“Ergastolo ostativo”: verso il superamento di una pena disumana e degradante sulla scia garantista della Corte Costituzionale.
Un anno di tempo al legislatore per adeguare l’istituto ai principi costituzionali e comunitari
Summary. 1. La pena secondo la Costituzione: senso di umanità e rieducazione del condannato. – 2. Pena rieducativa ed ergastolo: come si conciliano? – 3. La particolare fattispecie dell’ergastolo ostativo e l’evoluzione giurisprudenziale. – 4. Profili di illegittimità costituzionale nella disciplina dell’ergastolo ostativo: verso una nuova formulazione orientata ad umanità e rieducazione. – 5. Conclusions.
1. La pena secondo la Costituzione: senso di umanità e rieducazione del condannato.
Il significato della pena nella prospettiva costituzionale si ricava espressamente dall’art. 27 Constitution, al cui III comma è specificato che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”[1]. In questo assunto è concentrata tutta l’intenzione originaria del Costituente di teorizzare una pena che non fosse una mera punizione del reo ma che, Unlike, fosse in grado di rieducarlo e di prepararlo al reingresso in società[2]. Dunque, la finalità rieducativa e risocializzante della pena non consiste in un semplice orientamento dell’esecuzione penale, bensì rappresenta un cardine costituzionale inderogabile, frutto di tensioni e compromessi già in sede di Costituente e di un accurato bilanciamento con gli altri principi e libertà fondamentali della Carta, non a caso inseriti tutti nella stessa sezione.
indeed, anche a seguito dell’espansione che il principio ha subìto con le pronunce della Corte Costituzionale[3], l’interpretazione dell’art. 27, III c. Cost. si lega anche a quella di altri dettati costituzionali, quali gli artt. 2 and 3 Cost. and, in fase esecutiva, gli artt. 24 and 111 Cost.[4], i quali riconoscono una serie di garanzie processuali al condannato. Questo risultato innovativo è il frutto di anni di dibattiti politici e costituzionali[5], nei quali la “polifunzionalità” della pena[6] è stata sempre contesa tra coloro che le attribuivano un mero significato retributivo e coloro che tentavano di esaltare le parole della legge, la quale richiama espressamente il senso rieducativo.
La centralità del principio rieducativo è stata accelerata anche dalla riforma introdotta con la legge 26 July 1975, n. 354[7], dall’adozione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[8] e dalle Regole minime per il trattamento dei detenuti[9].
A seguito di questi interventi legislativi, viene sensibilizzato lo sguardo nei confronti del detenuto, il quale diviene titolare di diritti e garanzie, primi tra tutti quello al rispetto della dignità della persona e ad un “trattamento penitenziario conforme ad umanità” (art. 1, I c. O.P.) and, conseguentemente, si inserisce un nuovo modo di concepire il carcere, inteso come luogo in cui colui che viene privato della libertà, compatibilmente a tale restrizione, può sviluppare la propria personalità ed esercitare una serie di facoltà, introducendo regole comportamentali e di organizzazione, oltreché per i detenuti, anche per gli organi penitenziari.
Dunque, la finalità rieducativa della pena è l’unica espressamente richiamata dalla Costituzione e confermata da diverse pronunce della Corte costituzionale[10], pertanto il verbo “tendere” di cui all’art. 27, III c. Cost. va inteso come guida verso quello scopo imprescindibile, che è la rieducazione, e dal quale discendono altri principi fondamentali, quali quello di umanizzazione, del rispetto della personalità e della dignità[11]: la finalità rieducativa della pena è quindi “una proprietà essenziale che caratterizza quest’ultima nel suo contenuto ontologico e l’accompagna da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”[12].
To this, che dovrebbe essere l’impostazione inderogabile per l’applicazione della pena e la sua esecuzione, tuttavia non mancano deroghe e restrizioni, le quali snaturano il vincolo rieducativo e compromettono la risocializzazione del detenuto[13]: a ciò basti constatare che l’applicazione di tale principio cardine avviene per la maggior parte delle volte mediante la detenzione carceraria, che dovrebbe invece rappresentare l’ultima ratio, perché una pena che isola il condannato è ben lontana dal recupero sociale cui egli ha diritto. Ma questo evidente, quanto ormai consueto e reiterato paradosso, diventa ancora più lampante man mano che si applicano pene carcerarie maggiormente afflittive e specifiche, di cui si dirà in seguito.
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Pena rieducativa ed ergastolo: come si conciliano?
L’ergastolo, più delle altre pene, concentra su di sé la criticità delle funzioni che deve assolvere, dovendo rispondere sia ad esigenze di giustizia morale, sia ai valori di dignità e rieducazione del reo, incarnando così tutti i “fallimenti” ed i malfunzionamenti del luogo all’interno del quale la pena de qua si esplica, esasperando dunque quell’incapacità del carcere di attuare i dettati costituzionali dell’umanità e della rieducazione della condanna.
La contraddizione della sua disciplina sta nel fatto che, pur restando una pena perpetua, è comunque un istituto che vive in parallelo con una Costituzione Repubblicana, e che perciò dovrebbe essere aperto a quelle riforme rivolte a facilitare il reinserimento del condannato[14]. Attualmente, è l’unica pena perpetua che trova legittimazione nel nostro ordinamento, espressamente prevista all’art. 22 c.p.[15].
Nonostante la formula della norma sia chiara nel non predisporre un termine finale, proprio a conferma della sua natura eterna, ci sono alcune disposizioni nel Codice penale e nella legge sull’Ordinamento Penitenziario che ne mitigano l’applicazione[16], a differenza della particolare fattispecie dell’ergastolo ostativo, caratterizzata da una più stringente disciplina.
La principale questione che ruota attorno all’ergastolo è quella sulla coerenza costituzionale dell’istituto con la finalità rieducativa e con il rispetto dell’umanità della pena, di cui al III comma dell’art. 27 Cost.
