“Far tacere le armi e cedere il passo alla diplomazia”: un appello
La proposta è per il cessate-il-fuoco, con l’avvio di negoziati su tre obiettivi: 1) simmetrico ritiro delle truppe e delle sanzioni; 2) neutralità̀ dell’Ucraina sotto tutela dell’ONU; 3) referendum gestiti da Autorità̀ internazionali nei territori contesi. L’idea è anche per una nuova Conferenza sulla Sicurezza in Europa, per promuovere il “ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei”. Il documento individua le priorità e traccia alcune linee-guida, ma vuole essere anche un consiglio derivante dalla lunga esperienza di ex ambasciatori: un progetto di pace va tracciato in questa fase su tratti essenziali.
In questa prospettiva, l’avvio di un negoziato non deve tradursi in una resa dell’Ucraina, o in una tregua che possa consentire alla Russia di rilanciare la minaccia. Anche in previsione del G20 di Bali che si svolgerà a metà novembre, sarà perciò il caso di rilanciare anche l’idea di una Conferenza multilaterale sulla pace: per ripartire dai principi di diritto che sono alla base dell’ordine internazionale per tradurli in concreto su tutti i dossier aperti, dall’Ucraina a Taiwan, e per gli altri scenari di crisi.
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Gli ex diplomatici danno voce alle istanze per la pace
Le prospettive sulla escalation nucleare e convenzionale
Cedere il passo alla diplomazia: il negoziato sul cessate-il fuoco
Un progetto per la pace che riaffermi il diritto internazionale
1. Gli ex diplomatici danno voce alle istanze per la pace
In questi giorni di crescente escalation della crisi, oltre alle iniziative dei movimenti pacifisti merita attenzione l’appello promosso per l’avvio di negoziati sull’Ucraina da un gruppo di oltre quaranta diplomatici italiani non più in servizio. Si tratta di ex ambasciatori che hanno ricoperto importanti ruoli internazionali, come nel caso di Antonio Armellini, Maria Assunta Accili, Rocco Cangelosi, Paolo Foresti, Armando Sanguini, Riccardo Sessa, Domenico Vecchioni. L’iniziativa è stata ripresa solo da alcune testate probabilmente perché i proponenti non ricoprono più ruoli ufficiali, ma ciò non sminuisce la rilevanza dal documento anche perché si tratta di persone di grande esperienza e alcuni di essi sono ancora analisti seguiti dai media e in pubblicazioni specialistiche. Essendo peraltro non più vincolati formalmente da obblighi di riserbo rispetto alle scelte “politiche” della Farnesina, in realtà potrebbero anche avere espresso un sentire condiviso dalla diplomazia ufficiale. In ogni caso la loro è un’analisi motivata su più punti e articolata in una proposta compiuta, per cui appare quanto mai opportuno valutarne il contenuto, anche nel coglierne eventuali aspetti critici su cui maturare altre riflessioni e proposte.
La nota inquadra la situazione evidenziando il rischio di “scenari devastanti, che potrebbero mettere in pericolo la vita di milioni di persone e sfociare in un inverno nucleare”. Il documento richiama quindi le dichiarazioni di Putin secondo cui “se la sicurezza nazionale russa è messa in pericolo dall’avanzata ucraina sostenuta dalla NATO, il ricorso all’arma atomica diverrebbe plausibile, in accordo con la dottrina strategica militare russa”. Per gli ex diplomatici dunque “la reazione della NATO, di fronte all’impiego dell’arma nucleare tattica, sarebbe devastante ed esporrebbe la Russia a gravi rappresaglie, che sfocerebbero in uno scontro nucleare simmetrico”.
C’ è poi il punto in cui si coglie lo stallo da superare: “Le posizioni di entrambe le parti si sono irrigidite. I falchi russi chiedono un utilizzo della forza senza remore, fino all’uso dell’arma nucleare tattica, ma anche nel campo occidentale molteplici sono le pulsioni per una continuazione del conflitto fino alla resa totale di Mosca. Un tale scenario apocalittico fa orrore”.
