Il rapporto tra doveri e diritti
Tra modernità e contemporaneità
La proporzione in sé non è che “il senso di estensione probabile della conoscenza mediante l’uso di somiglianze generiche che si possono addurre tra situazioni diverse” (Abbagnano, Dizionario di Filosofia, voce Analogia). Kant distinguendo tra l’analogia in matematica e quella filosofica viene a considerare l’eguaglianza espressa da quest’ultima come un rapporto qualitativo, che si distingue dal rapporto quantitativo dato in termini certi proprio della matematica.
Trattasi quindi di una “regola” da trarsi dall’esperienza e identificare in un preciso “segno” che lo ponga in un ordine naturale, tale elemento viene ad incidere nel rapporto diritti/doveri, dove i doveri assumono anche un valore morale che si pone oltre il puro rispetto della legge, ossia il solo conformarsi all’azione legale.
Diventa pertanto un ordine razionale necessario al comportamento umano, in cui viene a confluire e potenzialmente a configgere con l’etica fondata sull’utile (Bentham), di cui tuttavia ne resta la necessità sia individuale che sociale riconosciuta indirettamente dallo stesso Kelsen, nel momento in cui osserva non dovervi essere una tensione superiore ad un determinato limite tra la norma e l’esistenza, contenente in sé il rapporto dovere-utilità.
Kant nel distinguere tra “principio soggettivo della volontà” (massima) e principio oggettivo, quindi “universale di condotta” (zakon), osserva il potenziale conflitto che ne può sorgere fino al disattendere della legge stessa.
La norma d’altronde ha in sé due concetti, quello di criterio per riconoscere e realizzare valori assoluti, un altro tecnico quale procedura per garantire l’efficace svolgimento di una determinata attività (Dewey).
Viene pertanto in discussione il concetto di critica dei valori che Dewey definisce quale disciplina intelligente delle scelte, in cui si considera primariamente il rapporto tra mezzi e fini, a cui affiancare la considerazione della connessione tra il valore e la situazione in atto della realtà (Frondizi).
Ne risulta che il valore è innanzitutto un preferibile, ossia l’anticipazione dell’oggetto o di una attesa normativa (Dewey), ma anche in ogni caso un criterio di giudizio (Morris), pertanto il valore tende a una pretesa di universalità e permanenza nella possibilità della scelta (Abbagnano), nel quale il valore e le norme nascono e muoiono “nella storia” (Dilthey), questo è il processo che trasforma il dovere come i diritti dall’immagine medievale del “vassus” alla modernità dello stato etico e alla successiva liquidità tecnologica del contemporaneo.
La scoperta dell’estetica nel XVIII secolo comporta l’inizio della scoperta dell’esperienza estetica quale esperienza dell’anima, una progressiva emersione degli aspetti psicologici dell’essere, che dal puro atteggiamento estetico conduce all’affermazione dei diritti dell’individuo quale depositario di pulsioni e sentimenti (Tatarkiewicz).
L’individuo tuttavia è al contempo destinatario di specifici doveri, che passano da un rapporto vassallatico gerarchico personale, ad un rapporto astratto verso la Corona in cui lo Stato assume progressivamente una forma definita, il nuovo Leviatano (Hobbes).
Con la Rivoluzione francese lo Stato diventa etico e come tale richiede ai suoi cittadini il massimo sacrificio, la Comunità diventa Nazione fornita di una propria Storia riletta in funzione di un “destino comune”, espressione di una crescente potenza economica e tecnologica.
I diritti sono affiancati da forti doveri, la cittadinanza con i suoi diritti presuppone il dover essere, un dovere talmente forte che, gerarchizzata nella nuova produzione industriale, sfocerà negli assolutismi e nelle Guerre del Novecento.
Nel periodo che intercorre tra lo sgretolarsi del rapporto vassallatico e la nuova disciplina del lavoro di fabbrica, vi è un accrescersi dell’area di indipendenza definita dai “signori” come “pigra e turbolenta”, sfuggente al vecchio paternalismo e ai suoi doveri vassallatici ma non ancora inquadrata nei nuovi doveri di produzione, una parentesi di parziale e personale libertà non consolidatasi in diritti.
Solo dalla metà del ‘900 dopo due Guerre Mondiali, una profonda crisi economica e la parabola dell’autoritarismo, inizia un nuovo periodo di espansione economica, almeno inizialmente in Occidente, con la rivendicazione e l’affermarsi di sempre nuovi diritti e l’inversamente perdita di doveri, fino a che con il dissolversi del blocco Orientale sembra iniziarsi una infinita crescita dei diritti.
La nuova tecnologia che si afferma nel volgere del Millennio, nell’imporre una comunicazione continua e permanente, sembra favorire un infinito accrescersi della comunicazione e dei connessi diritti, il controllo diventa informaticamente indiretto favorito da una apparente e pilotata libertà, con uno svanire del concetto di dovere se non contrattuale e imposto in via personale.
Lo sperimentare diventa un elemento economico, questo comporta la perdita dei doveri quale vecchio retaggio, ma l’inverso della medaglia è la precarietà, un diritto potenzialmente esistente ma di fatto svuotato, favorente la parcellizzazione dell’individuo proprio del nuovo sistema economico, un adattamento culturale alle nuove tecnologie.
Politicamente si risolve in una frantumazione territoriale e al contempo in una contrapposizione tra due culture, l’una della produzione e l’altra del consumo, in una schizofrenia normativa difficile da ricomporre, la Comunità diventa nella modernità Nazione “monolitica” e si trasforma al volgere del ‘900 in una Nazione “liquida” (Bauman).
La liquidità dello Stato è lo specchio di un conflitto, tra la realtà del quotidiano ossia del contesto locale del vivere, con la realtà virtuale della globalizzazione, di essere nel mondo come una infinità di luoghi possibili.
L’attuale crisi sembra rispecchiare quella tra le due Guerre del primo Novecento, quando crisi economica e culturale vennero ad esplodere grazie all’accelerazione della Grande Guerra, ma in quella occasione mancò un “convitato di pietra” che apparve nel secondo dopo Guerra, la presenza di due blocchi opposti i quali stabilizzarono con metodi diversi le rispettive aree di influenza. Anche attualmente due “convitati di pietra”, la finanza mondiale e l’ U.E. mediante la moneta unica, pongono i limiti della realtà ai sogni virtuali.
D’altronde il venire meno del rapporto civico diritti-doveri con la conseguente limitazione dei diritti da parte dei doveri, fa sì che gli stessi diventino evanescenti, sempre più assoluti ma al contempo svuotati, in un individualismo utile alla trasformazione da soggetti produttori a puri consumatori, apparentemente liberi ma nella realtà filtrati e incanalati, non con autorità ma con l’illusione di perseguire una propria libertà di scelta.
The post Il rapporto tra doveri e diritti appeared first on Diritto.it.
Izvor: Diritto.it