In particular, il dibattito pluriennale (acceso già in seno all’Adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione) è conteso tra i fautori della natura retributiva della pena – che prendono le mosse dalla funzione general-preventiva della sanzione e sottolineano l’esigenza di proporzionalità tra reato commesso e gravità della pena irrogata – ed i sostenitori della natura rieducativa – i quali valorizzano l’obiettivo ultimo del reinserimento sociale, anche nei confronti dell’ergastolano.
Se lo scopo della detenzione, e di qualsiasi altra misura restrittiva, è quello di predisporre un programma individualizzato per il condannato, attraverso il quale possa avviare un percorso di ravvedimento personale ed accedere a progetti rieducativi ad esso indirizzati, è evidente che la configurazione di una pena a vita svuoti quel significato costituzionalmente delineato, atteso che non vi è alcuna possibilità ovvero speranza di espiare la pena, riacquistare la libertà ed attuare quei progressi al di fuori dell’istituto detentivo. Nondimeno, più “desocializzante” ed afflittiva risulta una pena, più ampia dovrebbe essere l’offerta rieducativa-risocializzante[17].
A tal proposito, in dottrina si è cercato un escamotage per giustificare la persistenza di tale istituzione, affermando che l’ergastolo è strutturato in maniera tale da garantire il reinserimento sociale del condannato che partecipi al programma rieducativo, scandito in momenti diversi dell’espiazione della pena, così da risultare coerente al dettato costituzionale.
In particular, con la sentenza 204 of 1974, la Corte Costituzionale ha affermato che la perpetuità dell’ergastolo è solo formale, poiché sostanzialmente il condannato può accedere alla liberazione condizionale, istituto che assicura il rispetto della finalità rieducativa[18].
However, è opportuno evidenziare come la liberazione condizionale sia solo una possibilità rimessa alla discrezionalità dell’Organo Giudiziario, sulla base del ravvedimento del condannato (therefore, per valutare se l’effetto rieducativo sia stato assolto o meno, si guarda al periodo di pena espiato), ma se questa resipiscenza non si compie, e il condannato risulta particolarmente pericoloso nella sua indole, soccomberà a quella eternità che è propria dell’ergastolo. Quindi, in reality, la perpetuità è elemento sostanziale dell’ergastolo, perché anche quando la pena muta in liberazione condizionale, non si trasforma in pena temporanea[19]. Ed è proprio in relazione a tale misura che sono emerse le principali criticità dell’istituto dell’ergastolo, generando delle insanabili fratture che hanno tuttavia consentito l’apertura di un dibattito giurisprudenziale teso ad un’evoluzione della disciplina costituzionalmente orientata.
Therefore, affinché l’ergastolo possa esplicarsi entro i binari imposti dalla nostra Carta, dovrebbe essere previsto in condizioni che assicurino un processo di rieducazione e reinserimento sociale, basato sul rispetto della dignità e dell’inviolabilità della persona, ma un simile risultato si presenta arduo finché sopravvive una pena che non lascia quasi mai una prospettiva di pentimento ed uno spiraglio di riconquista della libertà[20].
Restano ancora dei dubbi: come può una pena che esclude perpetuamente dalla società il condannato e che lo priva delle relazioni con l’ambiente esterno, essere compatibile con il senso di umanità e dirsi finalizzata alla rieducazione?[21] L’ergastolo, che appare “crudele e disumano”[22], è poi così diverso dalla pena di morte?
Una pena infinita, che nega i principi costituzionali dell’umanità e della rieducazione, togliendo quella speranza sul futuro che nessuna pena dovrebbe annientare, dovrebbe venir meno per contrarietà a suddetti valori, o almeno essere irrogata con la massima cautela[23]. However, benché l’istituto sia ancora ritenuto legittimo, vi è stata un’evoluzione giurisprudenziale delle Corti nazionali[24] ed internazionali[25] che ha evidenziato il paradosso della pena perpetua con l’obiettivo rieducativo e di reinserimento sociale.
La particolare fattispecie dell’ergastolo ostativo e l’evoluzione giurisprudenziale.
L’ergastolo ostativo è la forma più estrema di pena a vita atteso che a coloro che sono sottoposti a tale regime[26] gli è preclusa financo la possibilità di contemplare benefici che, seppur previsti solo in maniera apparente ed illusoria, vengono ipotizzati nella formulazione della pena perpetua “ordinaria”.
Invero i c.d. “ergastolani ostativi” sono sottoposti al trattamento differenziato di cui agli articoli 4-bis[27] e 41-bis O.P. and, oltre ai limiti cui devono sottostare per via della “condanna a vita”, vengono privati anche di ogni possibile speranza. Questa situazione giuridica incarna la vera a propria pena “perpetua ed immutabile”[28], quella pena cioè che accompagna fino alla morte.
Questa declinazione di ergastolo nasce come risposta imperativa al proliferarsi di organizzazioni criminali associate, negli anni in cui le stragi per mano delle mafie scrivevano la storia del nostro Paese (gli anni delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio).
Si fissa così una condizione alla richiesta dei benefici penitenziari, quali le misure alternative (ad esclusione della liberazione anticipata), la liberazione condizionale (ai sensi della legge 203/1991), i permessi premio ed il lavoro esterno, per coloro che hanno commesso i reati di cui ai commi I e I-bis dell’art. 4-bis O.P.: la collaborazione con la giustizia.
Il dictum di cui all’art. 58-ter O.P. rappresenterebbe dunque la probatio diabolica dell’estraneità del condannato dal mondo della criminalità organizzata: la sua mancanza “osta” alla concessione dei benefici penitenziari ed egli dovrà soccombere a quello che nella prassi viene chiamato “fine pena mai”[29].
