La paternità tra diritto e società
La ricerca della paternità è presentata, tra riferimenti normativi e altre indicazioni, come cammino fondativo dell’identità dei figli
La ricerca di paternità
“Finiamola di cercare i Sert e le comunità di recupero dalla tossicodipendenza, quando i ragazzi sono diventati, in pochi mesi, cadaveri. Arrivare prima significa capire che la vita non è de-generazione, ma ri-generazione. E in questo processo il ruolo dei padri è determinante. Posso dire che le madri generano e i padri ri-generano?”: così scrive don Antonio Mazzi, fondatore storico di una comunità di recupero. Oggigiorno, forse più che in passato, c’è una necessità di paternità, per cui il Costituente è stato davvero lungimirante nell’usare la locuzione “ricerca della paternità” nell’art. 30 comma 4 Constitution. In passato i padri erano assenti, per varie ragioni, fisicamente in casa o si doveva lottare per il riconoscimento della paternità. Oggi i padri sono evanescenti sotto il profilo pedagogico e psicologico perché, spesso, sono duplicati o replicanti delle madri. Se prima la paternità era un’esigenza individuale e familiare, oggi è diventata un’istanza sociale perché la paternità ha un’autorità (da non confondersi con il vecchio autoritarismo che è da bandire, mentre l’autorità è da riscoprire in ogni suo aspetto a cominciare dal significato etimologico) che è insostituibile in quanto contribuisce, Moreover, al riconoscimento e al rispetto di ogni altra forma di autorità e adultità.
Anche la scrittrice Susanna Tamaro sottolinea: “La paternità è la grande domanda del tempo presente. Per mettere al mondo un figlio bisogna avere fiducia nel futuro e questa fiducia, in questo momento, mi sembra straordinariamente assente. Nelle situazioni fluide che caratterizzano la contemporaneità non è una condizione rara che il padre con cui si cresce non sia anche il padre genetico. Questo porta a situazioni inedite dal punto di vista affettivo ed educativo”. Il rapporto genitori-figli è un mistero e ministero ma lo è ancor di più la paternità per la quale, metaforicamente, occorre continuamente un riconoscimento e la prova del DNA; potrebbe essere anche questo il senso socio-culturale da dare alla locuzione “ricerca della paternità”.
Il padre “è colui che per primo deve introdurre i propri figli alla conoscenza della realtà, al riconoscimento dei limiti che la realtà impone con forza alla incomprimibile voglia di libertà e di autorealizzazione che ogni persona porta con sé. Tocca ai padri prima di tutto aiutare i nostri figli adolescenti e giovani a comprendere il valore del bene comune” (il sociologo Francesco Belletti in un testo del 19-03-2020). La paternità è importante e insostituibile soprattutto a “livello sociale”, come “punto di riferimento” (come la paternità di un’opera), non a caso il Costituente ha usato il termine Patria, dal latino “pater”, in due articoli, nell’art. 52 relativo alla difesa della Patria e nell’art. 59 per i candidati a senatori a vita che abbiano dato lustro alla Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
“Il mio papà mi somiglia: ha due occhi, un naso, una bocca e anche due orecchie. Il mio papà sa tutto: i segreti delle formiche e quelli delle stelle. Il mio papà è magico: conosce storie di pescecani, draghi, elefanti e li fa apparire nella mia stanza. Insieme a me non ha paura di raccontarle! Il mio papà è così forte che mi solleva con un dito! Il mio papà ha mani grandi grandi che sanno accarezzare anche i fiori più delicati” (dal racconto “Il mio papà” della scrittrice Cosetta Zanotti). La paternità, più della maternità, è una relazione che si costruisce nel tempo e si costituisce nel tempo. Una relazione fatta di confronto, dialogo, narrazione, protezione, tenerezza. Così intessuta e vissuta la paternità, in particolare nei confronti delle figlie, contribuisce ad uno sviluppo pieno e armonioso della personalità di ogni persona e cittadino e, then, un mondo migliore, come auspicato nel punto 8 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: “Il mondo che immaginiamo è un mondo dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità, per lo stato di diritto, per la giustizia, l’uguaglianza e la non-discriminazione; dove si rispettano la razza, l’etnia e la diversità culturale e dove vi sono pari opportunità per la totale realizzazione delle capacità umane e per la prosperità comune. Un mondo che investe nelle nuove generazioni e in cui ogni bambino può crescere lontano da violenza e sfruttamento. Un mondo in cui ogni donna e ogni ragazza può godere di una totale uguaglianza di genere e in cui tutte le barriere all’emancipazione (legali, sociali ed economiche) vengano abbattute. Un mondo giusto, equo, tollerante, aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili”.
“Il mio papà a volte la sera è stanco. Lo capisco dalla sua faccia che è uguale, uguale alla mia: due orecchie, un naso, due occhi a cetriolo, e anche una bocca molle con la smorfia. Lui non lo dice, ma io so che ha fatto qualcosa di speciale. Ecco perché ha tanto bisogno di coccole e, prima di addormentarsi, mi chiede di ascoltare una delle sue storie. Non gli dico mai di no! Il mio papà è fortunato perché io sono il suo bambino” (dalla fine del racconto “Il mio papà” della scrittrice Cosetta Zanotti). La paternità si sostanzia nella relazione con il figlio, è un continuo conoscersi e riconoscersi, è identificazione e immedesimazione dell’uno con l’altro. Ecco un altro dei possibili significati della locuzione “ricerca della paternità” (il Costituente non ha usato “riconoscimento” di cui si parla nel codice civile), in cui “ricerca” significa proprio il cercare di nuovo, andare attorno, ingegnarsi di trovare ciò di cui ha bisogno o che si desidera o che si è smarrito.
