Locazioni abitative: il conduttore moroso

L’inadempimento del conduttore
La disciplina delle locazioni merita un approfondimento con riferimento all’ipotesi dell’inadempimento del conduttore che si renda moroso nel pagamento del canone.
Sussistono ancora, nell’attuale contesto sociale ed economico, i presupposti che possano giustificare un differenziazione della tutela, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto quello processuale, a seconda che si verta in materia di contratto ad uso abitativo ovvero in materia di contratto ad uso diverso?
La disciplina delle locazioni è contenuta nelle disposizioni del Codice Civile (artt. 1571 – 1614) e nelle leggi n.392/1978 e n.431/1998 e successive modifiche.
Le disposizioni generali in materia di inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive, tra cui rientra la locazione, sono quelle previste dal combinato disposto agli artt. 1453 e 1455 del Codice Civile, secondo cui quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può chiedere la risoluzione del contratto.
La legge 392 del 1978, detta la disciplina per le locazioni ad uso abitativo, all’art. 55 co.1 dispone: “La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice….” tale morosità di cui parla l’art 55, contenuta all’art. 5 della stessa legge è relativa al “mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla
scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1455 del codice civile”.
Lo stesso art. 55 prevede altresì: “Ove il pagamento non  avvenga in udienza, il giudice dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta” (co.2); “in tal caso rinvia l’udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato” (co.3); “la morosità
può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l’inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà” (co.4).
La norma si chiude al comma 5 stabilendo che “il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto”.
La normativa applicabile e le tesi della giurisprudenza
Tale disciplina, predisposta agli artt. 5 e 55 della legge 392, non è però applicabile alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo (quando il bene viene utilizzato per lo svolgimento di attività industriali, artigianali o commerciali) alle quali la giurisprudenza esclude si possa applicare la disciplina sulle locazioni
abitative.
L’orientamento della giurisprudenza non è mai mutato e si è affermato sul solco della sentenza Cass. 28.02.1992 n. 2496 secondo cui “A differenza del regime transitorio delle locazioni urbane disposto dalla l. n. 392 del 1978 (art. 74) nel regime ordinario, in mancanza di un onnicomprensivo richiamo, l’art. 55 della detta legge – senza porsi in contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3 cost.- consente al conduttore di sanare la morosità dei canoni soltanto con riguardo alle locazioni per uso abitativo indicate dall’art. 5 della stessa legge e non è, quindi, applicabile alle locazioni per uso non abitativo, che sono assoggettate ad una
autonoma disciplina alla quale possono essere estese solo le norme sulle locazioni abitative espressamente richiamate, tra le quali non rientra quella del citato articolo”.
La sentenza dinanzi richiamata aveva definitivamente escluso la possibilità di una disciplina comune delle due diverse fattispecie superando una precedente decisione (sentenza n. 4799 del 26 luglio 1986) con cui la Suprema Corte aveva affermato la applicabilità dell’art. 55 della legge n. 392 del 1978 anche per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dalla abitazione con la conseguente possibilità di sanatoria in sede giudiziale della morosità.
La sentenza del 1992, in considerazione di quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte stessa con la sentenza n. 12210 del 30 giugno 1990, aveva ritenuto non potesse trovare conferma il principio affermato dalla sopra menzionata sentenza.
La predetta statuizione della Cassazioni a Sezioni Unite, pur non affrontando il problema specifico della applicabilità dell’art. 55 alle locazioni ad uso diverso dall’abitazione, bensì quello della applicabilità alle stesse della cosidetta “predeterminazione legislativa della gravità dell’inadempimento” di cui all’art. 5 della stessa legge, forniva elementi di interpretazione in ordine all’impianto strutturale dell’intera legge n. 392 del 1978 che rendevano incompatibile con una coerente ricostruzione della volontà del legislatore la pretesa
applicabilità dell’art. 55 alle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitazione.
Infatti veniva rilevato come la simmetria di tale impianto – articolato su due piani (titolo primo, disciplina ordinaria e titolo secondo, disciplina transitoria), e suddiviso poi all’interno di ciascun piano in tre settori riflettenti la stessa materia (locazioni ad uso abitazione, locazioni ad uso diverso dell’abitazione e disposizioni processuali) – se per un verso aveva reso inevitabile una moltiplicazione di richiami da norma a norma, per estenderne o limitarne la applicabilità, dall’uno all’altro piano, e dall’uno all’altro settore, aveva per converso conferito una più stringente significatività ad ogni singolo richiamo, o mancato richiamo.
