Un tema irrisolto: la differenza tra mediazione e mandato

      Indice

I fatti di causa e le questioni
La natura giuridica della mediazione
La differenza tra mediazione e mandato
La posizione del Tribunale nell’annotata sentenza

1. I fatti di causa e le questioni
Nel mese di settembre del 2003, Ca. Fe. si rivolgeva all’agenzia immobiliare della convenuta Ma. Ro. Al., con l’intento di acquistare un immobile. A tale scopo la Al. ne offriva uno disponibile e l’attore sottoscriveva una proposta irrevocabile di acquisto. In seguito alla mancata accettazione della proposta da parte del possibile acquirente, la convenuta invitava Ca. Fe. ad alzare il prezzo ma, nonostante ciò, la trattativa per l’acquisto non andava a buon fine. Successivamente, l’attore veniva a conoscenza di due eventi: le proposte di acquisto da lui formulate non erano mai giunte all’incaricato dalla proprietaria di trattare la vendita e l’immobile in questione era stato venduto ad un altro acquirente. Pertanto, l’attore agiva in giudizio per far dichiarare la responsabilità della convenuta per inadempimento degli obblighi assunti e condannarla al risarcimento del danno.
La sentenza in esame tratta la dibattuta, ma sempre di attuale interesse, questione della natura della mediazione e le sue differenze con il mandato, con particolare riferimento all’attività dell’agente immobiliare. Scopo del presente scritto è analizzare – seppur a grandi linee e senza pretesa di esaustività vista la complessità e vastità della materia – la natura della mediazione e i profili che valgono a distinguerla dal mandato, anche alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali e dottrinali.
2. La natura giuridica della mediazione
Si registra un acceso interesse della dottrina alle problematiche concernenti la fonte del rapporto di mediazione, sollecitato anche dalla mancanza di un’esplicita nozione di mediazione nel Codice civile: è delineata, infatti, solo la figura del mediatore, individuato nell’art. 1754 c.c.
Il dibattito degli Autori, originariamente diviso tra teorie contrattualistiche e acontrattualistiche, riconosce validità anche ad una teoria intermedia, che le ammetterebbe entrambe. La dottrina maggioritaria[1] ravvisa il fondamento della mediazione in un vincolo contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati gli conferiscano l’incarico, sia nel caso in cui accettino l’attività prestata, in quanto “in entrambi i casi essa trae origine dal fondamento e dalla volontà dei soggetti, manifestata esplicitamente o implicitamente attraverso fatti concludenti”[2]. A sostegno della tesi vengono addotti vari argomenti: i più significativi sono la collocazione della mediazione nella sistematica del codice relativa ai singoli contratti[3] e il disposto dell’art. 1756 c.c., che presuppone un preesistente accordo fra intermediato e mediatore, da cui scaturirebbe l’obbligo di rimborso spese, anche se l’affare non sia stato concluso. Gli acontrattualisti, al contrario, individuano il momento genetico della mediazione nell’obiettiva messa in relazione delle parti ad opera del mediatore. Sarebbe, dunque, un’attività di fatto, priva di effetti giuridici fino alla conclusione del contratto, momento in cui scatta l’obbligo di corrispondere la provvigione[4]. Tale tesi si fonda su vari elementi, tra cui la totale assenza di una norma che designi il contratto di mediazione come fattispecie causativa di effetti[5], o addirittura la circostanza che la mediazione sarebbe incompatibile con una struttura contrattuale, dato che l’incarico al mediatore sarebbe solo un mezzo per “eccitare la sua attività”, ma non produrrebbe nessun effetto giuridico[6]. Il vero discrimen che separa le due tesi riguarda, dunque, la necessità[7] o meno[8] del consenso o della consapevolezza dei destinatari dell’affare in ordine all’attività svolta dal mediatore. Intermedia[9], invece, è la posizione di chi ipotizza una natura variabile della mediazione, la cui qualificazione dipenderebbe dall’esame del caso concreto. Più precisamente, l’attività mediatoria genera un rapporto negoziale solo se le parti hanno stipulato espressamente un accordo, in forza del quale sorgono diritti e obblighi per le stesse. Diversamente, in assenza di un preciso accordo in tale direzione, sorge egualmente a carico dei soggetti che utilizzano l’opera del mediatore l’obbligo di corrispondere la provvigione, a condizione che l’affare si stato concluso e che l’attività svolta dall’intermediario presenti determinate caratteristiche[10].
Alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali[11], si è consolidata l’opinione – che si avvicina di più alla tesi intermedia – che ritiene configurabile, accanto alla mediazione ordinaria o tipica, cioè quella di mero fatto, una mediazione c.d. atipica, basata su un contratto a prestazioni corrispettive, in cui l’incarico può provenire anche solo da una delle parti interessate all’affare (c.d. mediazione atipica unilaterale)[12]. Proprio la sentenza in esame sembra aderire a tale orientamento quando riconduce l’attività della convenuta alla mediazione atipica bilaterale, dimostrandosi, in tal guisa, aperta alle nuove linee tracciate dalla Cassazione.

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3. La differenza tra mediazione e mandato
Dopo le premesse sulla natura della mediazione, si procederà all’analisi dell’argomento principale affrontato dalla sentenza in commento, ossia la distinzione tra mediazione e mandato, al fine di comprendere appieno la qualificazione data dal giudice a quo.
Innanzitutto, è bene chiarire che, benché nella pratica la linea di demarcazione sia sempre più sottile, sono evidenti e pacifiche le differenze tra mandato e mediazione – pur atipica – sul profilo strutturale e sulla natura dell’attività posta in essere. In primo luogo, nel contratto di mandato, il mandatario ha diritto di ricevere il compenso a prescindere dall’effettiva conclusione dell’affare, avendo l’obbligo giuridico di curare l’esecuzione dell’incarico[13]; mentre, in capo al mediatore, vi è solamente l’onere di mettere in relazione i contraenti, per cui il diritto di pretendere la provvigione è subordinato al perfezionamento dell’affare, inteso come operazione economica compiuta attraverso un rapporto giuridicamente vincolante che si risolva in una utilità patrimoniale[14]. Un’ulteriore differenziazione si ricava dalla tipologia dell’attività svolta da chi accetta l’incarico: nel caso questi sia mandatario, compie atti giuridici per conto del mandante e eventualmente anche in suo nome, al contrario, in ipotesi di mediazione, l’attività da cooperazione giuridica diventa di cooperazione materiale essendo finalizzata ad avvicinare le posizioni di due o più parti, appianandone le divergenze allo scopo di concludere un affare[15].
Copiosa giurisprudenza riconosce la figura della mediazione c.d. atipica, fondata su un contratto che può essere stipulato con entrambe o anche solo una delle parti interessate all’affare. Com’è ovvio, è l’istituto della mediazione atipica unilaterale quello che desta maggiori perplessità riguardo la sua sussumibilità nello schema astratto degli artt. 1754 ss. c.c., arrivando addirittura a configurare, secondo alcuni, un vero e proprio contratto di mandato[16].
Invero, la riconducibilità all’una o all’altra disciplina ha conseguenze non irrilevanti, prima tra tutte, se si qualificasse la mediazione atipica come mandato, la corresponsione della provvigione sarebbe dovuta unicamente dalla parte che ha conferito l’incarico e non anche, come vorrebbe la disposizione applicabile alla mediazione, da entrambi i soggetti che hanno beneficiato dell’attività. Nella prassi, infatti, può ben accadere che il mediatore, oltre all’attività di stretta mediazione, compia anche uno o più atti giuridici per conto di una delle parti[17].
