In regime di separazione, quando la costruzione da parte di un coniuge è possibile e quando non lo è
Quando due coniugi decidono di separarsi procedono, di comune accordo, alla divisione degli acquisti effettuati durante il matrimonio.
Se tra loro non c’è intesa, si rivolgono al tribunale che procede alla divisione della comunione a fronte di un regolare giudizio, nel quale vengono fissate anche le condizioni della separazione.
A volte, complice il clima di tensione rivolto a rendere più difficile la vita all’ex e ottenere qualcosa in più, si passano in rassegna anche gli atti di amministrazione compiuti in precedenza sui beni della comunione per verificare se questi siano stati realizzati nel rispetto delle condizioni previste dalla legge.
In relazione a queste circostanze, il codice civile impone che per gli atti di straordinaria amministrazione (ad es. vendita o modifica della destinazione d’uso di un bene), è necessario il consenso di entrambi i coniugi, mentre per quelli di ordinaria amministrazione ciascuno dei due può agire per proprio conto e senza autorizzazioni.
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, 该 4676/2018, si è espressa in relazione alla possibilità di una costruzione, quando ci deve essere comune accordo tra i coniugi separati e quando non si deve attestare la volontà comune.
Se la costruzione viene effettuata su un terreno di proprietà esclusiva di uno dei due coniugi, che non fa parte nella comunione legale, se il terreno era di proprietà di uno dei coniugi prima che si sposasse non entra in comunione.
Se è divenuto di proprietà di uno dei due coniugi dopo il matrimonio a seguito di donazione o di successione ereditaria non è in comunione.
Se viene acquistato da uno dei due coniugi, con denaro proprio, in un regime di separazione dei beni, non lo è lo stesso.
Il codice civile fissa una regola denominata accessione, secondo la quale il proprietario di un terreno diventa titolare degli immobili o delle piantagioni che lui stesso o altre persone realizzano sulla sua proprietà, sia che lo facciano in buona fede o in malafede.
La casa costruita sul terreno dell’altro coniuge diventa di sua proprietà, e chi l’ha realizzata a proprie spese, non potendo chiedere la divisione dell’immobile, può esigere il rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dello stesso.
Secondo le Sezioni Unite della Cassazione, se una coppia di coniugi, in separazione dei beni, acquista un terreno per realizzare una casa, lo stesso finisce in comproprietà, e anche in questo caso vale la regola dell’accessione, secondo la quale la casa va divisa tra marito e moglie all’atto della separazione e chi ha sostenuto le spese per la costruzione deve essere risarcito dall’ex coniuge.
Viene sempre fatta salva la possibilità di un diverso accordo tra i due, che dovrà risultare nell’atto del notaio.
Se un terreno è acquistato da una coppia in comunione dei beni, l’immobile è in comproprietà perché ricade nella comunione.
In questo caso, l’amministrazione ordinaria dei beni della comunione spetta in modo disgiunto ad entrambi i coniugi, e gli atti di straordinaria amministrazione spettano agli stessi in modo congiunto.
Costituisce un esempio la vendita o la concessione di un’ipoteca sul bene o la realizzazione di un fondo patrimoniale, dove rientra anche la costruzione sul terreno comune.
Se uno dei due coniugi realizza un atto di straordinaria amministrazione senza il consenso dell’altro, l’atto, se relativo a se beni immobili o mobili iscritti nei pubblici registri (auto, moto,), è annullabile, con un termine per proporre l’azione molto breve, un anno dalla data nella quale il coniuge che dissente ha avuto conoscenza dell’atto, oppure entro un anno dalla data di trascrizione.
Se uno dei due coniugi realizza una costruzione sul terreno in comunione senza il consenso dell’altro, costui può impugnare l’atto entro un anno. Se non lo fa, la costruzione resta valida e non può più essere contestata al momento della separazione.
In questo caso, l’immobile andrà diviso in quote uguali, e chi ha sostenuto integralmente la spesa ha diritto a ottenere, da parte dell’altro, il risarcimento dei costi sostenuti.
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