minetti
Il procedimento di sanatoria edilizia è volto a rendere legittima una costruzione, eseguita senza titolo, per cui abusiva, in tutto o in parte, ove esistano le condizioni di conformità della stessa agli strumenti di pianificazione urbanistica.
L’intervento autorizzativo postumo, o, per meglio dire, l’autorizzazione a sanatoria, cioè conseguita dopo aver compiuto l’atto da autorizzare, è un istituto previsto dal nostro ordinamento amministrativo, come principio generale, per cui applicabile anche in materia edilizia, dove, in virtù dell’accoglimento e della disciplina dello stesso nella legge speciale, è sempre possibile ottenere un permesso di costruire successivamente alla esecuzione dei lavori e delle opere.
In particolare la genesi dell’istituto, in campo edilizio, risale alla legge n. 47 del 1985, che riprese la previsione espressa, per la prima volta, nella l. 10 del 1977. Prima di allora si discuteva se ammettere la sanatoria, anche parziale, e si tendeva, comunque, ad ammettere le opere che avessero vizi solo formali, cioè quelle che fossero prive di ogni oggettivo contrasto con l’interesse pubblico.
Oggi l’istituto della sanatoria edilizia è disciplinato dall’articolo 36 d.P.R.. 380 del 2001, che prevede un procedimento a domanda di parte, anche se alcune regioni hanno esteso l’istituto della SCIA anche alla sanatoria edilizia, o accertamento di conformità, come strumento di semplificazione. Peraltro è interessante notare che la disciplina del procedimento in sanatoria è a domanda di parte, mentre nell’allegato A al d.lgs. 222/2016 l’intervento n. 41 della parte II, dedicata agli interventi edilizi, parla di SCIA in sanatoria; pur prevista all’art. 37, zarez 4 d.P.R.. 380/2001.
Sanatoria edilizia: a quale opera si applica?
članak 36 prevede che siano sanabili:
1) le opere eseguite senza permesso di costruire, in difformità totale o con varianti essenziali; il tempo per presentare la richiesta è quello previsto dall’articolo 31 d.P.R.. 380 citato, ossia la scadenza del termine dell’ordinanza di rimozione per demolizione che ha l’effetto, previsto direttamente dalla legge, di trasferire in proprietà della pubblica amministrazione il bene abusivo, il terreno su cui lo stesso insiste, più il terreno circostante lo stesso, fino a dieci volte il perimetro della sagoma del bene;
2) le opere eseguite in difformità, se la domanda sia stata presentata prima che sia esecutivo l’ordine della p.a. di rimozione ossia prima della scadenza del termine di efficacia dell’ordinanza emessa nei confronti del privato proprietario;
3) le opere eseguite in assenza di SCIA nel caso non riguardi lavori previsti all’articolo 22 o nel caso in cui gli stessi possano essere sanati;
4) le opere di ristrutturazione senza titolo. La condizione per ottenere l’accertamento di conformità è che questo requisito del bene sia presente e verificabile sia al momento in cui lo stesso fu edificato sia al momento della presentazione della richiesta alla pubblica amministrazione.
La sanatoria edilizia“giurisprudenziale”
La giurisprudenza amministrativa aveva creato la figura della c.d. sanatoria giurisprudenziale, ammettendo la possibilità di sanare un manufatto abusivo in presenza della sola conformità agli strumenti urbanistici al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Questa visione più “garantista” è stata accantonata negli ultimi anni, che hanno visto le sentenze del giudice amministrativo e della Cassazione penale essere molto più rigorose sul tema.
Basti pensare che il Consiglio di Stato, SEZ. V, n. 3220 dell’11 giugno 2013 ha affermato che non esiste la sanatoria giurisprudenziale. Per meglio dire non ha riconosciuto in capo al privato alcun diritto ad ottenere la sanatoria.
Solo per inciso, è interessante ricordare che la l.r. 15 del 2013 (innovata con ll.rr. 12 del 2017 e 24 del 2017) della Regione Emilia-Romagna è l’unica che disponga in materia di sanatoria giurisprudenziale.
La l.r. n. 16 del 2016 della Sicilia fu impugnata nello stesso disposto e fu dichiarata incostituzionale la norma che lo prevedeva.
Ad avviso di chi scrive la formula della sanatoria giurisprudenziale risponde ad un criterio di valutazione degli interessi in gioco: se le disposizioni sanzionatorie urbanistiche sono dettate dalla necessità di garantire il corretto assetto del territorio previsto dalla pianificazione, quando la stessa non preveda più, come abuso, l’intervento eseguito senza titolo, l’accanimento contro lo stesso è dovuto solo al perseguimento di una diversa finalità, e cioè quella di punire l’azione eseguita sul bene, che può essere oggetto di sanatoria.
Allora la norma sanzionatoria edilizia cambia il suo volto e la finalità, diventando una disposizione atta a colpire il comportamento tenuto dal soggetto agente e non è più rispondente al fine del ripristino della legittimità del bene. Per cui, a parere di chi scrive, si confonde il fine perseguito sul piano penale (che punisce il comportamento del soggetto che ha compiuto l’abuso) con quello amministrativo, che pretende di rendere il bene conforme allo strumento di pianificazione e al regolamento edilizio.
Se lo stesso ordinamento italiano ha creato lo strumento della prescrizione della violazione penalmente sanzionata, quando sia trascorso un lasso di tempo tale per cui l’intervento non sia più causa e motivo di punizione, perché è caduto l’interesse a punire, vale la pena domandarsi per quale motivo, secondo la giurisprudenza amministrativa, qualora mutino le condizioni di pianificazione e le modalità costruttive, occorra ugualmente colpire il bene, sotto il profilo della sanzione amministrativa, pur nei casi in cui allo stesso ordinamento amministrativo non interessi più sanzionare, quindi anche nei casi di intervento ammesso.
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