2. Le prospettive sulla escalation nucleare e convenzionale
Sul punto si poteva forse esprimere un giudizio più compiuto, precisando che in atto la minaccia sarebbe riferita ad armi nucleari di livello “tattico” cui Stati Uniti e Nato hanno ribadito che la reazione, sebbene massiccia, sarebbe comunque di natura convenzionale. Ed era il caso di richiamare autorevoli analisi internazionali secondo cui – rifacendosi alla stessa dottrina russa della escalation-to-descalate oltre che a quella americana della mutual assured destruction – ritengono poco conveniente e difficilmente sostenibile per la Russia attuare la minaccia nucleare. Il senso del documento dei diplomatici coglie in ogni caso la gravità della situazione, anche con riferimento al suo forte grado di imprevedibilità.
Segue il giudizio netto sulla “illegalità” dell’annessione del Donbass e di altre due regioni ucraine proclamata dalla Russia, ma vi è anche un riferimento che appare critico sull’Ucraina: il governo di Kiev ha firmato un decreto che vieta qualsiasi trattativa con Mosca e ha chiesto ufficialmente l’adesione alla NATO, “pur consapevole che la richiesta è irricevibile”. Quest’ultima affermazione può senz’altro valere sotto il profilo tecnico, perché le norme del Trattato Atlantico effettivamente ad una attenta lettura precluderebbero l’ingresso di un Paese già in guerra, e nei fatti anche l’attuale leadership dell’Alleanza ha dilazionato l’esame della richiesta. Ma l’affermazione di principio poteva essere stemperata e comunque meglio chiarita: l’Ucraina, come gli stessi ex ambasciatori riconoscono, è vittima di una guerra di aggressione e ad essa è comunque doverosa la self-defence “solidale” della comunità internazionale, secondo i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, che valgono anche per la Nato, a prescindere da qualsiasi processo di adesione.
Passaggi significativi del documento sono poi la denuncia dei diplomatici, “abituati da anni di esperienza all’analisi oggettiva delle relazioni internazionali”, sui gravi crimini contro l’umanità e quindi la solidarietà per le vittime della guerra, inclusi i rifugiati, i dissidenti e i coscritti in fuga, ma anche per gli strati sociali più deboli delle popolazioni dell’ Europa e dell’Africa, ancora più colpite per gli effetti della guerra nella povertà e nelle diseguaglianze.
3. Cedere il passo alla diplomazia: il negoziato sul cessate-il fuoco
È pertanto il momento di far “tacere le armi e cedere il passo alla diplomazia”, e gli ex diplomatici avanzano dunque una proposta concreta per una mediazione che possa stabilizzare la regione. Il documento parla esplicitamente di un “appello al Governo italiano” affinché si faccia promotore in sede europea – cominciando da un’intesa tra Italia, Francia e Germania, cui potranno aggiungersi altri Paesi dell’UE – di una forte iniziativa diplomatica che miri ad imporre un immediato cessate il fuoco e l’ avvio di negoziati tra le parti. Le Istituzioni europee dovrebbero perciò influire sulla strategia della NATO e delineare una proposta di mediazione credibile, ripartendo dagli Accordi di Minsk e ribadendo “le linee ispiratrici della coesistenza e della legalità internazionale: l’inaccettabilità dell’uso della forza per l’acquisizione di territori, l’autodeterminazione dei popoli, la protezione delle minoranze linguistiche europee”.
La proposta pone quindi come primi risultati da perseguire il cessate il fuoco e l’avvio immediato di negoziati tra le parti, al fine di pervenire a tre obiettivi: 1) simmetrico ritiro delle truppe e delle sanzioni; 2) definizione della neutralità dell’Ucraina sotto tutela dell’ONU; 3) svolgimento di referendum gestiti da Autorità internazionali nei territori contesi”. Infine, secondo i diplomatici firmatari, occorre pensare anche alla convocazione di una Conferenza sulla Sicurezza in Europa, per promuovere il “ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei”.
