Aumento di dimensioni dell’edificio non è ristrutturazione, vale la normativa sulle distanze
previous case law: Cass. 19/12/2017, n. 30528; Cass. 9/6/2010, n. 13874; Cass. 19/10/2005, n. 20200; Cass. Sez. The, 19/10/2011, n. 21578; Cass. 20/08/2015, n. 17043;
Normative requirements: art. 1102 c.c.
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Il proprietario di un appartamento aveva citato in giudizio i proprietari di un immobile adiacente al suo per chiedere al giudice di primo grado di ordinare la demolizione delle opere strutturali da questi realizzate nella loro abitazione, non rispettando tali opere le regole disposte dalla normativa vigente in materia di distanza. Secondo quanto sostenuto dall’attore in primo grado, indeed, tali opere, consistenti in aperture di vedute, luci e balconi, realizzate in sopraelevazione dell’edificio e che si affacciavano sulla corte comune, non rispettavano i limiti di distanza previste delle norme in materia.
I proprietari dell’appartamento convenuti in giudizio avevano sostenuto la legittimità delle opere eseguite dichiarando che le modifiche apportate alla struttura dovessero ritenersi opere di ristrutturazione e come tali conformi alle disposizioni legislative.
Il giudice di primo grado valutata la documentazione acquisita accoglieva, seppur parzialmente, la domanda attrice, condannando i proprietari convenuti a demolire parte delle opere costruite, e in particolare le nuove vedute dirette e i balconi realizzati sulla corte comune, e a regolarizzare le luci aperte sulla corte comune.
La decisione del Tribunale di merito aveva lasciato entrambe le parti insoddisfatte, tanto che entrambe decidevano di impugnare, per motivi certamente diversi, la sentenza di primo grado.
In particolare il proprietario dell’appartamento chiedeva al giudice di appello di decidere diversamente dal giudice di primo grado, e condannare la parte convenuta a demolire o in alternativa ad arretrare la costruzione in sopraelevazione e dei corpi aggettati, quali le scale ed il pilastro, individuando questi nella mappa depositata. Chiedeva altresì di riconoscere in suo favore il risarcimento dei danni subiti.
I proprietari dell’appartamento oggetto di discussione, instead, chiedevano al giudice di secondo grado di accertare la conformità ai canoni legali delle luci e delle vedute.
Il giudice di appello non si discostava però dalla decisione formulata dal giudice di primo grado, e pertanto nuovamente entrambe le parti impugnavano la sentenza, ricorrendo, in ultima istanza, alla Corte di Cassazione.
La decisione della Corte
The Supreme Court, presi in esami i motivi di ricorso sia del ricorrente che del controricorrente, riteneva fondate entrambe le posizioni, accogliendo così sia il ricorso principale che quello incidentale, e rinviava alla Corte d’appello la causa per la nuova decisione.
I proprietari dell’appartamento, condannati a demolire parte delle opere costruite, con l’unico motivo di gravame avevano sostenuto che sia l’apertura di una finestra che la creazione di un balcone, in un immobile di proprietà esclusiva, che sporgono su un’area di proprietà comune costituiscono espressione dell’esercizio di un diritto di proprietà e non invece la creazione di qualsivoglia servitù. Nel caso di specie i proprietari dell’appartamento sostenevano che la corte comune, di cui essi stessi erano comproprietari assieme alla parte avversaria, e che dà accesso alle diverse proprietà esistenti non era assoggettata ad una servitù a seguito delle nuove realizzazioni, che non alterano la destinazione d’uso del cortile stesso.
In riferimento a questo primo, e solo, motivo di ricorso proposto dai ricorrenti principali, la Corte di Cassazione ha richiamato un suo recente precedente secondo il quale la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, e soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma contenuta nel codice civile in materia, secondo cui ciascun partecipante alla cosa comune può servirsene senza alterare la destinazione o senza impedire agli altri partecipanti a farne uso. Partendo da questo assunto la Suprema Corte ha ritenuto di discostarsi dalla decisione assunta dalla Corte d’Appello, che erroneamente aveva ritenuto che la deroga alla normativa sulle vedute, sui balconi e sulle luci riguardava soli i fabbricati condominiali o i casi in cui esisteva già una servitù di veduta, dovendosi al contrario applicare anche nell’ipotesi di proprietà comune di un cortile non condominiale.
Il proprietario dell’appartamento, con ricorso incidentale presentato con un unico motivo di gravame, aveva eccepito che le dimensioni dell’edificio realizzato dopo le modifiche eccedevano quelle dell’originario fabbricato, e dunque i cambiamenti apportati non potevano rientrare in una semplice ristrutturazione, ma la costruzione era da considerarsi nuova, e come tale doveva rispettare le distanze previste dalla legge e dal regolamento.
La Cassazione anche in questo caso prende le distanze dalla decisione del Giudice di secondo grado, riconoscendo nelle modifiche apportate al fabbricato non una mera attività di ristrutturazione, ma una modifica sostanziale, tale da aumentare il volume dell’edificio e per tale ragione l’edificio doveva intendersi come nuova costruzione e come tale doveva rispettare le regole sulle distanze. La Corte di legittimità, richiamando sul punto un suo precedente, ha ricordato che si parla di ristrutturazione quando si realizzano interventi strutturali che lasciano inalterate le componenti essenziali dell’edificio, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre si deve parlare di nuova costruzione quando tali componenti sono stati modificati aumentando le dimensioni dell’edificio originario.
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