Malattia professionale, come si chiede il rimborso?
La malattia professionale che si contrae a causa delle condizioni di lavoro e del contatto con specifici materiali dà diritto al riconoscimento del danno biologico e quindi a un risarcimento da parte dell’Inail. Nel caso in cui la malattia sia inclusa nelle specifiche tabelle ministeriali del DPR n. 336/1994, spetta inoltre all’Inail l’onere di fornire una prova contraria. Lo ha confermato pochi giorni fa la sezione lavoro civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20769 del 5 settembre 2017.
Tumore, la causa va dimostrata
Nel caso di specie, un ex lavoratore di un’industria di vernici è ricorso in Cassazione per chiedere il riconoscimento del collegamento tra la sua attività e l’insorgenza di un tumore alla vescica. Pur essendo infatti presente l’uso prolungato di vernici tra le cause possibili di malattia professionale all’interno delle tabelle del DPR n. 336/1994, il tumore rientra tra le malattie “a eziologia multifattoriale” e costituisce quindi un’eccezione alla regola del risarcimento automatico.
Le malattie a eziologia multifattoriale sono, in sostanza, quelle che possono insorgere dal concorso di più fattori. La prova del nesso causale con l’attività lavorativa, per legge, non può quindi consistere nella semplice presenza di causa e malattia all’interno delle tabelle, ma deve essere conseguenza di una concreta e specifica dimostrazione.
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Quando va concesso il risarcimento?
Le motivazioni del lavoratore erano state respinte sia in primo che in secondo grado, a causa del fatto che l’uomo aveva fumato per 40 anni e che una decisiva connessione tra il tumore e l’uso delle vernici a lavoro non era stata provata. Anzi, per la Corte d’Appello “la causa del carcinoma alla vescica è da ritenere l’abitudine al fumo di sigaretta”.
Non così per la Cassazione. Come rilevato dal lavoratore, i tribunali di primo e secondo grado non hanno infatti valutato due fatti particolarmente importanti. Innanzitutto, l’uomo non ha fumato per 40 anni, come riportato in sentenza, ma per 20 anni e in maniera minore di quanto dichiarato ai giudici. Fatto ancora più importante, la Corte d’Appello non ha indagato sulla circostanza che altri due dipendenti della ditta hanno sviluppato negli anni dei tumori. Dunque, sentenza cassata e rinvio della causa alla Corte d’Appello.
Il risarcimento delle malattie in tabella
Nei casi più semplici di malattie che presentano una sola origine certa, come accennato, il lavoratore ha diritto automaticamente al riconoscimento dell’indennizzo da malattia professionale se patologia e causa sono entrambi presenti nelle tabelle del DPR n. 336/1994. Si applica in questo caso la “presunzione di eziologia professionale” della malattia sofferta. È l’Inail, in questo caso, che deve provare che al contrario esiste un diverso fattore patogeno e che quindi una causa extralavorativa ha influito pesantemente sulla patologia in questione.
Le malattie non tabellate
Si parla invece di “malattie non tabellate” per quelle patologie che non sono inserite nelle tabelle ministeriali, ma che potrebbero comunque teoricamente essere state causate dall’attività lavorativa prolungata. Il riconoscimento del danno biologico (e quindi dell’indennizzo) segue in questo caso un percorso molto diverso. A differenza che per la malattie presenti nelle tabelle, infatti, è il lavoratore che deve provare lo specifico nesso causale tra lavoro svolto e patologia, esclusivamente a suo carico.
Dunque, nelle cause relative al risarcimento per malattia professionale, il giudice deve in primo luogo stabilire se si tratta di una patologia –e di una possibile causa– inserita nelle tabelle a norma di legge. Una volta appurato questo, il processo proseguirà in due modi molto diversi.
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