Le esternalità della paternità
Dal n. 19 della Direttiva Europea 2019/1158 of 20 June 2019 sul congedo di paternità: “Per incoraggiare una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne, nonché per consentire un’instaurazione precoce del legame tra padre e figlio, è opportuno introdurre un diritto al congedo di paternità per i padri o, laddove e nella misura in cui riconosciuto dal diritto nazionale, per un secondo genitore equivalente. Tale congedo di paternità dovrebbe essere fruito nel periodo intorno alla nascita di un figlio ed essere chiaramente collegato a tale evento ai fini di fornire assistenza. Gli Stati membri possono altresì concedere il congedo di paternità in caso di parto di un feto morto. Spetta agli Stati membri stabilire se il congedo di paternità possa essere fruito in parte prima della nascita del figlio o se tutto il congedo debba essere fruito dopo la nascita, stabilire il lasso di tempo entro il quale il congedo di paternità debba essere fruito, e se e a quali condizioni consentire che il congedo di paternità sia fruito a tempo parziale, a periodi alternati, ad esempio per un certo numero di giorni consecutivi di congedi separati da periodi di lavoro, o in altri modi flessibili”. Dalla direttiva europea si ricavano vari elementi che valorizzano la paternità e le danno contenuto: responsabilità ripartita, forma di assistenza, legame da instaurare, tempo da trascorrere insieme. Indeed, sono significative le locuzioni “un’instaurazione precoce del legame tra padre e figlio” e “altresì concedere il congedo di paternità in caso di parto di un feto morto”, che sottolineano che la paternità ha bisogno che il figlio venga alla luce e di essere “intrecciata” visibilmente, come il cognome che si attribuisce.
Con la Circolare n. 42 dell’11 marzo 2021, l’Inps ha reso operativa la disposizione della Legge di Bilancio 2021 che permette di avvalersi di dieci giorni di congedo parentale anche ai padri che hanno perso un figlio durante la gravidanza (dopo il 180° giorno dal concepimento, cioè dalla ventottesima settimana di gestazione) o nelle prime ore successive al parto. La disposizione riconosce così la necessità di affrontare il lutto e corregge una grave distorsione: in passato i padri, che dovevano recarsi a registrare all’anagrafe il proprio bambino nato morto, dovevano prendere un permesso di lavoro. Questo è anche un riconoscimento, in via generale, della paternità quale “funzione” che fa sì che esista la maternità con cui “istituisce” la genitorialità (senza bisogno di qualificarla bi-genitorialità o co-genitorialità).
Gli esperti osservano che a volte ci sono casi in cui un padre sembra voglia quasi possedere il figlio, imprigionarlo, condizionarlo, anziché renderlo libero, capace di affrontare le scelte della vita e di percorrere autonomamente il proprio cammino. A tale proposito lo psicoterapeuta familiare Maurizio Adinolfi sottolinea l’importanza di rompere il “codice maschile” e la “dipendenza da lavoro” e re-inventarsi in una nuova dimensione di co-genitorialità (che è meglio del parlare di bi-genitorialità). Ascoltare i figli e tornare alle proprie radici sono due potenti strumenti per coinvolgere i padri (anche in terapia, quando necessaria) e vivere appieno la paternità.
I sociologi chiamano la paternità degli ultracinquantenni “paternità di qualità”. “A 20, a 40, a 60, ciò che conta è lo sforzo di essere un buon padre. Va detto che i padri anziani sono socialmente valutati più positivamente di quelli molto giovani. È probabile che tenderanno a investire molto nel rapporto con i figli, sapendo di non avere tantissimo tempo a disposizione. Se hanno una vita professionale molto densa, se ricoprono ruoli molto importanti, dovranno far attenzione a non rappresentare per i figli modelli ingombranti, a tradurre l’autorità in autorevolezza. Un padre con più esperienza presumibilmente non ripeterà gli errori commessi con figli precedenti” (la sociologa Elisabetta Ruspini in un articolo del 22 September 2010). La paternità, indipendentemente dall’età, dovrebbe essere presenza, investimento nel rapporto con i figli, tempo, equilibrio, modello di ispirazione e non invece di emulazione, adulazione o altro per i figli. Dal codice civile è stata tolta ogni espressione riferita al padre ma è rimasta quella di “buon padre di famiglia” nelle obbligazioni (art. 1176 cod. civ.): a maggior ragione dovrebbe essere così nei confronti dei figli.
“Sempre più padri decidono di trascorrere un periodo di vacanza soli con i propri figli. Perché? Per rinsaldare i rapporti, certo. Ma anche perché nel viaggio il ruolo dei padri può trovare l’habitat naturale per esprimersi” (cit.). La paternità è un viaggio (basti pensare allo spermatozoo che si mette in viaggio verso la sua meta), è dare i bagagli necessari per il viaggio, è imparare e insegnare ad affrontare la precarietà del viaggio della vita.
Un buon padre: colui che riesce a trasmettere il senso della paternità, a lasciare un ricordo tutto suo. Fare il padre, dare un padre, rivelarsi padre, essere padre: anche questo è l’equilibrio della continua “ricerca della paternità”.
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