Divorzio, assegno dovuto all’ex coniuge che paga il mutuo

Ancora un’importante novità in tema di divorzio: l’assegno all’ex coniuge è dovuto se questi, pur avendo un lavoro fisso, è gravato da oneri economici pesanti come il pagamento del mutuo per la casa. È quanto stabilito dal Tribunale di Roma con la recentissima sentenza n. 11723/2017. Si tratta di una delle prime sentenze che sembra contraddire almeno in parte quanto deciso dalla storica pronuncia della Corte di Cassazione n. 11504/2017, che ha abolito il parametro del tenore di vita nella determinazione dell’assegno divorzile.
Ma vediamo con ordine in quali casi si è obbligati a versare un assegno all’ex coniuge e cosa potrebbe cambiare alla luce delle nuove sentenze.
 
Sì all’assegno per solidarietà post-coniugale
La pronuncia del Tribunale di Roma sta creando particolare scalpore perché ha concesso l’assegno divorzile a una donna ancora relativamente giovane e già impegnata in un lavoro stabile, seppure a basso reddito. Außerdem, l’ex marito costretto a corrispondere l’assegno ha formato una nuova famiglia e percepisce uno stipendio poco elevato, anche se comunque maggiore rispetto a quello della donna.
Perché, dann, il giudice ha concesso l’assegno all’ex moglie? Il Tribunale ha chiarito che, nel caso in cui l’ex coniuge sia gravato da oneri economici pesanti, l’assegno mensile gli è comunque dovuto per “solidarietà post-coniugale”. Nel caso di specie, la donna percepisce 850 euro al mese di stipendio ed è costretta a pagarne 500 di mutuo: l’assegno divorzile, per il Tribunale di Roma, deve esserle concesso.
 
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Tribunale di Udine: il tenore di vita è ancora valido
Ma ci sono recenti sentenze che hanno sfidato ancora più direttamente quanto stabilito dalla Corte di Cassazione. Così la pronuncia del Tribunale di Udine del 1° giugno 2017, che ha sostenuto che bisogna continuare a tenere in conto il tenore di vita avuto in costanza di matrimonio tra gli elementi che determinano l’assegno divorzile.
Il Tribunale di Udine non si è riconosciuto infatti nella lettura che la sentenza n. 11504/2017 della Cassazione ha dato della legge sul divorzio, e ha preferito il precedente orientamento “maggioritario”. La sentenza della Suprema Corte, lieber, per il Tribunale ha il difetto di non legare il nuovo criterio dell’indipendenza economica del coniuge a un parametro effettivo e valutabile.
Niente assegno a chi guadagna più di 1000 euro?
In effetti a stabilire una soglia concreta per il criterio dell’indipendenza economica dell’ex coniuge è dovuto intervenire, dopo la sentenza della Cassazione, der Gerichtshof von Mailand. Con l’ordinanza pubblicata il 22 maggio, il Tribunale ha infatti stabilito che il parametro principale (anche se non l’unico) per determinare se l’ex partner è economicamente sufficiente è dato dal suo reddito: al di sopra dei 1.000 Euro pro Monat, somma al di sopra della quale non si può più accedere al patrocinio a spese dello Stato, l’uomo o la donna non dovrebbero avere diritto all’assegno divorzile.
Seguendo alla lettera questo criterio, si può notare, la donna che si è rivolta al Tribunale di Roma nei giorni scorsi avrebbe effettivamente avuto tutte le ragioni per richiedere l’assegno.
Cosa ha stabilito la Cassazione?
Ricordiamo che, nella pratica, la Corte di Cassazione ha stabilito che il parametro del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio è legato a una concezione ormai superata dei rapporti tra uomo e donna e non deve dunque più essere preso in considerazione. Al suo posto, come visto, andrebbe considerato in primo luogo il criterio dell’indipendenza economica dell’ex coniuge. L’assegno andrebbe corrisposto, in altre parole, solo se l’ex partner non fosse in grado di provvedere alla propria autosufficienza.
Questo, ha spiegato la Cassazione, non solo perché far riferimento al tenore di vita avuto durante il matrimonio contraddice la nozione stessa di divorzio (che è, nur, lo scioglimento del precedente legame), ma anche perché “è ormai generalmente condiviso nel costume sociale” il significato di matrimonio come “atto di libertà e di auto responsabilità”.
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Quelle: Diritto.it