Sotto tale profilo pertanto assumeva particolare rilevanza proprio il richiamo contenuto nello art. 55 ai “canoni ed gli oneri di cui all’art.5“, ad una disposizione cioè collocata nell’ambito della disciplina delle locazioni di immobili ad uso abitativo, e di cui non esisteva corrispondente nella disciplina delle locazioni non abitative. Del pari significativa appariva la mancata inclusione dell’art. 5 nella norma specifica di richiamo costituita dall’art. 41, laddove si indicavano specificamente gli artt. da 7 a 11 come disposizioni concernenti le locazioni ad uso abitativo ed applicabili per rinvio anche a quelle previste dall’art. 27, e cioè riferentisi ad immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione.
Infine, e sempre avendo riguardo al surrichiamato impianto strutturale dell’intera legge, la cui simmetria, come rilevato dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite, aveva conferito “stringente significatività” ai richiami o alla mancanza di richiami, nella legge stessa, dovevasi rilevare come assumesse valore di comprova della inapplicabilità dell’art. 55 delle locazioni di cui all’art. 27, il fatto che l’art. 74, contenuto nel titolo secondo concernente la disciplina transitoria, specificamente includesse l’art. 55 fra le disposizioni
applicabili (artt. da 43 a 57) ad entrambi i tipi di locazioni (capi I e II dello stesso titolo, e cioè uso abitativo e non).
La chiara volontà del legislatore di accomunare nella applicabilità dell’art. 55 i due tipi di locazione nell’ambito della disciplina transitoria, e l’assenza della previsione di un analogo meccanismo per i contratti stipulati sotto l’imperio della legge, non poteva che costituire argomento in favore della non applicabilità del
predetto articolo al di fuori del caso dei contratti stipulati antecedentemente.
La Cassazione nel 1992 aveva praticamente rideterminato l’impianto normativo di riferimento escludendo una comune disciplina e concludendo che trattavasi di situazioni che, proprio a causa della loro non esatta corrispondenza, erano necessariamente sottoposte alle valutazioni ed alle scelte del legislatore ordinario, al quale compete stabilirne la relativa disciplina Il conduttore di un immobile detenuto ad uso abitativo può quindi usufruire della c.d. “sanatoria” e del c.d. “termine di grazia” per adempiere ed evitare la risoluzione del contratto.
Tale facoltà è esclusa, invece, per il conduttore di un locale commerciale il quale pur pagando integralmente l’importo dei canoni non corrisposti comprensivo di interessi, oneri accessori e spese legali banco judicis non è detto che eviti l’ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c..
In quest’ultimo caso, il locatore che non intenda rinunciare, potrà proseguire il giudizio ed il Giudice dovrà decidere se risolvere o no il contratto.
Nelle locazioni ad uso diverso, quindi, il conduttore che si opponga allo sfratto e versi integralmente quanto dovuto al locatore non è escluso che eviti la ordinanza provvisoria di rilascio e, nel merito, la risoluzione del contratto.
Le conseguenze dell’inadempimento
A questo punto occorre brevemente riflettere sulla opportunità della differenziazione delle conseguenze
dell’inadempimento del conduttore a seconda che l’immobile sia detenuto ad uso abitativo o ad uso diverso ovvero sulla possibilità di estendere la disciplina prevista dagli artt.5 e 55 della legge n.392/1978 a tutti i contratti di locazione prescindendo dall’uso convenuto.
Per quanto dianzi illustrato, è il legislatore che si dovrebbe fare interprete delle mutate esigenze di carattere sociale ed economico della impresa soprattutto di piccole-medie dimensioni e rivedere l’impianto normativo delle locazioni “sparso” tra le norme del Codice Civile e le disposizioni di due leggi emanate a distanza
dei venti anni l’una dall’altra (1978 e 1998).
Non vi sarebbero ragioni ostative a considerare la possibilità di dettare una disciplina comune ed anzi soccorrerebbero due ordini di argomentazioni: da un lato la incertezza interpretativa della “gravità dell’inadempimento” del conduttore/imprenditore che eviti o meno la emissione dell’ordinanza provvisoria di rilascio e la pronuncia sulla risoluzione nel merito, dall’altro la “debolezza” sul piano economico e sociale del conduttore/imprenditore, sempre più spesso soggetto a situazioni di illiquidità temporanea il quale,
usufruendo delle stesse prerogative previste per la locazione abitativa (“sanatoria” e “termine di grazia”) potrebbe evitare di rilasciare l’immobile e conseguentemente di interrompere irreversibilmente la
continuità aziendale.