La principale problematica legata a questo istituto risiede proprio nel fare della collaborazione con la giustizia la condicio sine qua non per elargire misure agevolate di detenzione: anche se è vero che la collaborazione rappresenta un elemento indispensabile per valutare se, espiando la pena, l’uomo possa definirsi “cambiato”[30] questa, on one side, non sempre risulta agevole – posto che ci si espone ad ipotetiche vendette o al rischio che le dichiarazioni vengano estorte con meccanismi inquisitori – and, on the other, non è elemento da solo sufficiente ad assicurare la distanza del condannato dalla criminalità organizzata[31].
Mentre la legge 103 of 2017, la legge Orlando, all’art. 1, comma 85, dispone la “revisione della disciplina di preclusione dei benefìci penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale”, ci sono state diverse proposte modificative della disciplina tese a sostituire la collaborazione con altri strumenti e a trasformare la presunzione della mancata collaborazione da assoluta a relativa[32].
A riguardo, è opportuno menzionare la recente e nota sentenza “quasi pilota” della Corte EDU del 13 June 2019, Marcello Viola c. Italy[33]. La Corte di Strasburgo ha lanciato un monito affinché lo Stato italiano mutasse la normativa in materia di ergastolo ostativo[34], condannando l’Italia per contrasto al principio di dignità umana.
La dignità umana, costituzionalmente garantita, viene completamente svuotata di significato se si ipotizza una pena in cui è impossibile ogni ideazione o illusione di liberazione futura. La Corte rammenta, indeed, che “la dignità umana, che si trova al centro stesso del sistema messo in atto dalla Convenzione, impedisce di privare una persona della sua libertà in maniera coercitiva senza operare nel contempo per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di recuperare un giorno tale libertà”[35]. La dignità umana “viene prima, sempre, è un bene che non si perde mai”[36].
Lo Stato italiano, in sua difesa, affermava che, oltre ai meccanismi di cui agli articoli 4-bis e 58-ter O.P., in realtà l’ergastolo ostativo è de jure et de facto riducibile anche per grazia presidenziale e per sospensione a causa di gravi motivi di salute, ma non ha dimostrato come il condannato al “life imprisonment without hope”[37] possa lavorare al suo reinserimento in società, visto che il percorso di rieducazione che segue è fine a sé stesso, non essendoci una concreta occasione di libertà[38], né alcuna occasione di contatto con il mondo esterno[39].
In tale sentenza la Corte rileva come, essendo stato il Sig. Viola capo del gruppo mafioso d’appartenenza, la sua collaborazione sia naturalmente esigibile e rilevante[40].
Il punto su cui la Corte incide di più è la violazione dell’art. 3 CEDU, con la conseguente rimessione della decisione in capo alla Corte Costituzionale[41], ritenendo che la collaborazione con la giustizia debba continuare ad essere uno degli elementi fondanti l’ergastolo ostativo ma non può essere l’unico[42] e dalla sua eventuale assenza non può derivare un aggravio di pena, atteso che il diritto al silenzio è tra i diritti fondamentali della persona umana.
Quel che la Corte EDU richiedeva, in reality, era soltanto un richiamo ai valori costituzionali e, nel caso de quo, all’art. 27, III c. Cost.; anche in assenza di una collaborazione la legge deve comunque prevedere uno strumento per valutare in concreto la riabilitazione del detenuto ed il suo possibile rientro in società[43].
Therefore, la Corte ha esortato l’Italia a rivedere la normativa che regola il carcere a vita, poiché viola il diritto del detenuto a non esser sottoposto a trattamenti inumani e degradanti: non è dunque ammissibile una sanzione a vita che preveda uno sbarramento automatico ai benefici penitenziari per mancata collaborazione con la giustizia[44], non potendo questa rappresentare “l’unica prova legale esclusiva di ravvedimento, perché sono plurime le ragioni che possono indurre un condannato a non collaborare”[45].
La Corte Costituzionale si è così espressa il 23 October 2019 Judgment No. 253 su questa disciplina che, a seconda della scelta compiuta dal soggetto, aggrava il trattamento carcerario del condannato non collaborante rispetto a quello previsto per i detenuti per reati non ostativi, oppure, Unlike, lo agevola giacché, in presenza di collaborazione, introduce a favore del detenuto elementi premiali rispetto alla disciplina ordinaria, in palese violazione degli artt. 3 and 27 Cost.
La Corte ha pertanto concluso dichiarando “1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-to, comma 1, the law 26 July 1975, n. 354 (…), nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; 2) dichiara, in via consequenziale, pursuant to Article. 27 the law 11 March 1953, n. 87 (…), l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-to, comma 1, of Law. 354 of 1975, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’art. 416-bis cod. pen. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter”[46].
Profili di illegittimità costituzionale nella disciplina dell’ergastolo ostativo: verso una nuova formulazione orientata ad umanità e rieducazione.
La pronuncia anzidetta ha rappresentato l’input necessario a “scuotere” la cultura giuridico-sociale relativa alla tematica de qua e ad anticipare un percorso innovativo avviato dai Giudici Costituzionali, di certo più coerente ai valori della nostra Carta.
Da ultimo la Corte Costituzionale si è infatti espressa il 15 April 2021 mediante un Comunicato avente ad oggetto: “Ergastolo ostativo incompatibile con la costituzione ma occorre un intervento legislativo. un anno di tempo al parlamento”, riservandosi di depositare in un secondo momento le motivazioni, con l’Ordinanza n. 97 dell’11 maggio 2021.
La Consulta ha dunque esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Suprema Corte di Cassazione in merito al regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di associazione mafiosa che abbiano scelto di non collaborare con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale[47], rilevando come la vigente normativa del c.d. “ergastolo ostativo” precluda in modo assoluto la possibilità di avanzare istanze per la concessione di misure alternative (anche solo ipoteticamente) a coloro che non abbiano utilmente collaborato con la giustizia, al netto di qualsivoglia valutazione che tenga conto di un sicuro ed evidente ravvedimento e sulla scorta di una presunzione che non lascia spazio a contestazioni[48].
