Quando è ammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena
(Ricorsi dichiarati inammissibili)
Il fatto
La Corte di Appello di Caltanissetta, in esito a giudizio abbreviato, confermava una sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Caltanissetta che aveva condannato i ricorrenti alla pena di giustizia (in continuazione con altri reati precedentemente giudicati) ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione ai reati di estorsione loro rispettivamente ascritti, aggravati anche dall’aver agito con metodo mafioso ed al fine di agevolare le associazioni mafiose di appartenenza, chiedendo e ottenendo dalle vittime somme di danaro a titolo di pizzo con riguardo alla loro attività imprenditoriale.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorrevano per cassazione gli imputati, con distinti atti.
In particolare, uno di questi deduceva violazione di legge in ordine alla ritenuta responsabilità atteso che, secondo il ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe valorizzato le incongruenze esistenti tra il racconto di un collaboratore di giustizia e quello della vittima del reato, a proposito della dazione di somme di danaro al ricorrente, circostanza che, contrariamente a quanto riferito dal collaborante, la vittima avrebbe escluso rilevandosi al contempo, da un lato, che, a suo avviso, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sarebbero rimaste prive dei necessari riscontri esterni, dovendosi escludere che la persona offesa non avesse riferito della dazione del danaro per timore nei confronti dell’imputato o per un cattivo ricordo, dall’altro, che, a tutto concedere, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come tentativo di estorsione.
Ciò posto, dal canto suo, l’altro imputato deduceva: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità posto che, a suo dire, la Corte di Appello non avrebbe fornito idonea motivazione in ordine al ruolo rivestito dal ricorrente nella vicenda estorsiva ai danni della vittima, né il collaboratore di giustizia avrebbe chiamato in correità il ricorrente e le dichiarazioni della vittima sarebbero rimaste prive di riscontro, così come la circostanza dell’avvenuto pagamento di una somma di danaro all’imputato, negata dal figlio della persona offesa; oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che la presunta minaccia non avrebbe avuto carattere intimidatorio nei confronti della vittima e comunque la condotta punita si sarebbe arrestata al livello del tentativo; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91 non essendovi stata alcuna estrinsecazione del metodo mafioso da parte del ricorrente il quale non apparteneva ad alcuna organizzazione malavitosa; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
I ricorsi erano reputati manifestamente infondati e generici per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal proposito, quanto alla prima doglianza del primo ricorso succitato, che la motivazione era priva di vizi logico-giuridici rilevabili in sede di legittimità ordinaria ed il ricorso faceva riferimento ad elementi di confutazione che rimanevano relegati al merito del giudizio rilevandosi al contempo che quanto appena enunciato, per la Suprema Corte, assorbiva ogni altra argomentazione difensiva.
Per quanto concerne l’altro ricorso, il primo motivo veniva ritenuto generico mentre il secondo motivo veniva stimato manifestatamente infondato.
Ciò posto, venendo ad esaminare il trattamento sanzionatorio, si rammentava che la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa in questa pronuncia, ritiene che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013; Sez. 3 n. 1182 del 17/10/2007).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa, citandosi una giurisprudenza consolidata, dopo essersi fatto presente che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., si afferma che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione.
Da ciò consegue, argomentando a contrario, che è invece consentita la censura, formulata nel ricorso per Cassazione, che miri ad una nuova riconsiderazione della congruità della pena nella misura in cui si contesti che la sua quantificazione sia avvenuta per mero arbitrio o di ragionamento illogico e non sia munita di una sufficiente motivazione.
Ove tali condizioni non si dovessero verificare, è quindi sconsigliabile dolersi di una pena incongrua in quanto una doglianza di questo genere verrebbe, con tutta probabilità, considerata inammissibile.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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