Violenza sessuale di gruppo: per la Cassazione è sufficiente la presenza dei singoli componenti nel luogo del delitto
Sommario: 1. Sintetica introduzione sul delitto di violenza sessuale di gruppo; 2. I fatti da cui trae origine la sentenza n. 29096/2020 della Suprema corte in materia di violenza sessuale di gruppo; 3. Le motivazioni a sostegno della pronuncia ermellina; 4. Conclusioni desumibili dalla sentenza in oggetto
1. Sintetica introduzione sul delitto di violenza sessuale di gruppo
La violenza sessuale di gruppo è il delitto commesso da chiunque partecipi con più persone ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. Trova la sua disciplina nell’art. 609 octies c.p., che così sancisce:
«La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis.
Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
Si applicano le circostanze aggravanti previste dall’art. 609 ter.
La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’art.112» {cfr. art. 609 octies c.p., introdotto dalla L. 15 febbraio 1966, n. 66}.
La disposizione in esame tutela la libertà sessuale della vittima, intesa quale libertà di autodeterminarsi in relazione alla propria sfera sessuale, fortemente compromessa da una simile condotta criminosa, assimilabile a quella del delitto di cui all’art. 609 bis c.p, da cui si distingue per la necessaria compartecipazione di più soggetti, al di fuori delle ipotesi di concorso di persone nel reato di violenza sessuale.
Un atto di violenza sessuale, di per sé aberrante, se posto in essere da una moltitudine di soggetti, un gruppo appunto, determina un disvalore penale maggiore rispetto al “classico” reato individuale, poiché maggiore è l’offesa, fisica e psichica, subita dalla vittima, che lede, in maniera altamente incisiva, il bene protetto dalla norma.
Dunque, per la configurazione del reato de quo, la condotta deve estrinsecarsi in un abuso sessuale pluripersonale, che si realizza per costrizione, ossia mediante violenza, minaccia od abuso di autorità, ovvero per induzione, mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica o mediante l’inganno della persona offesa.
Si tratta di una fattispecie autonoma di reato, non di una mera circostanza aggravante del delitto di violenza sessuale, che si caratterizza per la sussistenza del concorso necessario proprio, in quanto la pluralità dei compartecipi costituisce elemento fondante del delitto, che richiede, ai fini della sua configurazione, oltre alla verbale pattuizione delle volontà dei compartecipi, la simultanea effettiva presenza di almeno due soggetti nel tempus e nel locus della consumazione dell’illecito {cfr. E. SALEMI, Violenza sessuale di gruppo, 2014, www.altalex.com}.
La disposizione di cui all’art. 609 octies c.p. non prescrive che tutti i componenti del gruppo criminoso pongano in essere atti di violenza sessuale, bastando, ai fini della configurazione del reato, che questi diano un apporto materiale o morale al proposito delittuoso dei compartecipi ovvero realizzino una residuale frazione del fatto tipico {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 8 ottobre 2018, n. 44835}.
Inoltre, non risulta neppure necessario che i correi assistano fisicamente al compimento degli abusi, bastando la loro presenza nel momento e nel luogo della realizzazione dei medesimi.
Per ciò che concerne l’eventuale concorso di persone nel reato, di cui all’art. 110 c.p., esso sarebbe configurabile nella sola ipotesi in cui un terzo soggetto, non partecipante materialmente al delitto, abbia posto in essere azioni istigative od agevolative degli autori della violenza, rimanendone, in qualche modo, esterno, ma non estraneo. A soli fini esemplificativi, risponde del reato di violenza sessuale di gruppo, di cui all’art. 609 octies c.p., il genitore che, pur non partecipando materialmente alla commissione di atti di violenza sessuale sul proprio figlio minore, sia presente nel locus commssi delicti ed agevoli, mediante condotta omissiva o commissiva, gli abusi sessuali del correo {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 29 maggio 2015, n. 23272}.