La Corte Costituzionale ha quindi osservato come “tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 and 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”[49].
Non sorprende, dopo le numerose pronunce illuminanti ed innovative susseguitesi negli anni, che la Consulta abbia adottato una posizione distinta ed esplicita in tal senso, sebbene non sia l’organo direttamente deputato a sancire radicali cambiamenti normativo-politici: per tali ragioni, in una funzione correttamente propulsiva, la Corte ha concesso al Parlamento un periodo di tempo sino a maggio 2022 affinché intervenga compiutamente nella disciplina in esame, bilanciando la funzione preventiva determinata dalla natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, con il corretto esercizio delle regole costituzionali e penitenziarie. L’auspicio è dunque che venga emanata una legge in grado di eliminare la condizione della collaborazione della giustizia quale elemento imprescindibile per l’accesso ai benefici penitenziari, troppo spesso funzionale a “servirsi” del reo per perseguire lo scopo della lotta alla mafia che, sebbene nobile e costantemente necessario, non può prescindere dal riconoscimento della dignità umana[50].
Una pena che nega completamente una “seconda possibilità” difficilmente potrà garantire l’esistenza dignitosa del condannato: urge pertanto un intervento solerte e puntuale del legislatore al fine di conformarsi alle linee guida chiaramente suggerite dalla Corte Costituzionale e dare applicazione alle garanzie sancite agli artt. 3 and 27 Cost. ed all’art. 3 CEDU.
Come correttamente osservato dalla Corte medesima nell’Ordinanza in esame, “anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – sul piano della compatibilità dell’ergastolo con il divieto di trattamenti disumani o degradanti – ha valorizzato l’esistenza di strumenti per la cessazione di una pena originariamente inflitta per la vita intera, in presenza di significativi progressi nel trattamento penitenziario. Alla luce di tale giurisprudenza, dovrebbe perciò considerarsi, Unlike, «inumano e degradante» un trattamento fondato sulla reclusione a vita, in assenza di qualunque possibilità per il condannato di lasciare il carcere, una volta conseguito l’obiettivo della rieducazione. In tali condizioni, la presunzione assoluta di perdurante pericolosità – tale da rendere inutile qualunque scelta e decisione il condannato adotti, nel corso del proprio trattamento penitenziario – escluderebbe per l’ergastolo cosiddetto ostativo quella condizione di “riducibilità” invece necessaria affinché la pena perpetua sia compatibile con le prescrizioni dell’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 November 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 August 1955, n. 848”[51].
Conclusions.
Ancora una volta, così come per il suicidio assistito e la diffamazione a mezzo stampa, si è ravvisato come necessario l’intervento della Corte costituzionale come guida e stimolo per il legislatore dormiente, dettando una linea ad efficacia differita ed inequivocabile e lasciando alle Camere un ragionevole lasso di tempo per sanare le incompatibilità legislative insite nell’attuale formulazione della disciplina de qua – che priva il condannato di qualsivoglia revisione della pena inflittagli, se non nell’ipotesi di una sua collaborazione con la giustizia – con la nostra Carta e con la Convenzione europea dei diritti umani.
L’esplicazione chiara ed univoca della Consulta, oltreché salvaguardare quella divisione dei poteri dello Stato che non dovrebbe essere mai superata, risuona come un monito lanciato verso il legislatore troppo spesso inattivo ed “inadatto” a dirimere certe questioni che, oltre che sul profilo giudico-normativo, incidono sul profilo politico.
L’indirizzo della Corte non lascia spazi a dubbi interpretativi ed in questo anno di tempo il Parlamento dovrà seguire la scia orientata al garantismo, sebbene vi siano delle correnti che contrasteranno convintamente un orientamento così tanto schierato a favore della sana applicazione del principio rieducativo della pena.
Ma, come correttamente osservato anche dal Garante dei detenuti del Lazio, questa decisione “non è un liberi tutti”: rappresenta invece la strada da percorrere al fine di applicare correttamente ed equamente i principi costituzionali in tema di pena e di esecuzione penale. Invero una modifica della disciplina dell’ergastolo ostativo ispirata ai precetti di cui agli artt. 3 and 27 Cost. e all’art. 3 CEDU, inciderà anche sul modus operandi della Magistratura di Sorveglianza che potrà operare anche in relazione a tale istituto, come di consueto per qualsiasi misura e per qualsiasi altro prevenuto, valutando caso per caso il percorso umano e detentivo senza che tale decisione sia influenzata dai contegni precedentemente serbati (anche in sede processuale), dagli ambienti di provenienza e dalla mancata collaborazione con l’autorità giudiziaria, tenendo conto delle ragioni sottese a tale scelta, che ben potrebbero risiedere in timori legittimi e non invece in esplicazioni dell’attuale appartenenza a contesti criminogeni[52].
La Consulta conclude ritenendo che “tutti questi motivi, esigenze di collaborazione istituzionale impongono a questa Corte di disporre, facendo leva sui propri poteri di gestione del processo costituzionale, il rinvio del giudizio in corso e di fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame all’udienza del 10 May 2022, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia. Rimarrà nel frattempo sospeso anche il giudizio a quo. Spetta in primo luogo al legislatore, indeed, ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti in campo, anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata; mentre compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte (ordinanze n. 132 of 2020 e n. 207 of 2018)”[53].
L’eventuale ed auspicata rimozione dell’ergastolo ostativo (perlomeno nella disciplina corrente)[54] da parte del legislatore, in accoglimento del monito della Corte Costituzionale, consentirebbe un’evoluzione del senso della pena ed un adeguamento a quelle che ne sono le innate peculiarità: rieducazione, umanità e dignità.
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Note
[1] Art. 27 Costituzione della Repubblica Italiana, deliberazione dell’Assemblea Costituente, seduta del 22 December 1947.
[2] Indirettamente, la pena è costituzionalmente considerata anche all’art. 25 Cost. (il c.d. rule of law), il quale dispone che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”, TOSCANO A., La funzione della pena e le garanzie dei diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 2012, 2.