Sul tema, la sentenza in epigrafe si è chiaramente espressa, anche sulla scorta di una recente sentenza di Cassazione, statuendo che “la preventiva stipula di un contratto di mandato non è circostanza di per sé ostativa all’applicazione della disciplina della mediazione” [18]. Nello stesso Codice civile, non a caso, si definisce non la mediazione ma il mediatore, prescindendo, quindi, dalla formazione del contratto e insistendo più sui presupposti “sostanziali” in presenza dei quali sorge il rapporto mediatorio[19]. Quindi, “è lo stesso codice che legittima le due modalità alternative di formazione del rapporto mediatizio. Una, consensuale, nel senso più stretto e tradizionale del termine, l’altra, più incentrata sulla fattualità dei comportamenti concludenti”[20]. Inoltre, vi è un orientamento dottrinale che sostiene che entrambi i modi di formazione della mediazione integrino “due diversi percorsi formativi di un contratto: in un caso, certamente si arriva al rapporto negoziale attraverso dei comportamenti fattuali, […] nell’altro caso, invece, l’incarico al mediatore aggiunge un’ulteriore espressione di volontà di una delle parti, che invece di valersi in modo concludente dell’apporto dell’agente, ne stimola l’intervento e l’attivazione per agevolare la conclusione dell’affare”[21]. Infatti, la configurazione in ogni caso contrattuale della mediazione comporterebbe, non solo, che anche alla mediazione atipica possa applicarsi la disciplina degli artt. 1754 ss. c.c., ma anche il fatto che, in caso di violazione degli obblighi gravanti in capo al mediatore, la sua eventuale responsabilità verrebbe sempre ricondotta a quella contrattuale. In sostanza, tale impostazione farebbe ricondurre, in tutti i casi di formazione della mediazione, ad una reductio ad unum.
4. La posizione del Tribunale nell’annotata sentenza
Nel caso di specie la questione principale è basata proprio sulla diversa interpretazione dello stesso ufficio: l’attore sostiene che la sottoscrizione della sua proposta irrevocabile d’acquisto configuri un mandato ad acquistare; al contrario, l’agente immobiliare, che aveva ricevuto l’incarico da entrambe le parti, riconduce la sua attività a quella del mero intermediario. Nella realtà, la convenuta non ha rivestito né il ruolo di mandatario, né quello di mediatore. La stessa, infatti, non ha tutelato né gli interessi dell’attore, né quelli del proprietario dell’immobile; ciò risulta dal fatto che la proposta d’acquisto formulata dall’attore non è mai stata comunicata al proprietario e l’immobile in questione è stato venduto a una Società (i cui unici due soci erano oltretutto parenti della stessa convenuta) a un prezzo inferiore rispetto quello offerto dall’attore.
Se non ci sono elementi in fatto utili all’interprete, in che modo il Giudice ha qualificato l’attività (non) svolta dalla convenuta? L’attività sarebbe riconducibile alla figura della mediazione atipica bilaterale. Non è configurabile un mandato ad acquistare in quanto, a parere del Tribunale, “la proposta irrevocabile costituisce atto unilaterale”.
L’elemento decisivo che, secondo il Giudice, distinguerebbe mandato e mediazione sarebbe la riconoscibilità esterna della posizione terza. Infatti, la disciplina della mediazione trova, in ogni caso, applicazione “quando il professionista abbia relazionato tra loro le parti e abbia contribuito al raggiungimento dell’accordo, e quando la sua attività mediatoria sia conoscibile come tale da entrambe le parti. In altri termini, è necessario che abbia rilevanza esterna”[22]. In sostanza, affinché vi sia mediazione (e non mandato), il Giudice ritiene necessario l’elemento della conoscibilità dell’opera d’intermediazione da parte degli intermediati, anche se non va a definirla nel dettaglio. Riguardo a tale profilo, abbiamo già detto che l’argomento più vivace su cui si scontrano contrattualisti e acontrattualisti riguarda proprio la consapevolezza, da parte dell’interessato all’affare, dell’intervento del mediatore nella sua veste di intermediario[23]. Tale sentenza, però, sembra aderire a quell’altro orientamento minoritario e ‘intermedio’ che, allo stesso tempo, esclude la negozialità della mediazione ma ritiene necessario il requisito dell’obiettiva riconoscibilità dell’intervento mediatorio[24], costituendo, dunque, una novità nell’attuale panorama giurisprudenziale.
