Nel caso in cui l’imputato rilasci al difensore procura speciale per procedere al patteggíamento, deve ritenersi che egli implicitamente acconsente che l’udienza (camerale o pubblica) si svolga in sua assenza?

(Ricorso dichiarato inammissibile)
Il fatto
Il GIP del Tribunale dì Sondrio, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava all’imputato la pena dì anni due, mesi tre e giorni sedici di reclusione ed euro 601 di multa ed euro 500 dì ammenda in relazione ai reati di concorso in plurimi episodi di furto in abitazione aggravato, consumato e tentato; porto illegale d’arma da sparo (una pistola beretta sottratta dall’abitazione oggetto del furto consumato) e porto ingiustificato di strumenti da taglio.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato adducendo un unico motivo con cui con cui si eccepiva la violazione dell’art. 420-ter cod. proc. pen. poiché il ricorrente, agli arresti domiciliari nel procedimento in esame, il giorno dell’emissione della sentenza impugnata, si trovava detenuto per altra causa in carcere e non era stato tradotto in udienza, pur non avendo rinunciato a comparire.
 
La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
 
Il Sostituto Procuratore Generale chiedeva con requisitoria scritta l’inammissibilità del ricorso rappresentando che, nel caso in cui l’imputato rilasci al difensore procura speciale per procedere al patteggiamento, come era avvenuto nella specie, deve ritenersi che egli implicitamente acconsenta a che l’udienza (camera o pubblica) si svolga in sua assenza (si cita Sez. 6, n. 22312 del 24/4/2018).
 
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
 
Il ricorso veniva reputato inammissibile perché manifestamente infondato.
Si osservava a tal proposito come la giurisprudenza della Cassazione abbia già chiarito che, nel caso in cui l’imputato rilasci al difensore procura speciale per procedere al patteggíamento, deve ritenersi che egli implicitamente acconsente che l’udienza (camerale o pubblica) si svolga in sua assenza cosicchè, ove lo stesso sia detenuto e non abbia chiesto espressamente di essere sentito, non deve essere tradotto in udienza né, ove detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, ascoltato dal magistrato di sorveglianza (così Sez. 6, n. 22312 del 24/4/2018, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso con cui l’imputato deduceva la nullità della sentenza pronunciata in sua assenza, nonostante lo stesso fosse detenuto per altra causa; in precedenza, cfr. Sez. 6, ord. n. 2929 del 30/9/1996; Sez. F, n. 2606 del 21/8/1990).
A sostegno di tale enunciato, il Supremo Consesso inoltre osservava che la previsione contenuta all’art. 446, comma 5, cod. proc. pen. conferma la non indispensabilità della presenza dell’imputato all’udienza fissata per la decisione in merito alla richiesta di patteggiamento essendo stato chiarito in sede di legittimità ordinaria che, quando l’applicazione di pena su richiesta delle parti avviene con procedimento in camera di consiglio, a norma degli artt. 447, comma 2, e 127 cod. proc. pen., l’imputato che ha presentato la richiesta tramite il proprio difensore munito di mandato speciale, se è detenuto e non ha avanzato espressa istanza di essere sentito, non deve essere tradotto in camera di consiglio e neppure qualora sia detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice deve essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo (Sez. 2, n. 6610 del 03/12/2013; Sez. 3, n. 19489 del 07/05/2013, Sez. 6, n. 591 del 04/11/1992).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini osservavano come non risultasse esserci stata tale manifestazione di volontà dell’imputato di presenziare all’udienza, né era stato allegato al ricorso l’atto comprovante tale circostanza.
Anzi, rilevavano i giudici di piazza Cavour, dalla verifica diretta svolta da loro stessi, risultava che della condizione di detenzione del ricorrente avesse dato atto direttamente il giudice, al fine di sollecitare eventuali istanze difensive, che, tuttavia, non erano state formulate, essendosi limitato, viceversa, l’avvocato difensore dell’imputato, a rappresentare che questi si trovava agli arresti domiciliari per il processo che si stava celebrando, a voler intendere, quindi, anche in tal modo, la volontà di non essere presente, tanto che, di seguito, era stata presentata richiesta di applicazione pena, cui il pubblico ministero ha prestato consenso in udienza.
Il motivo di ricorso, pertanto, come suesposto poco prima, era ritenuto manifestamente infondato.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi affrontata la questione se, nel caso in cui l’imputato rilasci al difensore procura speciale per procedere al patteggiamento, deve ritenersi che egli implicitamente acconsente che l’udienza (camerale o pubblica) si svolga in sua assenza.
Difatti, in tale pronuncia, si fornisce una risposta positiva in quanto richiamandosi giurisprudenza conforme, si afferma che, nel caso in cui l’imputato rilasci al difensore procura speciale per procedere al patteggiamento, deve ritenersi che egli implicitamente acconsente che l’udienza (camerale o pubblica) si svolga in sua assenza cosicchè, ove lo stesso sia detenuto e non abbia chiesto espressamente di essere sentito, costui non deve essere tradotto in udienza né, ove detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, ascoltato dal magistrato di sorveglianza.
Difatti, sempre come rilevato dalla Cassazione in diverse pronunce, quando l’applicazione di pena su richiesta delle parti avviene con procedimento in camera di consiglio, a norma degli artt. 447, comma 2, e 127 cod. proc. pen., l’imputato che ha presentato la richiesta tramite il proprio difensore munito di mandato speciale, se è detenuto e non ha avanzato espressa istanza di essere sentito, non deve essere tradotto in camera di consiglio e neppure qualora sia detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice deve essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo.
Ove si verifichi una evenienza processuale di questo genere, è sconsigliabile per la difesa, perlomeno alla luce di quanto affermato (e richiamato) in tale provvedimento, dolersi del fatto che il proprio assistito, detenuto, non è stato tradotto in udienza o non è stato sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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