[3] Cfr. C. Cost., sent. n. 354/2002.
[4] D’AMICO M., Art. 27 Cost., in BIFULCO R. – CELOTTO A. – OLIVETTI M. (the care of), Commentario alla costituzione Artt. 1-54, vol. I, Torino, UTET giuridica, 2006, 574.
[5] Nel corso degli anni 1946-1947 si susseguirono diverse Sottocommissioni per la discussione del testo definitivo dell’art. 27 Cost., che fu poi approvato in Assemblea costituente il 15 April 1947.
[6] Cfr. C. Cost., sent. 12/1966.
[7] Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in effect since 24 August 1975. GU Serie Generale n. 212 of 09-08-1975 – Suppl. Ordinario. Prima dell’approvazione di questa legge, la normativa che regolava l’applicazione della pena era quella del “Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena”, r. d. of 18 June 1931, n. 787, RUOTOLO M. (the care of), Il senso della pena. Ad un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte EDU. Atti del seminario AIC di Roma. Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, 28 Maggio 2014, Naples, Editoriale Scientifica, 2014, 20. L’introduzione della riforma penitenziaria segna una svolta storica per il fatto che per la prima volta l’esecuzione della pena viene regolata attraverso lo strumento legislativo, sottraendo la materia alla discrezionalità amministrativa, per tale orientamento NAPOLI G.M., Il regime penitenziario, Milano, Giuffrè, 2012, 19.
[8] La Convenzione è stata firmata a Roma il 4 November 1950 ed è entrata in vigore in Italia il 10 October 1955.
[9] Approvate dal Consiglio d’Europa nel 1973 e revisionate nel 1987, mutando in “Regole penitenziarie europee”.
[10] Cfr. C. Cost., sent. 21 June 2018, n. 149: “il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena”, punto 7 dei considerato in diritto, in Giur. Cost., Consulta online 2018.
[11] MANTOVANI F., Diritto penale, 754 – NUVOLONE P., Il rispetto della persona umana nella esecuzione della pena, 143, in RUTOLO M., Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, Giappichelli, 2002, 7.
[12] Cfr. C. Cost., sent. n. 313 of 1990, punto 8 dei considerato in diritto, in Giur. Cost., Consulta online 1990.
[13] Tra le varie soluzioni prospettate per far fronte a queste pecche del sistema e per tutelare giurisdizionalmente i diritti dei detenuti, con il decreto-legge 23 December 2013, convertito dalla legge 21 February 2014, n. 10, è stato istituito il Garante Nazionale dei diritti dei detenuti ed è stato introdotto il reclamo giurisdizionale del detenuto davanti al giudice di sorveglianza, sotto le spinte delle Corti Costituzionali (sentenze nn. 26/1999, 526/200, 135/2013) e della Corte EDU (con la nota sentenza Torreggiani c. Italy, 8 January 2013), PUGIOTTO A., Il volto costituzionale della pena (e i suoi sfregi), in RUOTOLO M. (the care of), op. cit., 31.
[14] CORLEONE F. – PUGIOTTO A. (the care of), Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere, Rome, Ediesse, 2012, 86.
[15] Inizialmente era disciplinato dall’art. 12 del Codice Zanardelli, poi dall’art. 17 del Codice Rocco; l’art. 22 dell’odierno Codice Penale dispone che: “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto”.
[16] RONCO M., Persone e sanzioni. Presupposti soggettivi, previsione, comminazione ed esecuzione delle sanzioni penali, Bologna, Zanichelli, 2006, 285, il condannato all’ergastolo ha diritto alla liberazione condizionale dopo aver scontato almeno ventisei anni di pena (art. 176 c.p.), ai permessi premio a seguito dell’espiazione di dieci anni di pena (art. 30 ter L. words. penit.), all’accesso alla semilibertà laddove abbia già espiato venti anni di pena (art. 50 L. words. penit.) e alle detrazioni previste dalla liberazione anticipata (art. 54 L. words. penit.), queste ultime introdotte con la L. n. 663 of 1986, la cd “Legge Gozzini”, che ha modificato il limite di cui all’art. 176 c.p. that, anche con la L. 354 of 1975, era fissato a 28 anni di reclusione, RUTOLO M., Il senso della pena, Naples, Editoriale Scientifica, 2014, 64; FORTUNA F.S., La pena dell’ergastolo nella Costituzione e nel pensiero di Aldo Moro, in ANASTASIA S. – CORLEONE F. (the care of), Contro l’ergastolo. Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona. La società della ragione, Rome, Ediesse, 2009, 30. Tra i trattamenti favorevoli all’ergastolano, rientra il lavoro esterno di cui all’art. 21 words. penit., di cui si può beneficiare dopo l’espiazione di almeno 10 years, MARCOLINI S., L’ergastolo nell’esecuzione penale contemporanea, in Diritto Penale Contemporaneo, 4/2017, 72.
[17] CORLEONE F. – PUGIOTTO A. (the care of), Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere, Rome, Ediesse, 2012, 87.
[18] Cfr. C. Cost., sent. n. 204/1974, “L‘istituto della liberazione condizionale rappresenta un particolare aspetto della fase esecutiva della pena restrittiva della libertà personale e si inserisce nel fine ultimo e risolutivo della pena stessa, one, that is, di tendere al recupero sociale del condannato. Per esso, indeed, il condannato che abbia, durante il tempo della esecuzione, tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento e che abbia soddisfatto, avendone la capacità economica, le obbligazioni civili derivanti dal commesso reato, può essere posto in libertà prima del termine previsto dalla sentenza definitiva di condanna (…). Con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione l’istituto ha assunto un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle”, punto 2 dei considerato in diritto, in Giur. Cost., Consulta online 1974.