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Note
[1] In tal senso si sono espressi, tra gli altri, Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, V, Milano, 1958, 73 ss.; Stolfi, La mediazione, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Libro IV delle obbligazioni (Art. 1754 – 1812), Bologna-Roma, 1960, 18; Di Chio, La mediazione, in Trattato di dir. comm. e di dir. pubblico dell’economia, diretto da Galgano, XVI, Contratti commerciali, a cura di Cottino, Padova, 1991, 525; Marini, La mediazione, in Il codice civile. Commentario a cura di Schlesinger, Milano, 1992, 7 ss.; Baldassarri, La mediazione, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, III, Torino, 1995, 2100;; Troisi, La mediazione, Milano,  1995, 10; Giacobbe, La mediazione, in P. Sirena, (a cura di), I contratti di collaborazione, in Rescigno e Gabrielli (diretto da), Trattato dei contratti, Torino, 2011, 517 ss.
[2] Come precisato della giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass., 17 gennaio 1992, n. 530, in Arch. civ., 1992, 795; Cass., 16 aprile 1994, n. 3472, in Foro it., 1994, I, 1722, con nota di Caringella; Trib. Venezia, 4 giugno 1997, in Foro it., 1997, I, 2669; Cass., 25 maggio 2001, n. 7126, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 893. Vedi anche Trib. Cagliari, 26 luglio 1988, in Riv. giur. sarda, 1989, 701 con nota di Murino.
Sul fatto che l’attività del mediatore derivi dall’incontro di volontà dei soggetti interessati, Cass., 6 ottobre 1981, n. 5240, ivi, 1982, I, 1, 343; Cass., 13 dicembre 1982, n. 186, in Giur. it., 1983, I, 1, 820; Cass., 22 maggio 2001, n. 6963, in Danno e resp., 2001, 801 con nota di Carbone; Cass.,19 agosto 2003, n. 12106, in Rep. Giur. it., 2003, voce Mediazione, n. 48.
[3] Sostiene la rilevanza della collocazione sistematica: Di Chio, voce Mediazione e mediatore, in Digesto, disc. priv., sez. comm., IX, Torino, 1993, 374.
[4] Carta, Mediazione di contratto e non contratto di mediazione, in Foro it., 1947, I, 296; Carraro, La mediazione, Padova, 1960; Id., voce Mediazione e mediatore, in Noviss. Dig. it., Torino, 1964, 476; Minasi, voce Mediazione, b) Diritto privato, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1976; Catricalà, La mediazione, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, Obbligazioni e contratti, IV, 12, Torino, 1985, 401; Cautadella, voce Mediazione, cit.; Danovi, Mediazione, mandato e attività professionale forense, in Giust. civ., 1988, I, 224; Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm. al Codice civile, Libro IV, Tomo III, Torino, 1991, 655. In giurisprudenza, sostengono la natura non negoziale: Cass., 29 maggio 1980, n. 3531, in Giust. civ., 1980, 2154; Cass., 25 ottobre 1991, n. 11384, in Giur. it., 1992, I, 1, 1059, con nota di Baiocco; v. anche Trib. Camerino, 2 aprile 1983, in Giur. it., 1984, I, 2, 95. Per una panoramica sulla giurisprudenza: Ingino, Rassegna di giurisprudenza sulla mediazione, in Quadrimestre, 1987, 492.
[5] Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm., 1978, I, 361 il quale precisa che “non si vuole escludere la possibilità che un accordo venga posto in essere, anche implicitamente, tra le parti dell’affare e il mediatore quanto, piuttosto, sostenere ch’esso può benissimo mancare” (p. 369).
