Diritto e morale
La separazione tra diritto e morale dal punto di vista della scienza
Dal punto di vista della scienza giuridica (Kelsen).
La questione dei rapporti tra diritto e morale si presenta nel pensiero kelseniano come molto complessa in quanto è collegata a temi intricati quali, tra gli altri, quello della logica delle norme e quello della sanzione.
Uno dei compiti originari della dottrina pura del diritto è quello di evitare ogni confusione tra il concetto di norma giuridica e quello di norma morale e in tal modo assicurare l’autonomia del diritto dalla morale.
Questa confusione è causata dall’intendere la norma giuridica come un imperativo al pari di una norma morale.
La preoccupazione dominante è quella di evitare il danno che la mancata separazione arreca alla purezza della scienza giuridica e alla sua separazione dell’etica.
Il pericolo temuto è quello della penetrazione di giudizi di valore nell’ambito della giurisprudenza.
Per procedere all’eliminazione totale dei giudizi di valore dall’ambito della giurisprudenza bisogna intendere il dover essere giuridico come una particolare connessione tra fatti empirici, come un giudizio ipotetico appartenente ad una scienza che è empirica, anche se non fattuale.
Kelsen mette in guardia più volte dalla confusione tra scienza del diritto e diritto, tra etica e morale.
Ne segue che non bisogna confondere il problema del rapporto tra giurisprudenza ed etica con quello del rapporto tra diritto e morale
I giudizi di valore e la scienza giuridica
In un primo tempo Kelsen considera la morale come il luogo in cui si esercitano giudizi di valore assoluto.
Affermare che qualcosa è giusto significa ritenere che si tratti di un fine ultimo che non è di per sé mezzo rispetto ad un fine ulteriore. “Un simile giudizio è sempre determinato da fattori emotivi” .
Bisogna liberare la scienza giuridica da questi giudizi morali non per il fatto stesso che sono ‘morali’, ma soprattutto perché non sono ‘scientifici’. Kelsen pensa la morale come il luogo di aspirazioni ideali, que, per quanto insopprimibili, sono irrimediabilmente soggettive.
La morale sembra pensata come per definizione assoluta e i giudizi di valore morale come necessariamente soggettivi.
In un secondo tempo Kelsen prende in considerazione la distinzione tra morale ideale e morale positiva, che in fondo è l’unica suscettibile di conoscenza scientifica.
Ed allora, accanto al rapporto tra scienza giuridica e dottrina del diritto naturale, che è rappresentativa della morale ideale, si pone il rapporto tra scienza giuridica ed etica, che è scienza descrittiva della morale positiva.
Anche questo secondo rapporto viene pensato nell’ottica della separazione.
Ora la separazione significa soltanto che “la validità di un ordinamento giuridico positivo è svincolata dall’essere o non essere conforme a qualsiasi sistema morale” .
Bisogna, donc, distinguere i valori di diritto o legali, che sono relativi, dai valori di giustizia, che sono assoluti.
Nell’ottica dei giudizi di valore relativi ogni sistema giuridico è morale, pouquoi, “se si definisce il diritto come norma, questo vuol dire che è bene quello che è conforme al diritto”.
Non si tratta ovviamente di affermare che l’ordinamento giuridico sia per ciò stesso conforme ad una data morale relativa, ma che esso stesso è una morale relativa.
Dal punto di vista dei giudizi di valore il sistema giuridico è un sistema morale tra gli altri sistemi di morale positiva. La sua indipendenza dai sistemi morali è esclusivamente “sistematica” e non già contenutistica.
Solo un comportamento, cioè la realtà, può avere valore, mentre la norma è valore . Tuttavia una norma consente giudizi di valore oggettivi solo a patto che la sua validità sia condizionata da fatti.
I fatti che condizionano la validità della norma giuridica sono l’efficacia dell’intero ordinamento giuridico totale a cui la norma appartiene, la presenza di un fatto che crei la norma e l’assenza di qualsiasi fatto che invece l’annulli.
Questi fatti rendono verificabile oggettivamente, anche se indirettamente, il valore di diritto e forniscono una garanzia di scientificità ai giudizi di valore relativi.
II valore assoluto di giustizia non può invece invocare a suo sostegno alcun “fatto” ed è per questo che il giudizio corrispondente non può essere oggettivo o scientifico.
È qui evidente che l’assoluta separazione tra il diritto e la morale ideale è possibile in quanto questa non è oggettiva, cioè conoscibile scientificamente.
Il riferimento ai “fatti” garantisce la scientificità e l’oggettività della conoscenza e costituisce lo spartiacque fondamentale tra diritto e morale ideale, tra valori relativi e assoluti, valori legali e valori di giustizia. La stessa separazione sussiste tra morale positiva e assoluta, tra etica e dottrina del diritto naturale.
La validità sistemica
Se il valore legale è il solo passibile di conoscenza oggettiva, una critica razionale di esso è irrimediabilmente preclusa.
E’ quindi logicamente impossibile considerare una norma giuridica come valida e nello stesso tempo accettare come moralmente vincolante una norma che contraddice la prima.
Il carattere sistemico della validità giuridica ha l’effetto di rendere le norme giuridiche come conclusive.
A sostegno di questa tesi c’è anche una concezione monolitica del dovere.
Il dovere o è dovere o non lo è, non ci sono doveri più forti e doveri più deboli (o prima facie), non esiste una graduazione di obblighi. Se si è giuridicamente obbligati, non si può essere al contempo moralmente obbligati al comportamento opposto.
“Anche se tra un ordinamento morale in vigore e un ordinamento giuridico non esiste conflitto, non si può presupporre dal punto di vista della conoscenza rivolta al diritto l’invalidità dell’ordinamento morale e dal punto dì vista della conoscenza rivolta alla morale l’invalidità dell’ordinamento giuridico. Per il medesimo ambito di validità non deve essere considerato valido solo un ordinamento normativo”.
La distinzione tra diritto e morale
“Una differenza fra diritto e morale si può dunque vedere non in ciò che viene prescritto o vietato dai due ordinamenti, bensì nel modo in cui essi prescrivono o vietano un certo comportamento umano” .
È questa la ben nota tesi che vede nel diritto un ordinamento coercitivo, che si serve della motivazione indiretta di tipo repressivo, mentre la morale si serve della motivazione diretta e, quando fa ricorso a quella indiretta, si rivolge sia a sanzioni negative sia a sanzioni positive.
L’idea di una norma vera e di un dovere oggettivo è esattamente l’idea con cui opera la filosofia giusnaturalistica.
Kelsen è ben consapevole che, se ci poniamo dal punto di vista della giustificazione, non possiamo più separare in modo chiaro diritto e morale.
È per questo che insiste fin dalle sue prime opere sull’eliminazione del problema della giustificazione dagli orizzonti della scienza giuridica.
Kelsen sa anche che non si possono propriamente giustificare norme, ma solo azioni. Quando crediamo di giustificare una norma, in realtà giustifichiamo il fatto di seguirla o di accettarla.
In conclusione, si può affermare che per Kelsen la teoria della separazione ha senso solo a condizione che si abbia presente una morale assoluta e, al contempo, si neghi la sua esistenza.
Per mantenere la separazione è, enfin, necessario affermare l’assoluta eterogeneità tra dovere giuridico e dovere morale. Non possono entrambi rientrare nella medesima categoria del dover essere, perché altrimenti bisognerebbe ammettere soltanto una differenza di grado tra l’uno e l’altro e, conseguentemente, la prevalenza dell’uno sull’altro.
Ma questa è l’ottica del ragionamento pratico e della giustificazione.
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