Responsabilità oggettiva struttura sanitaria per attività compiuta dal medico
Commento a sent. del 13 giugno – 22 settembre 2017 n. 22058, Corte di Cassazione, III Sezione Civile
La sentenza in commento affronta il tema della responsabilità oggettiva, ex art. 2049 c.c., della struttura sanitaria per la violenza carnale commessa dal medico in servizio presso la stessa, affermando la sussistenza dell’obbligo risarcitorio per i danni patiti dalla vittima anche in capo al datore di lavoro.
La fattispecie portata alla cognizione della Suprema Corte riguardava una signora, che aveva subito atti a sfondo sessuale da parte di un medico.
A seguito della condanna in sede penale, la vittima aveva chiesto il risarcimento del danno tanto al professionista, che all’Azienda sanitaria presso la quale quest’ultimo prestava la propria attività lavorativa. La domanda veniva accolta tanto in primo, quanto in secondo grado, ma l’ASL proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice del gravame, ritenendo non applicabile al caso di specie il dettato dell’art. 2049 c.c., in quanto la violenza sessuale è espressione di un fine strettamente personale ed egoistico, di cui la struttura sanitaria non è in alcun modo beneficiaria.
I Giudici di legittimità, nell’iter motivazionale della sentenza in commento, richiamano propri precedenti arresti, nei quali si ha agio di leggere come, per l’applicabilità dell’art. 2049 c.c., non sia necessario l’accertamento di un nesso causale tra l’opera dell’ausiliario ed obbligo del dipendente, né la sussistenza di un rapporto di subordinazione tra autore dell’illecito ed il datore di lavoro, nemmeno il collegamento tra illecito e mansioni svolte dal dipendente. Invero, è sufficiente il rapporto di c.d. “occasionalità necessaria”, cioè è bastevole che l’incombenza propria della mansione esperita dal dipendente sia tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito o l’evento dannoso, quantunque il soggetto agente abbia operato esulando dalle proprie mansioni.
Il giudizio penale aveva consentito di appurare come l’episodio della violenza sessuale si fosse verificato allorquando il medico svolgeva il lavoro di anestesista, tanto che lo stesso aveva a disposizione sia le sale operatorie, che tutti i farmaci e gli strumenti necessari per l’attività all’interno della struttura. Ergo, nonostante l’episodio di violenza non sia correlative alle mansioni del sanitario, la funzione svolta dal medico all’interno dell’ospedale ha operato quale condicio sine qua non per l’accaduto; pertanto, la Suprema Corte ha affermato la responsabilità (oggettiva) della struttura sanitaria.
A corroborare la correttezza del decisum esaminato si pone poi la circostanza per cui il sanitario non fosse nuovo ad episodi di violenza di tal guisa, tutti perpetrati all’interno della struttura e collegati all’interno della struttura sanitaria. Indi, quest’ultima avrebbe dovuto prendere dei provvedimenti atti a prevenire che gli accadimenti di violenza posti in essere dal medico cessassero.
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