Lo strumento delle concessioni autostradali dopo la tragedia del Ponte Morandi
di Alessandro Massari
Quella del Ponte Morandi è una tragedia inaccettabile, che aprirà un nuovo capitolo nel dibattito politico-istituzionale sulle modalità per la realizzazione e gestione di infrastrutture essenziali per la società e l’economia
Apriamo questo editoriale anzitutto con un pensiero alla sciagura del “Ponte Morandi” a Genova, che ha inevitabilmente polarizzato l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica sulla questione della sicurezza delle opere pubbliche, e, più in generale, sul modo di gestire le infrastrutture in Italia mediante lo strumento concessorio. Quella del Ponte Morandi è una tragedia inaccettabile, che richiede anzitutto di rinnovare il cordoglio per le vittime e la vicinanza alle famiglie e alle imprese colpite, e che, accanto alla rigorosa verifica delle responsabilità, aprirà un nuovo capitolo nel dibattito politico-istituzionale sulle modalità per la realizzazione e gestione di infrastrutture essenziali per la società e l’economia.
Il crollo del Ponte Morandi ha aperto almeno quattro fronti di discussione: la possibilità di gestire le infrastrutture autostradali attraverso strumenti e modalità alternativi alla concessione; gli strumenti a disposizione del concedente per risolvere anticipatamente il rapporto con il concessionario; le procedure e le modalità per affrontare, nel contesto di una concessione in essere, la progettazione e la realizzazione di un’opera imprevista ed eccezionale come la ricostruzione di un ponte di vitale importanza per i trasporti e la mobilità nazionale; la possibilità di sindacare e rinegoziare i piani economico-finanziari posti a base della concessione, quando questi assicurino al concessionario profitti eccessivi rispetto al rendimento medio del capitale investito in attività di impresa.
Sono condivisibili le perplessità sulla questione della ricostruzione del viadotto e, in generale, sulla messa in discussione del sistema delle concessioni nel suo insieme. Pare infatti che a livello politico si stia affermando la necessità ad un ritorno del sistema delle partecipazioni statali, a suo tempo accantonato, insieme al relativo Ministero, che fu soppresso a seguito di un referendum abrogativo. Si trattava di un sistema che aveva mostrato evidenti inefficienze e criticità.
La disclosure degli allegati di carattere economico-finanziario alle convenzioni che regolano le concessioni autostradali ha rivelato rendimenti del capitale investito dai concessionari sicuramente significativi ed ha indotto molti commentatori a ritenere opportuni, se non necessari, interventi correttivi e perequativi.
Se è vero che la questione delle modalità tecnico-giuridiche e del quantum di remuneratività delle concessioni può, e deve, essere oggetto di una revisione critica e di maggiori controlli, anche alla luce di quanto emerso nelle analisi svolte dall’ISTAT e dall’ANAC su alcuni contratti di concessione e PPP, è altrettanto vero che nessun imprenditore potrebbe essere interessato alla gestione di una infrastruttura pubblica non adeguatamente remunerativa.
Come noto, la definizione di rischio operativo contenuta nell’art. 3, lett. zz), del d.lgs. n. 50/2016 si risolve nella possibilità che il concessionario non recuperi gli “… investimenti effettuati o [i] costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione” e che resti esposto “alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”; come ha ben evidenziato Costantini, è altrettanto vero che tale definizione implica necessariamente il suo contrario, ossia la possibilità che le fluttuazioni di mercato generino, anziché una perdita, un extra guadagno tutt’altro che “nominale o trascurabile” in capo al concessionario. Allora ciò che in linea astratta, con lo schema legale tipico della concessione di lavori e di servizi venutosi a delineare con il vigente Codice dei contratti non è l’eventualità che il concessionario autostradale guadagni più del previsto o più di quanto non facciano, in media, gli altri operatori economici, ma il fatto che i suoi guadagni siano sostanzialmente garantiti da meccanismi di adeguamento tariffario volti a sterilizzare l’effetto di variabili negative (come ad esempio l’inflazione) ovvero ad inibire al concedente di esercitare le prerogative di cui all’art 1467 c.c. (risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta), confinandone il sindacato sulle richieste di adeguamento tariffario alla sola correttezza formale nell’applicazione della formula convenzionale.
L’auspicio che possiamo formulare è che la riflessione su questi temi di particolare rilevanza per il diritto amministrativo, e soprattutto di profondo impatto per l’economia e la società italiana, possa essere condotta con il necessario equilibrio, rifuggendo da pericolose tentazioni demagogiche e da frettolose quanto approssimative ed inefficaci innovazioni normative.
È lo stesso auspicio che ci sentiamo di esprimere, su altro e diverso piano, circa le imminenti modifiche al Codice dei contratti pubblici, per le quali si è annunciato un meccanismo a due fasi: un decreto legge per alcune modifiche essenziali nel breve periodo, e un più meditato provvedimento legislativo per una riforma più organica e strutturata.
Abbiamo già anticipato nel precedente editoriale alcuni dei temi oggetto della consultazione pubblica avviata dal MITT e non appena sarà disponibile la bozza del decreto non mancheremo di offrire il nostro contributo all’analisi di tutte le novità in esso contenute.
La sfida sarà quella di coniugare semplificazione, efficienza, rilancio degli appalti e tutela della legalità. Il Ministero sta lavorando, di concerto con l’ANAC, “per avere regole più chiare e semplici sul tema dell’affidamento degli appalti, consci del fatto che l’illegalità prolifera dove le regole sono opache e quindi di dubbia interpretazione”. Ad avviso del Ministro Toninelli, “snellire le procedure non è in contraddizione con la difesa della legalità, tutt’altro… Bisogna rendere la macchina degli appalti sempre più efficiente. Ecco perché servirà anche uno snellimento amministrativo, per esempio sul fronte delle delibere Cipe”.
Sul tema delle grandi opere il Ministro ha evidenziato che il nuovo governo punterà ad «una rete di tante piccole opere diffuse, che servano realmente ai cittadini», limitando la priorità per le «grandi opere mastodontiche e dispendiose».
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