Infortuni sul lavoro: responsabilità e risarcimento
Le interazioni tra diritto civile e diritto previdenziale
Non vi è dubbio che per comprendere appieno gli elementi caratterizzanti la responsabilità civile del datore per infortunio sul lavoro è necessario partire dalle imprescindibili connessioni tra l’area civilistica e quella previdenziale (sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni) relativa, naročito, al danno biologico.
All’inizio degli anni Novanta, infatti, la Consulta aveva segnalato con ferma determinazione la necessità che l’assicurazione sociale obbligatoria contro gli infortuni e le tecnopatie dovesse considerare primariamente.
Dopo reiterati inviti dello stesso giudice e dopo alcuni falliti tentativi di pervenire ad una revisione della disciplina infortunistica anche attraverso le indicazioni rese da varie commissioni di esperti nominate dall’Inail, il danno biologico patito dal lavoratore è stato infatti finalmente inserito nel sistema assicurativo-previdenziale ad opera del d.lgs. n. 38 del 23 veljača 2000, che ha riscritto il meccanismo delle pubbliche erogazioni.
In questo settore, in cui l’intervento del legislatore era imprescindibile per poter rendere compatibile con l’art. 32 Cost. la disciplina del d.P.R. n. 1124/1965, è scaturita una riforma dichiaratamente sperimentale, completata dal decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che ha approvato – con un certo
ritardo rispetto ai termini inizialmente previsti – le tabelle in base alle quali vengono determinati gli indennizzi corrisposti dall’ente previdenziale.
Per lo studioso della materia questo provvedimento normativo assume un particolare interesse: si tratta infatti della prima riforma in ambito pubblicistico governata dalla giurisprudenza costituzionale ed orientata dai principi del nuovo diritto privato in tema di danno alla persona.
Il problema del calcolo del danno non patrimoniale, complessivamente inteso. Ipotesi risolutive
La liquidazione del danno non patrimoniale, che in questa sede merita giusto un cenno, comporta notevoli problemi, per l’ampia discrezionalità che connota il criterio equitativo impiegato dai giudici.
Generalmente si utilizza la retribuzione o una sua quota-parte; un parametro che però può comportare delle ingiustizie ovvero che vicende analoghe vengano trattate in modo molto diverso e che i danni siano liquidati con somme dissimili, anche in caso di gravità non proporzionali.
Vi è pertanto la possibilità che la scelta integri un “puro arbitrio del singolo giudice, senza alcuna garanzia di proporzionalità monetaria tra risarcimento e gravità dell’offesa, di parità di trattamento a parità di indizi dimostrati e di un minimo di prevedibilità del quantum”.
L’unico obbligo per il giudice è quello di motivazione, indicando l’iter logico seguito e salvo solo il ricorso a parametri o a ragioni incongrui o illogici.
Il rischio sotteso all’ancoraggio del danno alla retribuzione è di una “patrimonializzazione” della posta risarcitoria, legando la dignità del lavoratore alla sua capacità di produrre reddito.
Un metodo più congruo sarebbe quello di prescindere da un parametro rigidamente retributivo; mentre andrebbero seguiti come criteri di liquidazione i precedenti giurisprudenziali, la graduazione degli interessi, il tempo di durata della violazione, il grado della lesione, la posizione delle parti.
Una tale pluralità di criteri che consenta di superare i due rischi (come nel danno biologico) legati da una parte alla patrimonializzazione del risarcimento e dall’altro ad un appiattimento eccessivamente egualitaristico dei risarcimenti (che violerebbe il principio di uguaglianza sostanziale), che prescinda dal concreto atteggiarsi, caso per caso, dei diritti non patrimoniali lesi, e non consenta una “personalizzazione” della liquidazione del danno.
Alla fine una soluzione positiva potrebbe essere l’elaborazione di una sorta di tabella di base ma da adattare, con criteri oggettivi fissati dal legislatore, alle peculiarità della lesione.
Il fondamento normativo della responsabilità civile del datore
Il palesato intento di spostare il piano di ricerca dal momento indennitario al momento risarcitorio, conduce inevitabilmente l’indagine all’obbligo di sicurezza nell’ambiente di lavoro ed alla disciplina ex art. 2087 c.c. (tematiche su cui è incentrata l’intera materia della sicurezza sul lavoro), la cui centralità e portata estensiva sono state colte ed affermate in tempi relativamente recenti, così fuoriuscendo dall’alveo di altri rami della responsabilità civile.
La responsabilità civile datoriale, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, si fonda – come noto – sull’art. 2087 C.C., disposizione normativa di ampia portata, qualificata talora alla stregua di norma di chiusura del sistema antinfortunistico, che impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le cautele generiche di diligenza e di prudenza, nonché di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente.
In forza della previsione di cui all’art. 2087 c.c. e delle disposizioni specifiche individuate dalla normativa
antinfortunistica, il datore di lavoro è elevato a garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro.
I presenti contributi sono tratti da
Risarcimento dei danni e responsabilità per infortuni sul lavoro
Daniele Iarussi, 2017, Maggs Izdavač
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