La differenza tra ingiuria, diffamazione e calunnia

Spesso nel linguaggio comune, i termini “ingiuria”, “diffamazione” e “calunnia” vengono utilizzati in relazione allo stesso significato, mentre per il diritto si tratta di tre illeciti diversi tra loro.
L’ingiuria è l’offesa recata all’onore e al decoro di una persona presente quando viene proferita la frase. Se la vittima si trova altrove non si può parlare di ingiuria.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che ci sia ingiuria nella lettera indirizzata a una professoressa dalla madre di un alunno bocciato, nella quale si affermava come l’insegnante “non fosse degna” del proprio alunno e avesse in modo consapevole evitato di tenere conto dei progressi del ragazzo. Entrambe le espressioni sono state ritenute offensive perché offendono le qualità morali e professionali dell’insegnante ritenuta non all’altezza di insegnare all’alunno e scorretta nel compiere il proprio dovere.
La diffamazione è l’offesa nei confronti della reputazione altrui commessa comunicando con altre persone, che devono essere almeno due o più di due. In questo caso di solito la vittima non è presente. Non si può avere diffamazione quando si parla male di un’altra persona con un’altra. Il reato si ha lo stesso se l’episodio si ripete in modo sistematico con altre persone, da configurare la comunicazione, anche se non contemporanea, con più soggetti.
Ad esempio:
Tizio parla male di Caio attribuendogli dei fatti diffamanti, prima con Sempronio, poi con Mevio, poi con altri.
La calunnia si ha quando una persona viene accusata ingiustamente, davanti a una pubblica autorità, di un fatto che non è vero. L’autore del reato deve essere in malafede, deve agire conoscendo l’altrui innocenza. Non si ha calunnia se una persona denuncia o querela un’altra senza prove o se ignora la corretta interpretazione della legge.
Ingiuria e diffamazione non possono essere puniti se commessi in uno stato di rabbia determinato dall’aver subito, dalla stessa vittima, una precedente ingiuria o diffamazione. Si può reagire alle parole con le parole, non con intimidazioni o violenze. È però necessario che la reazione sia immediata e frutto dell’ira del momento. Non deve essere una vendetta, servita dopo molto tempo, in casi simili scatterebbe il reato.
Per punire il colpevole di diffamazione è necessario presentare una querela alle autorità. Si può andare dai carabinieri o dalla polizia o depositare l’atto presso la Procura della Repubblica. Se la diffamazione avviene a mezzo internet, come nel caso di un post offensivo su Facebook o una notizia veicolata su un sito, si ha un’aggravante. In simili ipotesi la querela può essere presentata alla polizia postale. Per il deposito della querela non è necessaria la presenza dell’avvocato. Le dichiarazioni della vittima verranno verbalizzate dalle autorità che procederanno a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica
L’ingiuria non è più reato. Oggi è un illecito civile. Per punire l’ingiuria non si può procedere a una querela alla polizia o ai carabinieri, come avviene per la diffamazione. Si deve procedere con una causa civile che si può fare attraverso il proprio avvocato. All’esito del procedimento il giudice condannerà il responsabile al risarcimento del danno e a pagare una multa allo Stato (da 200 euro a 12 mila euro). Per ottenere il risarcimento si dovrà dimostrare l’evento e il danno subito. T Maggiore è il danno, superiore sarà la misura del risarcimento.
Se una persona, a seguito di una diffamazione, ha dovuto sopportare a lungo l’imbarazzo di essere guardata con sospetto da altre persone, vicini di casa, colleghi di lavoro oppure altri soggetti con i quali ha rapporti nella vita quotidiana, ha diritto ad essere risarcita. La giurisprudenza ritiene che il soggetto offeso possa chiedere un risarcimento economico anche per il danno morale subito. Il danno morale consiste nella sofferenza fisica o psichica che l’offeso ha dovuto sopportare a causa di un fatto illecito altrui e la sua liquidazione viene stabilita, caso per caso, dal singolo giudice.
Offendere la reputazione altrui configura sempre il reato di diffamazione perché l’avere commesso un fatto, anche se riprovevole, non comporta la perdita del diritto all’onore e alla reputazione. È reato chiamare “ladro” il ladro, “truffatore” il truffatore e simili. La rappresentazione del fatto è diversa.
Dire che Tizio è stato condannato per corruzione non è diffamazione, ma la notizia deve essere ancora attuale. Ripescare notizie vecchie, e non più di pubblico interesse, allo scopo di arrecare danno al soggetto interessato, implica la violazione del cosiddetto diritto all’oblio.
 
 
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