Intelligenza artificiale e giustizia

Intelligenza artificiale: come si applica al processo
Questo contributo è tratto da

Giusto processo e intelligenza artificiale
Claudio CastelliDaniela Piana, 2019, 马格斯出版商
Il volume coniuga l’analisi normativa e l’analisi funzionale della trasformazione indotta dalla tecnologia, verificando la possibilità che la giustizia sia amministrata con l’ausilio di dispositivi computazionali automatizzati, quali gli algoritmi. Si parla dunque di

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L’incontro fra la tecnologia e la giustizia, in particolare fra quel tipo di tecnologia che permette la digitalizzazione e la gestione su base telematica dei flussi documentali che si dispiegano nel corso del procedimento giudiziario, ha vissuto almeno due stagioni. Una prima stagione è stata caratterizzata da una enfasi particolare posta sulla correlazione prospettata fra innovazione tecnologica e aumento della efficienza. Come è stato mostrato nel capitolo 3 il rapporto fra qualità della giustizia e tempi della risposta giudiziaria è diventato una issue di politica pubblica a partire dagli anni 2000 e ancor più dopo la crisi economica in molti paesi europei. Per l’Italia il peso assunto dalle sanzioni di Strasburgo in ragione della violazione dell’articolo 6 della CEDU ha giocato il ruolo di motore nel condurre al diffuso riconoscimento della priorità da assegnare al tema della efficienza e della tempestività nella gestione dei fascicoli, nella definizione dei procedimenti, nella esecuzione delle sentenze. Performance e efficienza, come già si è detto, non esauriscono l’ampio ventaglio di dimensioni che compongono la “qualità” della giustizia. Tuttavia esse hanno rappresentato il punto di ancoraggio del consenso istituzionale che progressivamente si è visto convergere sulla scelta della procedura telematica. Per quanto la tecnologia non sia soltanto uno strumento di riduzione dei costi di “produzione” del servizio giustizia, ma comporti una mutazione qualitativa del modus operandi di tribunali e procure, nonché della avvocatura nella sua interazione con il cittadino e con il sistema giudiziario, la prima stagione tecnologica ha avuto come connotazione principale quella “efficientista”. Solo in seguito, soprattutto a fronte della crescita e del consolidamento delle banche dati giurisprudenziali, rese possibili anche dalla digitalizzazione dei documenti che intervengono nel corso dello svolgimento del procedimento giudiziario, la tecnologia è divenuta precondizione alla possibilità di ragionare in una ottica sistemica sull’andamento della giurisprudenza, sulla qualità della giustizia intesa come prevedibilità, ossia come esistenza di effetti di convergenza non solo nei dispositivi, ma anche nelle evoluzioni argomentative, categoriali del diritto sostanziali in via interpretativa su base casistica. Prevedibilità e giurisprudenza evolutiva sono due punti in tensione dinamica. Il sistema giustizia infatti contempera momenti di norme giuridiche e applicazioni ai casi individuali che chiedono di essere al contempo adattivi e prevedibili, ossia stabili.
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La seconda stagione della tecnologia mette l’accento sul potenziale cognitivo, prima che organizzativo, dell’innovazione, visto che l’analisi di banche dati fatta con strumenti ad alta capacità computazionale permette di conoscere gli andamenti pregressi, individuare potenziali e probabilità di stabilizzazioni della giurisprudenza, soprattutto se messe in relazione con gli effetti della massimazione. Quelle due stagioni oggi appaiono precondizioni di una terza stagione, nella quale la tecnologia entra nel mondo della giustizia in connubio con le scienze matematiche e statistiche. Questa fase può essere considerata foriera di conseguenze trasformative sia nel modo di pensare la giustizia sia nel modo di assicurare il giusto processo sia sul metodo di governance giudiziaria. L’analisi dei big data e la elaborazione, attraverso processi di apprendimento automatico o parzialmente sottoposto al controllo umano, di