4. Un progetto per la pace che riaffermi il diritto internazionale
In definitiva, si tratta di concetti che – anche su queste pagine – diversi analisti hanno già espresso all’esordio della crisi internazionale, e nelle fasi cruciali della guerra. In queste analisi ovviamente sono stati esplorati anche profili più critici e realistici, come quelli riferiti alla configurabilità della “neutralità” dell’Ucraina solo a determinate condizioni e con l’intervento di Organizzazioni e Stati “garanti”, o ad un nuovo status di Donbass e Crimea – anche se su quest’ultima le posizioni non sono univoche – che consideri l’esodo forzato cui da quasi venti anni sono stati costretti milioni di ucraini timorosi per il futuro di quelle terre. Così come è stato più volte valutato che i negoziati non potessero riguardare solo Ucraina e Russia, e nemmeno solo un confronto diretto tra Biden e Putin. In ogni caso, ritornando ai contenuti del documento degli ex diplomatici, oltre al principio della “inaccettabilità dell’uso della forza”, forse un altro concetto di fondo va chiarito a margine del ragionamento di mediatori in senso tecnico: di fronte all’attuale contesto e ad uno Stato aggressore non si può rimanere “neutrali” e non considerare i principi di legalità. L’avvio di un negoziato non può e non deve significare una resa per l’Ucraina, e soprattutto non deve segnare una clamorosa disfatta per il diritto internazionale. Né tanto meno deve tradursi nell’avvio di una nuova fase di incertezza per la sovranità di Kiev, che da anni vive sotto la minaccia della Federazione Russa. O, peggio, dare ora l’aggio alla Russia, che sta subendo la nuova controffensiva di Kiev, di superare l’isteresi dell’attuale mobilitazione e dell’inverno per rilanciare poi – anche dalla complice Bielorussia, dove pare siano giunti 70.000 militari dalla Russia – l’ennesima brutale aggressione sull’Ucraina.
Per queste ragioni si è da tempo sostenuta la discesa in campo di un “nucleo forte” di mediatori, in cui dovrebbero avere un ruolo certamente le Nazioni Unite, ma anche l’Unione Europea – che in questo caso potrebbe coinvolgere il Regno Unito e tutto il gruppo dei paesi che hanno richiesto l’adesione – e grandi potenze come Cina, India, e altri importanti attori regionali come Turchia, Israele, Emirati Arabi e Arabia Saudita, o anche i paesi dell’Asia centrale e dell’Unione africana. Tutti insieme hanno un comune interesse alla pace, per ridare serenità alle loro popolazioni, e la forza per esercitare una forte influenza su Putin per imporre i negoziati. Rimangono poi aperte le questioni sulle riparazioni, per la ricostruzione dell’Ucraina, e sulla perseguibilità dei gravissimi crimini internazionali commessi da un modo scellerato di condurre il conflitto, in cui si continua a colpire indiscriminatamente e con brutalità la popolazione civile. Ma a parte la questione sulle riparazioni, sugli altri scenari la complessità si accentua, e occorrerà valutare le soluzioni con molta cautela, probabilmente anche in un differente momento storico.
È dunque del tutto evidente che la proposta, pur avendo un senso compiuto, è un documento di sintesi che individua le priorità e traccia alcune linee-guida, ma vuole essere anche un consiglio derivante dalla lunga esperienza di ex ambasciatori: un progetto di pace va tracciato in questa fase su tratti essenziali, partendo dal cessate-il fuoco sull’attuale linea del fronte. Sarebbe controproducente articolarlo ora su passaggi più complessi e aspetti critici che, come già accaduto, finirebbero per arenare il processo di pace. Ci sarà tempo e modo perché il sentiment diplomatico del momento possa concretizzarsi in soluzioni in atto non prevedibili, ma che potrebbero sorprendere.
In questa prospettiva, anche in previsione del G20 di Bali che si svolgerà a metà novembre, è forse il caso di rilanciare oltre che la Conferenza sulla sicurezza in Europa, anche l’idea di una Conferenza multilaterale sulla pace: bisognerebbe ripartire dai principi di diritto che sono alla base dell’ordine internazionale per poi tradurli in concreto su tutti i dossier aperti, dall’Ucraina a Taiwan, per gli altri scenari di crisi.
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