Sotto il primo profilo, l’art. 1455 c.c. afferma che il contratto non può essere risolto “se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”, affidando al Giudice di dover valutare se, ed in quale misura, il mancato o il ritardato pagamento del canone di locazione possa
essere considerato inadempimento di non scarsa importanza e grave al punto di determinarne la risoluzione.
Varie sono state le pronunce in cui si è affermato che la gravità dell’inadempimento deve ritenersi implicita quando è relativa ad obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ad esempio, nell’ipotesi della locazione, il mancato pagamento dei canoni dovuti (Cass., Sent. 21156/2013; Cass. Sent. n. 24460/2005). Al contrario, altre pronunce, hanno ritenuto che, la gravità dell’inadempimento non debba ritenersi sussistente automaticamente, solo perché ricade su una delle obbligazioni primarie scaturenti dal contratto ma deve essere invece constatata in concreto, in relazione alla sua idoneità a ledere in modo rilevante l’interesse contrattuale del locatore, sconvolgendo l’intera economia del rapporto e determinando un notevole ostacolo alla prosecuzione del medesimo (Cass., Sent. n. 4688/99).
Seguendo questo secondo orientamento, occorre tener presente, che, l’unico criterio di valutazione a cui debba attenersi il giudice è quello della “non scarsa importanza” che si deduce dall’art. 1455 c.c., non potendo estendersi alle locazioni ad uso non abitativo l’art. 5 della L.392/78 (ossia inadempimento del conduttore per mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista), orientamento questo confermato anche dalla legge n. 431 del 1998. Esclusa, quindi, l’applicazione dell’art. 5 della L.392/78, la valutazione della gravità dell’inadempimento sarà rimessa alla discrezionale valutazione del Giudice di merito.
La discrezionalità del giudice è un elemento di incertezza ad alto rischio per gli interessi delle parti in un procedimento di carattere sommario che si conclude con un’ordinanza non impugnabile.
Il rigetto di un’ordinanza provvisoria di rilascio fondata sulla valutazione della “scarsa importanza dell’inadempimento” può comportare conseguenze oltremodo pregiudizievoli.
La non impugnabilità dell’ordinanza di rigetto comporta la necessaria prosecuzione del giudizio nel merito (mediazione compresa) con la conseguenza che il conduttore che non sia in grado di adempiere al pagamento del canone, possa persistere nella morosità per l’intera durata del giudizio. In tal caso il conduttore, oltre a non percepire il canone, sarebbe costretto a pagare imposte e tasse non altrimenti evitabili. E’ necessario, quindi, che anche nelle locazioni ad uso non abitativo ci sia un criterio normativo di determinazione a priori dell’inadempimento rilevante ai fini della pronuncia di rilascio.
E’ un’esigenza avvertita e confermata anche da una recente sentenza della Suprema Corte.
“In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, benché il criterio legale di predeterminazione della gravità dell’inadempimento, ex art. 5 della l. n. 392 del 1978, non trovi diretta applicazione, cionondimeno esso può essere tenuto in considerazione quale parametro di orientamento per valutare in concreto, ai sensi art. 1455 c.c., se l’inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza” (Cass. civ. Sez. III, 20/01/2017, n. 1428).
Sotto il secondo profilo che concerne la possibile applicabilità anche alle locazioni non abitative dell’art.55, co. 2 e 3, della legge n.392/1978 (“sanatoria” e “termine di grazia”), non si può non considerare che una tale estensione, in uno alla suddetta predeterminazione dell’inadempimento sulla scorta di quanto previsto dall’art.5 della legge medesima, renderebbe maggiore garanzia e certezza dei rapporti.
Il conduttore incontrerebbe maggiore tutela nei momenti di crisi di liquidità con possibilità di poter rientrare, mediante i rimedi della “sanatoria” e del “termine di grazia”, senza essere costretto a
rilasciare l’immobile ed a cessare l’attività.
Il locatore, attraverso la predeterminazione legale della “gravità” dell’inadempimento senza rischi di interpretazioni ondivaghe e mediante la scansione dei tempi a disposizione del conduttore per sanare la morosità, avrebbe a disposizione maggiori garanzie sull’esito del procedimento sommario.
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