[19] MARGARA A., L’ergastolo tra illegittimità e adeguamento costituzionale, in ANASTASIA S. – CORLEONE F. (the care of), Contro l’ergastolo. Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona. La società della ragione, Rome, Ediesse, 2009, 42.
[20] Nel pensiero di Aldo Moro, “Ed è appunto in corso nel nostro ordinamento che conosce ancora la pena dell’ergastolo, una riforma che tende a sostituire questo fatto agghiacciante della pena perpetua una lunga detenzione, se volete una lunghissima detenzione ma che non abbia le caratteristiche veramente pesanti della pena perpetua, che conduce a identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà”, FORTUNA F.S., La pena dell’ergastolo nella Costituzione e nel pensiero di Aldo Moro, in ANASTASIA S. – CORLEONE F. (the care of), op. cit., 34.
[21] MARGARA A., L’ergastolo tra illegittimità e adeguamento costituzionale, in ANASTASIA S. – CORLEONE F. (the care of), op. cit., 37.
[22] In tal senso parlò Aldo Moro ai suoi studenti della Facoltà di Scienze Politiche a Roma nel 1976: “l’ergastolo, che priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte”, proposta di legge n. 1531, presentata l’8 agosto 2013, Camera dei deputati, XVII Legislatura, in www.camera.it
[23] Al contrario, i casi di condanna alla pena dell’ergastolo continuano ad essere frequenti; i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Ufficio del Capo del Dipartimento – Sezione Statistica, updated to 30 June 2019, dimostrano che gli ergastolani, italiani e stranieri, attualmente sono 1776; secondo la comunicazione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, alla data dell’1 settembre 2020, sarebbero stati presenti nelle carceri italiane 1.800 condannati all’ergastolo, ben 1.271 dei quali sottoposti al regime ostativo (cfr C. Cost., Ord. n. 97/2021).
[24] Cfr. C. Cost., sent. of 21 June 2018, n. 149: “l’appiattimento all’unica e indifferenziata soglia di ventisei anni per l’accesso a tutti i benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4-bis Ord. Penit. si pone, indeed, in contrasto con il principio – sotteso all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario in attuazione del canone costituzionale della finalità rieducativa della pena – della “progressività trattamentale e flessibilità della pena” (…), ossia del graduale reinserimento del condannato all’ergastolo nel contesto sociale durante l’intero arco dell’esecuzione della pena. Tale principio si attua, nel disegno della legge sull’ordinamento penitenziario, nell’ambito di un percorso ideale le cui prime tappe sono rappresentate dall’ammissione al lavoro all’esterno e dalla concessione di permessi premio, volti questi ultimi a stimolare la “regolare condotta” del detenuto, attestata dall’avere questi manifestato “costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali” (…), uno strumento funzionale a perseguire efficacemente quel progressivo reinserimento armonico della persona nella società, che costituisce l’essenza della finalità rieducativa”.
[25] Il paradosso della pena perpetua è stato analizzato anche della Corte EDU che, con diverse pronunce, ha evidenziato come la pena perpetua frusterebbe l’obiettivo del reinserimento sociale, contrastando con l’art. 3 CEDU ; per ovviare a questa situazione, la Corte di Strasburgo ritiene che le pene non possano mai consistere in trattamenti inumani, con conseguenti effetti desocializzanti e che, therefore, anche l’ergastolo debba essere mitigato riconoscendo, ad esempio, la possibilità della liberazione anticipata – Sent. Corte EDU, Vinter c. Regno Unito, ric. n. 66069/09, 130/10 and 3896/10, punto 61. La Corte di Strasburgo ha evoluto il pensiero di una concreta liberazione anche in altre pronunce, quali ÖCALAN c. TURKEY, sent. of 12 May 2015, e TRABELSI v. BELGIUM, sent. of 16 February 2015.
[26] “Non usciranno mai di galera”, PUGIOTTO A., Il volto costituzionale della pena (e i suoi sfregi), in Il senso della pena. Ad un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte EDU. Atti del seminario AIC di Roma. Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, 28 Maggio 2014, RUOTOLO M. (the care of), Naples, Editoriale Scientifica, 2014, 20.
[27] Questa norma fa riferimento a tre gruppi di condannati, a seconda del reato commesso:
Il primo gruppo (paragraphs 1 e 1-bis), si riferisce ai reati più gravi di crimine organizzato;
Il secondo gruppo (comma 1-ter), contiene l’elenco di reati di evidente gravità ma inferiore a quelli del primo gruppo e non necessariamente collegati al crimine organizzato;
Il terzo gruppo (comma 1-quater), elenca i reati commessi dai c.d. sex offenders.
[28] FIORENTIN F. – SIRACUSANO F. (the care of), L’esecuzione penale. Ordinamento penitenziario e leggi complementari, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, 11.
[29] Ad eccezione dei casi di cui al comma 1-bis dell’art. 4-to, e cioè di collaborazione impossibile o irrilevante, in cui si può accedere ai benefici penitenziari purché “siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (…)”.
[30] Cfr. Marcello Viola c. Italy, la Corte EDU, punto 103, “(..) l’articolo 4bis ha lo scopo di chiedere ai condannati la dimostrazione tangibile della loro «dissociazione» dall’ambiente criminale e dell’esito positivo del percorso di risocializzazione, attraverso una collaborazione utile con la giustizia volta alla «disintegrazione» dell’associazione mafiosa e al ripristino della legalità (si veda anche la Corte costituzionale, paragrafo 40 supra). A suo parere, l’obiettivo di politica criminale sotteso alla disciplina del 4 bis è pertanto chiaramente definito, come del resto anticipato nella sentenza n. 306/1993 della Corte costituzionale (paragrafo 39 supra): il legislatore ha espressamente privilegiato le finalità di prevenzione generale e di protezione della collettività, chiedendo ai condannati per i delitti in questione di dare prova di collaborazione con le autorità, uno strumento considerato fondamentale nella lotta contro il fenomeno mafioso. Secondo il Governo, è questa specificità del fenomeno che ha portato all’esigenza di prevedere un regime della reclusione perpetua diverso dal regime ordinario previsto dall’articolo 22 del CP”. Sulla verifica del cambiamento del condannato e della sua risocializzazione, anche i punti 125 and 130.
