Responsabilità medica: attività extraprocessuale e preliminare all’azione giudiziale

Chiunque creda di essere stato danneggiato a causa di un errore sanitario, allo scopo di ottenere il risarcimento del danno dovrà intraprendere una causa per l’accertamento della responsabilità medica.
Tuttavia, prima di procedere con l’azione giudiziaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria o della struttura sanitaria (pubblica o privata) che risponde delle condotte colpose o dolose dei medici di cui si avvale, è bene che svolga alcune attività preliminari ai fini di una buona impostazione o del buon esito del processo (ovvero per capire se fosse più saggio rinunciare alla introduzione dell’azione stessa) e che tenga già inizialmente presente che, a seguito della Legge n. 24 dell’8 Marzo 2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco) il primo potrà rispondere per responsabilità di natura extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.), salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, mentre la seconda per responsabilità contrattuale (ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.) (si vedano i commi 1 e 3, dell’art. 7, L. n. 24/2017) con tutto quanto quello che la differenza comporta, anche e soprattutto sul piano probatorio.
Consulenza di parte
Il primo passo da compiere è rappresentato dalla consulenza di parte. Preliminarmente, dunque, il paziente che ritenga che il peggioramento delle proprie condizioni di salute sia conseguenza immediata e diretta di un errore medico dovrà, innanzitutto, raccogliere tutta la documentazione medica in suo possesso, o richiederne copia alla struttura (rectius alla direzione sanitaria di essa), e relativa al percorso diagnostico-prognostico-terapeutico seguito e poi sottoporre la questione ad un medico legale con competenze specialistiche nel campo della medicina in cui il futuro (ed eventuale) attore si ritenga danneggiato, con l’assistenza di un legale. Il parere – redatto in una relazione – del medico legale è necessario, trattandosi di questioni estremamente tecniche, per meglio comprendere se i dubbi del paziente possano considerarsi fondati o meno.
In merito alla figura del consulente, anche il Codice Deontologico dei Medici, all’art. 64, ammonisce che “nell’espletamento dei compiti e delle funzioni di natura medico legale, il medico deve essere consapevole delle gravi implicazioni penali, civili, amministrative e assicurative che tali compiti e funzioni possono comportare e deve procedere, sul piano tecnico, in modo da soddisfare le esigenze giuridiche attinenti al caso in esame nel rispetto della verità scientifica, dei diritti della persona e delle norme del presente Codice di Deontologia Medica”. Si sottolinei poi, infatti, che anche sull’operato del consulente di parte grava una obbligazione di condotta che implica l’opportunità di prestare la propria opera di natura intellettuale, non già per raggiungere il risultato sperato o comunque inteso dal committente, ma per cercare comunque la verità, sia pur partendo da punti di vista o posizioni ovviamente diversificate rispetto a quelle del Consulente Tecnico d’Ufficio o di controparte. Ne scaturisce pertanto la necessità di un atteggiamento obiettivo, indipendente dalla posizione di parte comunque acquisita, che prenda le distanze da atteggiamenti di accanimento “accusatorio” fazioso o ad oltranza nel tentativo di avvallare o giustificare a tutti i costi le richieste, anche solo supposte, della parte committente (qualunque essa sia); ben consci che tali ultimi atteggiamenti possono essere cause di ripercussioni in ambito penale e civile sia dalla stessa parte committente che dalla parte ingiustamente accusata ai sensi degli artt. 185 c.p., 373 c.p., 380 c.p., nonché 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito), con gli ovvi risvolti di cui all’art. 96 c.p.c. ove si possa documentare che tutto il costrutto attoreo sia fondato su di una iniziale consulenza di parte marchiata da gravi errori concettuali o metodologici ovvero fortemente faziosa ai limiti del temerario[1].
Quando dalla perizia – diretta quindi a valutare la reale sussistenza di un errore che giustifichi una causa per responsabilità medica – sarà possibile concludere circa la presenza di uno sbaglio medico, e quindi nella stessa sarà anche certamente stimato il danno, il danneggiato o, per lui, il suo legale potrà inviare una richiesta (diffida) di risarcimento del danno all’Ente sanitario ovvero al professionista i quali, una volta ricevuta la richiesta, apriranno il sinistro presso la compagnia assicuratrice che li copre per la responsabilità civile verso i terzi. Si ricordi qui l’obbligo di assicurazione in capo ad entrambi i soggetti (nonché quello di pubblicazione in capo al primo) di cui all’art. 10 L. 24/2017. Non si trascuri inoltre la previsione contenuta nell’art. 12 della stessa Legge secondo cui la richiesta può essere rivolta dal danneggiato direttamente alla compagnia assicurativa (c.d. azione diretta).
Accordo stragiudiziale
Il danneggiato, quindi, seguirà la pratica di liquidazione che normalmente prevede una visita medico-legale di riscontro presso un professionista incaricato dalla compagnia. Se la visita di riscontro conferma la presenza di un errore medico, le parti potranno tentare di chiudere la vertenza attraverso un accordo sull’entità del risarcimento.
Se invece tale visita escluderà la presenza di un errore, molto probabilmente la compagnia assicuratrice non si renderà disponibile per una offerta risarcitoria. Non è assolutamente da escludere, infatti, che la questione giunga a una risoluzione bonaria, con il raggiungimento di un accordo stragiudiziale tra le parti.
Circa i passaggi successivi dell’iter (condizioni di procedibilità e processuale), anche in caso di mancato accordo tra le parti in questa fase, si rinvia a quanto già approfondito anche da questo stesso Autore.
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[1] F. Introna e A. De Donno, La responsabilità del perito/CTU nei procedimenti per colpa medica, p. 5.
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