Niente compenso all’amministratore in prorogatio se c’è volontà contraria dell’assemblea
Il permanere dei poteri gestori in capo all’amministratore congedatosi per dimissioni ovvero per scadenza del termine annuale di cui all’art. 1129 Cc, risponde ad esigenze di interesse del condominio alla consequenzialità nella gestione dell’immobile e nella presunzione di una conforme volontà dei condomini.
Tuttavia, quando la volontà degli stessi risulti contraria alla permanenza di tali poteri in favore dell’amministratore uscente, questi non avrà diritto ad alcun compenso.
Questi i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12120, pubblicata in data 17 Maggio 2018.
Fatto
A seguito di decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dall’amministratore uscente del condominio per il pagamento degli onorari di amministratore maturati nel periodo di prorogatio, dalla data di nomina di un nuovo amministratore fino all’effettiva presa di possesso dello stesso, il condominio in persona del nuovo amministratore proponeva opposizione la quale, tuttavia, veniva rigettata dal Giudice di pace.
Sul gravame proposto dal condominio il Tribunale di Reggio Emilia accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo opposto con condanna dell’ex amministratore a restituire le somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado.
Evidenziava la corte di merito come la volontà assembleare, consacrata nel verbale del 27 Novembre 2009, era quella di nominare un nuovo amministratore e, pertanto, di porre fine al rapporto professionale con il precedente il quale, conseguentemente, non avrebbe avuto diritto ad alcun compenso successivo a tale data.
Propone ricorso per cassazione l’ex amministratore, eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1129, 1130, 1131, 1704 e ss. Cc.
A dire dello stesso, il Tribunale avrebbe errato nel non ritenere l’operatività dell’istituto della prorogatio imperii per l’amministratore uscente fino a quando non fosse subentrato il nuovo.
Decisione della Corte Suprema
La Suprema Corte ritiene il ricorso infondato e, pertanto, lo rigetta.
Nel motivare l’anzidetta decisione la Corte di Cassazione ricorda come <<la perpetuatio di poteri in capo all’amministratore uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all’interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, (come nel caso in esame) una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore, cessato dall’incarico.>>.
Una tale volontà contraria, continua la Corte, emerge dal verbale assembleare del 27.11.2009, laddove viene deliberata all’unanimità la nomina di un nuovo amministratore, con autorizzazione al precedente a prelevare, dal conto corrente condominiale, la somma a saldo delle sue competenze.
Che poi lo stesso, sia tenuto a compiere tutte quelle attività necessarie fino al passaggio di consegne <<è nell’ordine delle cose>>, in considerazione del fatto che appare normale che <<l’amministratore uscente predisponga tutto il necessario per favorire il subingresso del nuovo amministratore.>>.
Per completezza si rileva che con la riforma dell’art. 1129 Cc, il legislatore ha ora previsto, al comma 8, che alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto a consegnare tutta la documentazione afferente al condominio e ai singoli condòmini, nonché ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza, tuttavia, diritto ad ulteriori compensi.
Orbene, dal novellato art. 1129 Cc emerge come, contrariamente a quanto accadeva nel periodo ante riforma, non può più ritenersi che l’amministratore cessato dalla carica possa continuare, in prorogatio, nella gestione ordinaria dell’immobile, dovendo limitare la propria attività a quella strettamente necessaria ad evitare pregiudizi allo stesso e, conseguentemente, a porre in essere solo quelle attività indispensabili (<<urgenti>>) atte a salvaguardare i beni comuni e il diritto alla salute di condòmini e terzi.
In altre termini, i compiti dell’amministratore cessato dalla carica e, pertanto, in regime di prorogatio, debbono ora limitarsi a quelli che, secondo il criterio del “buon padre di famiglia”, appaiono indifferibili, e tanto allo scopo di evitare il possibile, anche se non certo, nocumento (Cfr.: Cass. n. 13418/2014; Cass. n. 4330/2012).
Ecco che allora ogni altro compito risulterebbe quindi precluso all’amministratore in prorogatio, fatto salvo il generalizzato potere dell’assemblea di ratificare comunque l’operato dello stesso quand’anche esorbitasse dagli anzidetti limiti, sotto pena, in mancanza, di invalidità delle determinazioni gestorie medio tempore adottate dall’amministratore.
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