L’attenuante applicabile alle circostanze intese di minore gravità, di cui all’art. 609 octies, c. 4, c.p., può essere riconosciuta esclusivamente qualora l’apporto del correo, in fase preparatoria od esecutiva, sia minimo e marginale, e, dunque, assolutamente trascurabile nella generale economia della condotta criminosa. A fini puramente esemplificativi, l’applicazione dell’attenuante, di cui all’art. 609 octies, c. 4, c.p. è da escludersi qualora il soggetto, alla guida di un autoveicolo, conduca la vittima in un luogo isolato e, mediante intimidazione volta a neutralizzare qualsiasi reazione della stessa, la “ceda” a due ragazzi, che ne abusano sessualmente {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 2 agosto 2017, n. 38616}.
2. I fatti da cui trae origine la sentenza n. 29096/2020 della Suprema corte in materia di violenza sessuale di gruppo
Con sentenza 21 ottobre 2020, n. 29096, la Corte di cassazione, Sez. III penale, ha così disposto: «Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609 octies c.p., non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche solo da uno, o l’aver fornito un contributo materiale o morale alla commissione del reato».
La pronuncia in esame trae origine dall’impugnazione, in sede di legittimità, dell’ordinanza emessa dal Tribunale per i Minorenni di Catania, che rigettava l’istanza di riesame depositata dal procuratore di uno degli imputati avverso l’ordinanza del 21 febbraio 2020, mediante la quale veniva applicata, al proprio assistito, imputato dei reati di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo, la misura della custodia cautelare in un istituto penitenziario minorile.
L’imputato, infraquattordicenne ai tempi della commissione dei reati ascritti, era accusato di esser presente nel luogo e nel tempo della commissione della violenza sessuale, concretamente realizzata da terzi soggetti, di aver toccato il seno alla vittima e di aver registrato, a detta della persona offesa, mediante un dispositivo telefonico di sua proprietà, un video degli abusi di gruppo perpetrati.
Il difensore dell’imputato V.S.S. ricorre per Cassazione contro la citata ordinanza, per i due seguenti motivi.
Mediante il primo motivo, l’imputato, attraverso il proprio procuratore, deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza, nel caso di specie, di gravi e concordanti indizi di colpevolezza, contestando l’insufficienza e l’illogicità della motivazione espressa dal Tribunale per i Minorenni di Catania, il quale non ha dato, a parere del ricorrente, il giusto “peso” alla ricostruzione alternativa dei fatti.
In particolare, il Giudice di prime cure aveva attribuito valore preminente alle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai correi, soggetti infraquattordicenni, inutilizzabili in quanto assunte in violazione degli artt. 350, 63 e 64 c.p.p., inosservando il disposto dell’art. 351, c. 1 ter, c.p.p., la cui violazione comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei minori imputati.
Il competente Tribunale non aveva, a parer del ricorrente, valutato, in misura adeguata alla delicatezza del caso di specie, l’attendibilità delle dichiarazioni rese dagli imputati, discordanti tra loro e con le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso del suo interrogatorio.
Il Tribunale aveva erroneamente valutato la topografia dei luoghi analizzati attraverso Google Maps, la quale rendeva altamente inverosimile che la realizzazione dell’iter criminoso da parte del ricorrente si innestasse nell’arco temporale individuato.
Le dichiarazioni rese dalla persona offesa erano state valutate, secondo la difesa, in maniera frazionata, omettendo una rigorosa disamina circa la credibilità della narrazione accusatoria.
La circostanza, riferita dalla persona offesa e mai confermata dagli imputati, di una videoripresa effettuata dal ricorrente durante la violenza sessuale di gruppo non trovava il ben che minimo riscontro nelle dichiarazioni rese dai compartecipi e negli esiti delle indagini effettuate dalla Polizia giudiziaria sui dispositivi di memorizzazione, oggetto di provvedimento di sequestro, appartenuti ai quattro minori indagati.