[6] Ferri, Manuale di diritto commerciale (a cura di Angelici e Ferri), Torino, 2001, 106.
[7] Vedi Cass., 28 luglio 1983, n. 5212, in Mass. Giur. it., 1983; Cass., 14 dicembre, 1988, n. 6813, ivi, 1988; Cass., 6 giugno 1989, n. 2750, ivi, 1989; Cass., 14 aprile 1994, n. 3472, ivi, 1994.
[8] Cfr. Luminoso, La mediazione, cit., 31. La giurisprudenza favorevole alla tesi acontrattuale ha osservato che la mediazione scaturisce dalla semplice opera del mediatore: così Cass., 25 ottobre 1991, n. 11384, in Mass. Giur. it., 1991.
[9] Si veda in merito Luminoso, La mediazione, cit., 55; Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, cit., 668; Azzolina, La mediazione, in Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, VIII, 2, Torino, 1955, 39; Manca, Della mediazione, in AA.VV., Commentario al codice civile, a cura di D’Amelio-Finzi, II, Firenze, 1947, 539. Cfr. in giurisprudenza, Cass., 29 maggio 1980, n. 3531, in Giust. civ., 1980, I, 2154; Cass., 17 novembre 1994, n. 9743, in Giust. civ. Mass., 1994, 11; Cass., 14 aprile 2005, n. 7759, in Giust. civ., 2006, I, 920.
[10] Luminoso, La mediazione, cit., 45.
[11] Ex multis, Cass. S.U., 2 agosto 2017, n. 19161, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass., 27 ottobre 2016, n. 21758, in Giust. civ. Mass., 2016; Cass., 9 giugno 2014, n. 12961; in Guida al dir., 2014, 36, 74; Cass., 8 luglio 2010, n. 16147, in Foro it., 2011, 12, I, 3356; Trib. Roma, 26 giugno 2012, n. 13090, in Dir. e giust., 2012; Trib. Rovigo, 10 maggio 2007, n. 56, in Il merito, 2007, 11, 34; Cass., 5 settembre 2006, n. 19066, in Arch. Loc., 2007, 1, 40; Cass., 16 dicembre 2005, n. 27729, in Giust. civ., 2006, 6, I, 1194; Cass., 1 giugno 2000, n. 7273, in Giust. civ., 2001, I, 784.
[12] In particolare, la Cassazione a Sezioni Unite, in una recentissima sentenza, si è occupata della mediazione negoziale atipica che sussisterebbe “allorquando, volendo concludere un singolo affare, una parte incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla relativa conclusione dell’affare, a determinate, prestabilite condizioni, e rientrante, proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, nell’ambito di applicabilità dell’art. 2 comma 4, della l. n. 39 del 1989, disciplinante anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell’affare siano immobili o aziende” (Cass. S.U., 2 agosto 2017, n. 19161, cit.).
[13] L’obbligazione del mandatario integra, infatti, un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Cfr. Guerinoni, Mediazione: differenze dal mandato e diritto alla provvigione, in Dir. e prat. soc., 2001, 7, 72; Battelli, Sulla differenza tra mandato e mediazione, in Contr., 2005, 780; Luminoso, La mediazione, cit., 159. In giurisprudenza cfr. Cass., 7 aprile 2005, n. 7251, in Giust. civ., 1993, 1079; Cass., 30 settembre 2008, n. 24333, in Giust. civ., Mass., 2008, 9, 1408; Cass., 7 aprile 2005, n. 7251, in Giust. civ., Mass., 2005, IV; Cass., 18 febbraio 1998, n. 1719, in Contr., 1998, 489.