algoritmi che a loro volta applicano modelli e pattern di previsibilità a casi o a tipi di casi rappresenta una ulteriore trasformazione che non solo tocca la efficienza – un algoritmo calcola in modo più rapido di una mente umana – e la prevedibilità. Questa stagione tocca in modo profondo le garanzie e quindi il sistema della governance dei sistemi giustizia, che con le sue norme di carattere ordinamentale e processuale, si è sviluppata nel corso dei decenni, dei secoli finanche, al fine di assicurare – tenuto conto del modificarsi dei contesti sociali politici ed istituzionali – il rispetto di due principi fondanti lo Stato di diritto: eguaglianza ed imparzialità.
La tecnologia in funzione dell’uguale trattamento dinanzi alla legge
L’idea di eguaglianza dinnanzi alla legge e la conseguente necessaria indipendenza dell’organo che in prima istanza è chiamato ad applicare le leggi in uno Stato costituzionale è così radicata nella cultura politica delle democrazie avanzate che quando si verificano delle condizioni per cui l’eguaglianza non viene rispettata la legittimità stessa delle istituzioni, non solo della magistratura, è messa in discussione. Affrontare il tema della uguaglianza dinnanzi alla legge significa dunque toccare un nervo vitale della legittimazione democratica e istituzionale. In fondo, nessun cittadino sottoscrive ogni giorno realmente il patto democratico, ma lo fa in silenzio, implicitamente accettando e seguendo le regole del vivere civile. Se così non fosse si vivrebbe in uno stato di polizia o in uno stato di natura hobbesiano, costretto a negoziare di giorno in giorno le regole del gioco sociale. Tuttavia il solo fatto di non sentirsi più garantiti rispetto alla uguaglianza, anche senza avere necessariamente prove concrete che la legge non sia applicata in modo uguale per tutti, costituisce di per sé un problema di cui non è possibile tacere. Non solo perché la stessa idea di uguaglianza dinnanzi alla legge ha un potere evocativo così elevato che la sua negazione è utilizzata nel discorso mediatico e politico proprio per denunciare le cosiddette “ingiustizie”, o persino certi specifici interventi normativi non orientati alla tutela dell’interesse generale. Ma anche perché la legittimità stessa dell’azione della magistratura dipende da come il cittadino percepisce l’operato del magistrato. La sottolineatura qui va sul termine “percepisce”. Il cittadino non ha – né si suppone debba avere – le conoscenze tecniche e specialistiche per apprezzare quanto accade nel lungo e complesso iter che caratterizza un processo. Sovente, si affida ad un legale. Quando non è così, può conoscere la traiettoria del processo, ma difficilmente conoscerà cosa accade nella vita organizzativa e lavorativa quotidiana di un tribunale. Perché dunque affidarsi ad un giudice? Perché il cittadino chiede giustizia e la chiede alla istituzione da cui si attende una giustizia giusta. Il World Justice Project ha pubblicato nel 2017 una interessante rilevazione nel caso italiano: i cittadini percepiscono che la giustizia civile è lenta e poco accessibile, ma impersonale, mentre percepiscono la giustizia penale efficace ma meno impersonale. Per questo diventa molto facile avvalorare la tesi – per quanto riduttiva – che vedrebbe nella introduzione di strumenti di automazione nel mondo della giustizia un modus operandi capace di massimizzare al contempo efficienza – i costi si riducono drasticamente – accesso – le legaltech rendono disponibili on line in diversi paesi servizi di legal triage – e prevedibilità. È così? E soprattutto è quello che il cittadino chiede? Chiedere giustizia non è soltanto chiedere di essere uguali dinnanzi alla legge. Quest’ultima è la precondizione necessaria perché vi sia una giustizia “giusta”. Ma non è una condizione sufficiente. Cosa si intende infatti per “giustizia giusta”? La domanda è complessa e richiede una trattazione articolata. In generale possiamo dire, già facendo appello al senso comune, che la giustizia giusta non è solo la mera applicazione della legge.
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