Mancato completamento degli esami diagnostici per volontà del paziente, esclude la responsabilità della struttura sanitaria per l’aggravamento della patologia
Fatto
Una signora fiorentina chiamava in causa la ASL locale per ottenere il risarcimento del danno dalla medesima subito a causa di una non corretta diagnosi effettuata dalla struttura sanitaria dopo l’esecuzione di un esame radiografico. L’attrice sosteneva che, a causa di una caduta a terra dipesa dallo scivolamento su una lastra di ghiaccio presente sul terreno, essa avesse subito un forte trauma nella zona sacrale che l’aveva indotta a recarsi presso l’ospedale convenuto al fine di compiere i necessari accertamenti diagnostici. All’interno della struttura sanitaria veniva, quindi, eseguita la visita sull’attrice e gli esami radiografici della zona colpita nella caduta. All’esito di ciò, l’ospedale dimetteva la paziente diagnosticando una semplice dorsalgia derivante dal trauma contusivo dovuto alla caduta, stabilendo una prognosi di sette giorni e indicando alla paziente stessa di effettuare una nuova radiografia e dei nuovi accertamenti al termine presso l’Inail all’esito del suddetto periodo.
Tuttavia l’attrice non effettuava l’esame al termine del periodo di prognosi indicato dall’ospedale, ma, poiché continuava ad avvertire dolore nella zona sacrale contusa nella caduta, svolgeva un nuovo esame, attraverso delle radiografie, soltanto tre mesi dopo la prima visita presso l’ospedale convenuto, al quale seguivano ulteriori successivi esami. Attraverso tali esami radiodiagnostici effettuati dall’attrice veniva individuata una lesione somatica di D8 e una deformazione del cuneo anteriore.
Appresa la sussistenza delle suddette lesioni, la signora citava quindi in giudizio la ASL presso cui aveva effettuato il primo esame nell’immediatezza della caduta, sostenendo che la mancata individuazione della frattura vertebrale, da parte della ASL, comportasse un inadempimento imputabile dell’azienda sanitaria e che detto inadempimento sarebbe stato la causa delle lesioni subite dalla paziente, in quanto le stesse sarebbero state evitate se la diagnosi effettuata nell’immediatezza della caduta fosse stata corretta. In considerazione del suddetto inadempimento parte attrice richiedeva un risarcimento del danno quantificato in circa euro 17.000.
La ASL convenuta si difendeva chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria, sul presupposto che l’ospedale non avesse commesso alcun errore nella diagnosi compiuta, in quanto nel momento in cui era stata effettuata la prima visita e il primo esame radiografico le lesioni successivamente riportate dalla paziente non sussistevano e non erano rilevabili dalle immagini emerse a seguito di detto esame. La Asl, inoltre, aggiungeva che la stessa parte attrice avesse contribuito con il proprio comportamento alla generazione delle lesioni, nella misura in cui si era sottoposta a nuovi esami radiografici soltanto tre mesi dopo rispetto a quanto indicato nel referto di dimissioni.
Il Tribunale di Firenze, dopo aver fatto svolgere una apposita c.t.u. medico legale, rigettava la domanda di parte attrice ritenendola infondata.
Decisione della Corte
Il Giudice, sulla scorta di quanto accertato dal CTU a seguito dell’esame della documentazione relativa agli esami effettuati dall’attrice, ha ritenuto che la lesione vertebrale lamentata dalla paziente è stata individuata soltanto con la seconda radiografia e che dal primo esame radiografico non si poteva individuare alcuna frattura della vertebra D8 né la deformazione del cuneo lamentate dall’attrice. Tali lesioni, infatti, secondo il c.t.u si potevano individuare soltanto nella immagine relativa alla seconda radiografia effettuata dalla paziente.
Il giudice motiva tale circostanza ritenendo che la mancata visibilità delle lesioni nella prima radiografia sia dipesa dalla lieve entità delle lesioni medesime che sono direttamente derivate dalla caduta. Pertanto, il magistrato fiorentino ha dedotto che la frattura rilevata dalla seconda radiografia, effettuata a tre mesi di distanza, si sia verificata proprio a causa del passare del tempo. Per addivenire ad una tale decisione, il giudice trova nuovamente conforto nell’elaborato peritale del consulente d’ufficio il quale ha accertato che la minima entità della lesione risultante dal primo esame radiografico giustificasse la non individuazione di una frattura e che vi è stato un successivo aggravamento della lesione che ha permesso alla seconda radiografia di poterla individuare.
Il Tribunale di Firenze ha inoltre rigettato anche l’eccezione mossa da parte attrice relativa al fatto che le immagini di cui alla prima radiografia fossero state sviluppate dall’ospedale con delle dimensioni ridotte rispetto alle dimensioni standard e rispetto a quelle di cui alla seconda radiografia e che ciò avrebbe impedito l’accertamento delle lesioni, che, invece, con altri tipi di strumenti diagnostici sarebbero state individuate. Secondo parte attrice, infatti, tale decisione di sviluppare le immagini in formato ridotto, ha fatto sì che la frattura non fosse visibile attraverso la prima radiografia e che quindi si potesse addebitare alla ASL convenuta una responsabilità professionale per la non corretta individuazione degli opportuni strumenti diagnostici.
La suddetta argomentazione esposta da parte attrice è stata anch’essa rigettata facendo leva sul fatto che fosse stato il comportamento della stessa paziente a determinare l’aggravamento delle lesioni. Secondo il Tribunale, infatti, le lesioni non sono addebitabili ad una non corretta individuazione degli strumenti di diagnosi impiegati dall’ospedale, ma dal fatto che l’attrice non ha completato l’iter di valutazione della patologia prescritto dalla struttura sanitaria. In particolare, il giudice ha ritenuto che nonostante il referto consegnato dall’ospedale al momento delle dimissioni della paziente prescrivesse alla stessa l’effettuazione di nuovi esami per valutare lo stato delle lesioni al termine della prognosi di sette giorni, l’attrice non ha compiuto gli esami nel termine prescritto, ma soltanto a circa tre mesi di distanza.
Il giudice ha quindi concluso ritenendo che la struttura sanitaria avesse correttamente e diligentemente eseguito la propria prestazione professionale attraverso la individuazione della diagnosi che era possibile compiere sulla base degli esami dei risultati degli esami effettuati e attraverso la prescrizione di un successivo esame per rivalutare la patologia da effettuare dopo pochi giorni.
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