Dalle risultanze probatorie si evince, dunque, una presenza, definibile quale “inerte”, del ricorrente sul luogo della perpetrata violenza sessuale di gruppo, che integra, eventualmente, l’ipotesi di una connivenza non punibile.
Mediante il secondo motivo, l’imputato, attraverso il proprio procuratore, deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza, nel caso di specie, delle esigenze cautelari ed all’adeguatezza della misura della custodia cautelare applicata, deducendo che il Tribunale avesse espresso una motivazione altamente generica in ordine all’esigenza di cautela probatoria, richiamando elementi insufficienti e non riferibili alla posizione del ricorrente.
Ciò posto, l’imputato V.S.S. chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. Le motivazioni a sostegno della pronuncia ermellina
La Corte di cassazione, con sentenza 21 ottobre 2020, n. 29096, dichiara inammissibile il ricorso proposto dell’imputato V.S.S., per i seguenti motivi.
In merito alla presunta violazione degli artt. 350, 63 e 64 c.p.p., la Suprema corte ha ribadito che, nella fattispecie in esame, i predetti articoli non trovano applicazione, poiché il minore di quattordici anni, incapace di diritto penale sostanziale e processuale, non può assumere legalmente la qualità di imputato, ma può assumere la qualità di testimone in ordine ai fatti che lo vedono coinvolto come autore concorrente, in quanto tale ufficio non è escluso dall’art. 197 c.p.p. {cfr. Corte di cassazione, Sez. II penale, sentenza 16 novembre 1998, n. 11698}.
In merito alla presunta violazione dell’art. 351, c. 1 ter, c.p.p., gli ermellini ritengono sia inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato, il quale deduce la violazione delle norme prescriventi particolari cautele per l’assunzione della prova testimoniale del minore, in quanto si tratta di modalità previste nell’esclusivo interesse del predetto {cfr. Corte di cassazione, Sez. V penale, sentenza 8 giugno 2017, n. 32374}.
In merito alle misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p., la giurisprudenza della Corte ritiene che si tratti di tutti quegli elementi, di natura logica o rappresentativa, che non valgono, da soli, a provare, al di la di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’indagato, ma che, mediante l’acquisizione di futuri ulteriori elementi, potranno consentire di dimostrare la predetta responsabilità {cfr. Corte di cassazione, Sez. II penale, sentenza 7 dicembre 2017, n. 12851}. Le valutazioni in ordine alla colpevolezza dell’indagato, quindi, al fine di consentire l’emissione di un provvedimento de libertate, devono permettere un apprezzamento in termini prognostici, ontologicamente compatibili con possibili ricostruzioni alternative dell’accaduto.
Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari in sede di giudizio de libertate, dunque, è sufficiente la sussistenza del requisito della sola gravità degli indizi, non necessitando che gli stessi siano precisi e concordanti, come richiesto dall’art. 192 c.p.p. per il giudizio di merito. La sussistenza della gravità degli indizi di colpevolezza, richiesta per l’adozione di una misura cautelare personale, viene meno qualora sussista una prova diretta, quale la dichiarazione resa dalla persona offesa, che può costituire, senza il riscontro in elementi esterni, fonte probatoria attendibile sul piano processuale oggettivo e soggettivo {cfr. Corte di cassazione, Sez. V penale, sentenza 20 dicembre 2013, n. 5609}.
In merito alla presunta violazione di specifiche norme di legge ovvero alla presunta manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, la Cassazione ha stabilito che il Tribunale per i Minorenni di Catania ha correttamente confermato l’ordinanza genetica, motivando specificamente in ordine all’attendibilità della persona offesa. In particolare, a detta della Corte, il Giudice di prime cure ha giustamente vagliato l’attendibilità intrinseca della persona offesa, ha valutato i numerosi riscontri esterni alle dichiarazioni della stessa, delineando le condotte addebitabili alla ricorrente e dando specifica risposta ai rilievi difensivi riproposti. La logicità e la congruità della motivazione inducono, quindi, la Corte a rigettare il ricorso.