[31] Cfr. Marcello Viola c. Italy, Corte EDU, punto 118, “la mancanza di collaborazione non può essere sempre imputata ad una scelta libera e volontaria, né giustificata soltanto dalla persistenza dell’adesione ai «valori criminali» e al mantenimento di legami con il gruppo di appartenenza. Del resto, ciò è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 306 dell’11 giugno 1993, nella quale detta Corte ha affermato che l’assenza di collaborazione non indicava necessariamente il mantenimento di legami con l’organizzazione mafiosa (paragrafo 39 supra)”. Sulla collaborazione con la giustizia, anche il punto 127.
[32] MARCOLINI S., op. cit., 76, che rinvia alla Relazione conclusiva del Tavolo 16.
[33] Il Sig. Viola fu condannato all’ergastolo per una serie di delitti, tra cui quelli di specie mafiosa ex art. 416-to c.p. Egli fu sottoposto al regime del 41-bis per diversi anni e, di fronte alla decisione del Ministero della Giustizia di prolungare il periodo, egli propose reclamo al Tribunale di Sorveglianza, il quale lo accolse ritenendo che il Ministero non avesse tenuto conto del progresso rieducativo del sig. Viola e non avesse dimostrato correttamente la protrazione dei rapporti con l’organizzazione mafiosa. A seguito della cessazione del regime del c.d. “carcere duro”, egli richiese un permesso premio e l’accesso alla liberazione condizionale, ma entrambi gli furono negati. Il rigetto fu giustificato affermando che gli ergastolani ostativi, che abbiano commesso uno dei delitti di cui all’art. 4-bis ord. penit., per poter accedere ai benefici penitenziari, devono collaborare con la giustizia. Essendo stata respinta anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. penit. per contrarietà all’art. 27, III c. Cost., il sig. Viola si rivolse alla Corte EDU, lamentando l’impossibilità di una riduzione della sua pena e facendo valere, then, il contrasto con l’art. 3 CEDU. Al punto 143 della motivazione, la Corte afferma esplicitamente che “la natura della violazione riscontrata dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione indica che lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena, il che permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione di quest’ultima, il detenuto si sia talmente evoluto e abbia fatto progressi tali verso la propria correzione che nessun motivo legittimo in ordine alla pena giustifichi più il suo mantenimento in detenzione, e al condannato di beneficiare così del diritto di sapere ciò che deve fare perché la sua liberazione sia presa in considerazione e quali siano le condizioni applicabili. La Corte considera, pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della “dissociazione” dall’ambiente mafioso, che tale rottura possa esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia e l’automatismo legislativo attualmente vigente”.
[34] SANTINI S., Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla Corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Diritto Penale Contemporaneo, 1 July 2019.
[35] Cfr. Marcello Viola c. Italy, punto 136.
[36] GONNELLA P. commenta la sent. Viola c. Italia nell’articolo “Fine pena mai”, Strasburgo condanna l’Italia, in Adnkronos.
[37] L’ergastolo ostativo “ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza”, MUSUMECI C., Gli uomini ombra e altri racconti, Gabrielli Editori, 2010, 9, in CORLEONE F. – PUGIOTTO A., Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere, Rome, Ediesse, 2009, 127.
[38] Convegno L’ergastolo ostativo e la speranza: evoluzione giurisprudenziale nelle Corti interne e internazionali, 4 July 2019, presso la Commissione Carcere Camera penale di Roma.
[39] Il condannato all’ergastolo ostativo non ha alcune possibilità di entrare in contatto con il mondo esterno, ad eccezione dell’utilizzo di internet. Uno degli esempi è il web “Le urla del silenzio”, GONNELLA P., La grande promessa abolizionista: una storia divisa in due, in ANASTASIA S. – CORLEONE F. (the care of), op. cit., 59.
[40] Dalla sua cooperazione avrebbe dovuto emergere l’evoluzione della propria personalità, ma per un ergastolano ostativo è molto difficile progredire, non avendo alcun tipo di stimolo o contatto con la realtà esterna al carcere. Therefore, nel caso di specie, la collaborazione viene usata solo come metodo nelle mani della Magistratura di Sorveglianza per entrare nel merito della valutazione, ma non è sufficiente ad attestare con certezza la cessazione della pericolosità del soggetto; cf.. Marcello Viola c. Italy, punto 98: “La Corte osserva, analogamente al ricorrente e al Governo (paragraphs 68 and 77 supra), that, a causa dell’esistenza della circostanza aggravante legata al fatto di avere svolto il ruolo di capo all’interno del gruppo mafioso di appartenenza, ritenuta a suo carico, la collaborazione dell’interessato non può essere definita «impossibile» o «irrilevante» ai sensi della legislazione vigente e della giurisprudenza della Corte di cassazione (paragraphs 33 and 46 supra)”.
[41] Che si è espressa il 23 October 2019 dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. penit. nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo per i delitti di cui all’art. 416-to, che non abbia collaborato con la giustizia, non possa fruire del permesso premio.
[42] “La CEDU fa cadere la collaborazione con la giustizia ex art 58-ter o.p, come unico criterio di valutazione del ravvedimento del detenuto”, Associazione “Nessuno tocchi Caino”, in Corriere.it, 13 June 2019.
[43] Già la Corte Costituzionale, con la sent. n. 149 of 2018, aveva dichiarato incompatibili con il dettato costituzionale quelle “previsioni che precludano in modo assoluto, per un arco temporale assai esteso l’accesso ai benefici penitenziari a particolari categorie di condannati (…) in ragione soltanto della particolare gravità del reato commesso, ovvero dell’esigenza di lanciare un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalità dei consociati. Questi ultimi criteri (…) non possono, nella fase di esecuzione della pena, operare in chiave distonica rispetto all’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena”, punto 7 dei considerato in diritto, in Gazzetta Ufficiale.
