Responsabilità professionale dell’avvocato, il punto dalla Cassazione
La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 13777 del 31 maggio 2018, respingendo il ricorso incidentale di un avvocato, ne ha confermato la sua quota di responsabilità in una vicenda giudiziaria ove quest’ultimo difendeva un Istituto bancario in una procedura di fallimento. Il curatore fallimentare aveva postergato per errore il credito della banca, sicché a chiusura della procedura concorsuale, l’istituto di credito aveva perduto la sua garanzia reale.
La Corte d’appello aveva attribuito una parte di responsabilità, in ordine all’accaduto, in capo al curatore fallimentare per aver redatto un piano di riparto erroneo; l’altra parte, invece, in capo all’avvocato per non aver formulato osservazioni e per non aver fatto rilevare in altro modo il suddetto errore.
L’avvocato, dunque condannato in solido con il curatore, impugnava la pronuncia di secondo grado, nella parte in cui si ravvisava a suo carico una condotta colposa. Sosteneva, in sintesi, che presentare osservazioni al piano di riparto del curatore sarebbe stata solo una sua facoltà; per cui il mancato esercizio non poteva costituire condotta negligente tale da radicare, ex art. 1176 comma 2 c.c., una pronuncia di condanna.
L’avvocato deve conoscere i provvedimenti che riguardano il cliente
Censura tuttavia respinta dalla Corte di Cassazione secondo cui il professionista legale ha l’obbligo di tutelare gli interessi del cliente e da tale obbligo discende, ex art. 1374 c.c., quello di prendere conoscenza dei provvedimenti giurisdizionali che lo riguardano. Orbene, dal tenore della sentenza impugnata – precisano gli Ermellini – emerge che la Corte di merito addebitò all’avvocato non tanto il fatto di non essersi avvalso di una facoltà, ma quello di non aver rilevato un errore, bel rilevabile con l’uso dell’ordinaria diligenza da lui esigibile, e non averlo segnalato agli organi competenti ad emendarlo.
Professionista “medio”, equivale a professionista “bravo”
Una decisione dunque coerente con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale devia dal precetto ex art. 1176, comma 2 c.c. il professionista che tenga una condotta diversa da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto il c.d. homo eiusdem generis ed condicionis, vale a dire il professionista medio. Con l’avvertenza che la locuzione “professionista medio” non corrisponde ad un professionista “mediocre”, ma “bravo”, ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte.
Ma l’avvocato ricorrente censurava la sentenza d’appello anche nella parte in cui veniva escluso che alla produzione del danno avesse concorso anche la condotta colposa della società sua cliente, per aver rifiutato di conferirgli mandato per impugnare il provvedimento di chiusura del fallimento.
Non concorre al danno, il cliente che omette un’azione onerosa ed incerta
Anche questa censura è stata ritenuta infondata dalla Corte Suprema, sull’assunto per cui la condotta tenuta dal danneggiato, per poter ritenersi concausa del danno ex art. 1227 c.c., deve essere una condotta colposa. E non può ritenersi tale qualora egli abbia omesso di compiere un’attività che, al momento in cui venne omessa, era onerosa e presentava comunque un esito incerto. Per contro, sempre secondo costante giurisprudenza “in relazione alla responsabilità professionale dell’avvocato verso il cliente, non rientra tra i doveri di correttezza di quest’ultimo, ex art. 1227 c.c., quello di intraprendere un’azione giudiziaria aggiuntiva con accollo di costi e relativi rischi”. Ora nel caso di specie – rileva ancora la Corte – intraprendere un’impugnazione avverso un provvedimento giurisdizionale, soprattutto in un’epoca in cui con estrema probabilità sarebbe stata dichiarata inammissibile perché tardiva, avrebbe senza dubbio costituito un’attività onerosa, comportando un esborso di denaro con esito incerto; sicché non è rinvenibile alcuna colpa in capo alla società cliente.
Scelte difensive sollecitate dal cliente, non escludono la responsabilità dell’avvocato
Con specifico riferimento alla responsabilità professionale dell’avvocato, la Cassazione ha in ogni caso ribadito che “essa non è esclusa né ridotta quando le scelte difensive siano state sollecitate dal cliente stesso, perché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nello svolgimento dell’attività professionale”.
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