In merito alla deduzione difensiva, secondo la quale il ricorrente sia un soggetto “inerte” sul locus commissi delicti, che integrerebbe l’ipotesi di una connivenza non punibile, la Suprema corte ha ribadito che, ai fini della configurazione del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto e punito ai sensi dell’art. 609 octies c.p., è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, in quanto si tratta di delitto necessariamente plurisoggettivo proprio. Non è, tuttavia, richiesto che tutti i correi compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che il compartecipe dia un contributo causale, morale o materiale, alla commissione del reato, o che assistano al compimento di atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel tempo in cui detti atti vengono compiuti {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 11 marzo 2010, n. 11560}. Nel caso di specie, dalle risultanze probatorie emerse, risulta che il ricorrente, presente durante la violenza sessuale di gruppo, non abbia tenuto la condotta di un mero spettatore, ma abbia contributo alla violenza, mediante il toccamento al seno della persona offesa e la registrazione di una videoripresa dei fatti criminali in oggetto.
In merito al pericolo, concreto ed attuale, della reiterazione criminosa, la Corte di cassazione si trova concorde con quanto stabilito dal Tribunale per i Minorenni di Catania, il quale, dopo aver valutato la gravità del fatto commesso e vagliato attentamente la personalità dell’indagato, desunto dalle modalità del fatto e dal contesto in cui il medesimo si è realizzato, evinceva la potenzialità criminale, concreta ed attuale, del ricorrente a divenire recidivo.
Il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari è censurabile in sede di legittimità soltanto qualora si traduca nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione e non anche qualora il ricorrente proponga censure che riguardino la ricostruzione dei fatti o la rivalutazione delle circostanze esaminate dal giudizio di merito.
Per tutti i motivi addotti, ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Conclusioni desumibili dalla sentenza in oggetto
La Corte, fatte le predette considerazioni, allineandosi alle argomentazioni prospettate dal Tribunale per i Minorenni di Catania, che ravvedeva l’imputato presente nel luogo e nel tempo della violenza sessuale, nonché autore di un toccamento del seno della vittima e realizzatore di una videoripresa delle azioni delittuose, rigetta il ricorso, dichiarandolo inammissibile {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 11 marzo 2010, n. 11560}.
Partendo dall’assunto che il delitto di violenza sessuale di gruppo, di cui all’art. 609 octies c.p., abbia natura necessariamente plurisoggettiva, la Corte ha stabilito che, per l’integrazione del reato de quo, non occorre che ogni singolo correo compia atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che lo stesso fornisca, in qualsiasi modo, un contributo causale, anche minimo, alla commissione del delitto.
Non si richiede che il partecipante ponga in essere, in concreto, i tipici atti del delitto di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis c.p., in quanto il reato si configura anche nei confronti di chi, non mero spettatore, contribuisca, materialmente o semplicemente moralmente, all’aberrante azione collettiva.
Il contributo causale alla configurazione della fattispecie delittuosa potrebbe sostanziarsi anche in un comportamento “inerte”, sempre in un’ottica partecipativa, idoneo a dar forza al discutibile proposito criminoso degli esecutori materiali e ad intimidire la vittima, recidendo le sue già labili difese {cfr. L. PISPERO, Violenza sessuale di gruppo. Come è punibile chi non partecipa, 2020, www.filodiritto.com}.
Tale pronuncia riprende il disposto di una precedente sentenza ermellina {cfr. Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 11 marzo 2010, n. 11560}, la quale ha sancito che, per la configurazione della fattispecie delittuosa, non risulta fondamentale che i compartecipi assistano materialmente alla violenza, ma che siano presenti, nei medesimi termini spaziali e temporali, ove il reato viene a perpetrarsi, in quanto la determinazione criminale risulta alimentata proprio dalla presenza del gruppo.
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