Ancora, sulla libertà di agire del mediatore a fronte dell’obbligo giuridico del mandatario: Pugliese, Questioni in tema di mediazione, in Foro it., 1936, I, 98; Danovi, Mediazione, mandato e attività professionale forense, in Giust. civ., 1988, I, 225; Addamo, Il mediatore professionale, Milano, 1993, 14; Iannelli, La mediazione, in G. Giordano, D. Iannelli, G. Santoro, Il contratto di agenzia. La mediazione, II, Torino, 1993, 623 ss.; De Fabiani, Mediazione su incarico di una parte: in particolare il problema del recesso, in Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di De Nova, Milano, 1994, 747; Di Chio, La mediazione, cit., 610; Stolfi, Mediazione, cit., 8.
[14] In argomento cfr. ex multis: Cass., 21 luglio 2004, n. 13590, in Contr., 2005, 569 con nota di Giammarino; Cass., 21 luglio 2004, n. 13590, in Contr., 2005, 569. In dottrina, cfr. Varelli, La mediazione, Napoli, 1953, 77; Visalli, La mediazione, Padova, 1992, 265; De Giorgi, Mediazione: diritto alla provvigione e conferimento dell’incarico a tempo, in Corr. giur., 2009, 1504; Maccarrone, Due contratti a confronto: mandato e mediazione, in Contratti, 2009, 701; Marini, La mediazione, cit., 47.
[15] Cfr. Giacobbe, Sulla differenza tra mandato e mediazione dubbi in merito ad un orientamento consolidato, in Corr. giur., 1999, 213; Guerinoni, Mediazione: differenze dal mandato e diritto alla provvigione., cit., 72; Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 56. In giurisprudenza ribadiscono le suddette distinzioni, ex multis, Cass., 18 febbraio 1998, n. 1719, in Corr. giur., 1998, 366; Cass., 1 giugno 2000, n. 7273, cit.; Cass., 7 aprile 2005, n. 7251, cit.; Cass., 30 settembre 2008, n. 24333, cit.
[16] Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Contr., 2009, 1085 ss., con nota di F. Toschi Vespasiani; in Giur. it., 2010, I, 61, con nota di Bazzo.
[17] In tal senso, Luminoso, La mediazione, cit., 186; Perfetti, La mediazione, cit., 83; Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 394.
Tali incarichi ulteriori rimangono entro il perimetro della disciplina codicistica della mediazione ove l’intermediario rappresenti uno degli interessati negli atti relativi all’esecuzione del contratto concluso con il suo intervento, come prescrive l’art. 1761 c.c., oppure esulano dai confini dello schema tipico qualora l’agente immobiliare sia incaricato di redigere proposte di acquisto o di vendita, oppure di concludere un contratto di vendita, cumulando dunque il ruolo di mediatore e quello di mandatario. In tal caso, l’attività di intermediazione immobiliare configura, dunque, un vero e proprio contratto di mandato connesso a quello di mediazione, il quale risulterà assoggettato alla disciplina di cui agli artt. 1703 ss. c.c.
[18] Richiama la Cass., 6 dicembre 2016, n. 24950, che corrobora questa tesi, statuendo che “l’incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d’iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l’attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell’affare”.
[19] I presupposti sostanziali sarebbero l’intervento agevolatore del mediatore (accettato, anche tacitamente dalle parti), la conclusione dell’affare e il nesso causale tra questi due elementi: Toschi Vespasiani, Mediazione tipica e atipica e contratto di mandato, cit., 1093.
[20] Toschi Vespasiani, Mediazione tipica e atipica e contrato di mandato, in Contr. 2009, 1098.
[21] Toschi Vespasiani, Mediazione tipica e atipica e contrato di mandato, cit., 1098.
[22] Il Tribunale di Grosseto cita la Cass., 6 dicembre 2016, n. 24950, che emana il principio suddetto.
[23] Luminoso, La mediazione, cit., 35.
[24] Cfr. Pret. Roma, 22 dicembre 1973, in Foro it., 1974, I, 1862; Visalli, Natura giuridica della mediazione, in Foro it., 1961, I, 1216 ss.; Id., La mediazione, cit., 172 ss.

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