E’ lecito convertire il figlio ad un’altra religione?
La spinosa questione è stata oggetto di una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, attraverso la recente sentenza del 24 mai 2018, n. 12954.
La faccenda, che vede come protagonisti due genitori separati e il loro figlio minore, ruota e si sviluppa intorno alla liceità di imporre al minore una religione diversa da quella da lui seguita.
I genitori sono separati e il figlio vive con la madre. La donna dopo il divorzio cambia religione, convertendosi ai testimoni di Geova. Quando si reca alle riunioni del Tempio, porta anche suo figlio minorenne, il quale non si dimostra felice del cambiamento del credo religioso, lui preferisce la religione cattolica.
Il padre viene a sapere quello che sta accadendo e intima alla moglie di non cercare di cambiare la religione del figlio. La donna non è d’accordo e sostiene che la sua contitolarità della potestà genitoriale, le dà il diritto di potere convertire il figlio a un’altra religione.
Contrasti tra genitori nell’educazione dei figli
Quando si verificano dei contrasti tra i genitori sull’indirizzo dell’educazione da dare al figlio minorenne, in assenza di accordo tra i due decide il tribunale. Il padre o la madre si possono rivolgere al giudice chiedendogli di adottare la decisione che ritiene più conveniente, non una terza via, una delle due in discussione. Nel decidere, il tribunale si deve attenere all’unico parametro, rappresentato dal migliore interesse per il minore.
Non rilevano convinzioni religiose o principi morali dei genitori
Se un genitore vuole convertire il figlio alla propria religione, quando il minore è sempre stato abituato a un altro credo, non può non tenere conto dell’eventuale disagio dallo stesso fatto palese. Il giudice si deve rivolgere ai servizi sociali o allo psicologo che, dopo un’attenta valutazione delle reazioni del ragazzo, esprimano il loro parere con una relazione scritta da depositare agli atti del procedimento civile.
Il genitore non può imporre al minore la sua religione se questa lo danneggia nella crescita e può compromettere il suo equilibrio emotivo. Questo non si concretizza in un’astensione dal proselitismo, ma neanche in una pretesa, e molto meno in una costrizione. La consulenza psicologica definirà se il genitore sta adottando tecniche di convinzione molto “pervasive” oppure non lo sta facendo.
Un’ordinanza della Corte di Cassazione di qualche anno fa ha stabilito che, se uno dei due coniugi decide di cambiare religione (era diventato testimone di Geova), l’altro non può chiedere la separazione con addebito né l’affidamento esclusivo dei figli (Cass. ord. n. 14728/2016).
Un’ordinanza del Tribunale di Prato, ha offerto un’interpretazione molto più rigorosa della questione. Secondo i giudici, restando ferma la libertà di ogni genitore di scegliere il proprio credo, quando questo può essere destabilizzante per il figlio, lo stesso può essere affidato all’altro genitore.
Di seguito le testuali parole della sentenza:
“In tema di separazione giudiziale dei coniugi, posto che l’affido condiviso deve escludersi quando possa essere pregiudizievole per l’interesse dei figli minori, deve disporsi l’affido esclusivo del minore, nella specie di cinque anni di età, al genitore in grado di assicurargli un modello educativo predominante idoneo a garantirne un regolare processo di socializzazione, e consentirgli l’acquisizione delle certezze indispensabili per una crescita equilibrata, se l’altro genitore, nella specie la madre, per avere abbracciato la religione dei testimoni di Geova, si presenta destabilizzante per il minore stesso, prospettando un modello educativo tale da renderne impossibile una corretta socializzazione”.
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