[44] Ergastolo, la Corte dei diritti umani condanna l’Italia: rivedere la legge, in Il Messaggero, 13 June 2019.
[45] Cfr. C. Cost., Sent. 253/2019.
[46] Motivi decisione C. Cost., Sent. 253/2019.
[47] Nell’ordinanza de qua la Corte Costituzionale richiama “un’ulteriore decisione di accoglimento (No judgment. 161 of 1997) riassume icasticamente le acquisizioni fin qui descritte. Esprimendosi in punto di reiterabilità della richiesta di liberazione condizionale, pur dopo un provvedimento di revoca adottato a norma dell’art. 177, comma primo, seconda parte, cod. pen. (secondo cui, in caso di revoca del beneficio, «il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale»), la decisione introduce, per il solo condannato all’ergastolo, la possibilità di ottenere nuovamente il beneficio stesso, sempreché ne siano nuovamente maturate le condizioni. La pronuncia osserva che il divieto della riammissione alla liberazione condizionale escluderebbe in modo permanente i condannati all’ergastolo dal processo rieducativo e di reinserimento sociale, in contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost. Aggiunge che, instead, alla stregua dei principi costituzionali, il connotato di perpetuità dell’ergastolo non può autorizzare, sia pure dopo l’esito negativo di un periodo trascorso in liberazione condizionale, una preclusione assoluta all’ottenimento di un nuovo beneficio, naturalmente se sussista il presupposto del sicuro ravvedimento. La conclusione è netta: «[s]e la liberazione condizionale è l’unico istituto che in virtù della sua esistenza nell’ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o più esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale»”.
[48]“L’assolutezza della presunzione si basa su una generalizzazione, che può essere contraddetta, ad esempio alle determinate e rigorose condizioni già previste dalla stessa sentenza n. 253 of 2019, dalla formulazione di allegazioni contrarie che ne smentiscono il presupposto, e che, just, devono poter essere oggetto di specifica e individualizzante valutazione da parte della magistratura di sorveglianza, particolarmente nel caso in cui il detenuto abbia affrontato un lungo percorso carcerario, come accade per i condannati a pena perpetua”, C. Cost., Ord. n. 97/2021.
[49] Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, Comunicato del 15 April 2021.
[50] Citando le motivazioni della Consulta: “Qui, anche per i condannati all’ergastolo che aspirano alla libertà condizionale, può essere ripetuto quanto osservato nella sentenza n. 253 of 2019: quale condizione per il possibile accesso alla liberazione condizionale, il condannato alla pena perpetua è caricato di un onere di collaborazione, che può richiedere la denuncia a carico di terzi, comportare pericoli per i propri cari, e rischiare altresì di determinare autoincriminazioni, anche per fatti non ancora giudicati. Ciò non significa affatto svalutare il rilievo e utilità della collaborazione, intesa come libera e meditata decisione di dimostrare l’avvenuta rottura con l’ambiente criminale, e che certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, qui non in discussione. Significa, instead, negarne la compatibilità con la Costituzione se e in quanto essa risulti l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale”, C. Cost., Ord. n. 97/2021.
[51] Cfr. Corte Cost., Ord. n. 97/2021.
[52] Valutazione di fatto ostacolata dal “carattere assoluto della presunzione di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata” che “impedisce, indeed, alla magistratura di sorveglianza di valutare – dopo un lungo tempo di carcerazione, che può aver determinato rilevanti trasformazioni della personalità del detenuto (No judgment. 149 of 2018) – l’intero percorso carcerario del condannato all’ergastolo, in contrasto con la funzione rieducativa della pena, intesa come recupero anche di un tale condannato alla vita sociale, pursuant to Article. 27, terzo comma, Cost.”, C. Cost. Ord. 97/2021.
[53] La Consulta, nel ricordare la separazione tra poteri, specifica che “appartiene perciò alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento ex art. 176 cod. pen.: scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione. Si tratta qui di tipiche scelte di politica criminale, destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri di questa Corte (…). Come detto, esse pertengono, nel quomodo, alla discrezionalità legislativa, e possono accompagnare l’eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale. In loro assenza, alla luce della peculiarità del fenomeno criminale in esame, l’innesto di un’immediata dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sulla legislazione vigente, pur sostenuta dalle ragioni prima ricordate, potrebbe determinare disarmonie e contraddizioni nella complessiva disciplina di contrasto alla criminalità organizzata, nonché minare il rilievo che la collaborazione con la giustizia continua ad assumere nell’attuale sistema”, così nell’Ordinanza de qua.
[54] Tenendo conto anche della “diversificazione” dei reati indicati all’art. 4-bis O.P., la cui punizione “ostativa” risiede sì nell’allarme sociale caratterizzante gli stessi, ma esula dal “catalogo” dei delitti relativi alla criminalità terroristica, come segnalato dalla Corte Costituzionale, la norma anzidetta ricomprende “anche delitti addirittura privi di riferimento al crimine organizzato, come i reati contro la pubblica amministrazione o quelli di natura sessuale (per alcune di queste fattispecie non è impossibile una condanna all’ergastolo, specie avuto riguardo ai «delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza»). Ed è altresì noto che l’art. 4-to, comma 1, ordin. penit. impedisce al condannato non collaborante l’accesso a tutti i benefici penitenziari (salvo la liberazione anticipata e, dopo la sentenza n. 253 of 2019, il permesso premio). Emerge così l’incerta coerenza della disciplina risultante da un’eventuale pronuncia che accolga le questioni nei termini proposti dal giudice a quo, senza modificare la condizione dei condannati all’ergastolo per reati non connessi alla criminalità organizzata”, C. Cost., Ord. 97/2021.
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