L’interdizione giudiziale

L’interdizione giudiziale è un istituto giuridico, disposto con sentenza dal Tribunale, e rivolto a maggiorenni o minori, incapaci di provvedere ai propri interessi a causa della loro condizione di abituale infermità di mente.
Essa è infatti prevista dal nostro ordinamento per tutelare i soggetti patologici, impedendo loro di porre in essere atti giuridicamente rilevanti dal punto di vista economico (quali la vendita di un bene immobile, la donazione), o personale (come il matrimonio, o il riconoscimento figli nati fuori dal matrimonio), suscettibili di recare danno ai loro interessi.
La patologia in essere deve essere severa al punto da impedire al soggetto di manifestare con consapevolezza la propria volontà e incurabile; non è infatti possibile interdire un soggetto colpito da una patologia mentale transitoria, destinata a guarire;
Il procedimento di interdizione (così come quello di inabilitazione) presenta aspetti di spiccata specialità che riguardano soprattutto la fase istruttoria, le impugnazioni e la possibilità che il provvedimento finale, una volta passato in giudicato, possa essere oggetto di un giudizio di revoca per il venir meno delle condizioni che hanno giustificato la pronuncia protettiva.
I destinatari
Come si accennava, dunque, l’interdizione giudiziale è disposta nei confronti di maggiori di età o minori  che presentino contestualmente i seguenti requisiti:
-un’infermità di mente grave ed abituale
-l’incapacità di curare i propri interessi economici ed extra patrimoniali;
-la necessità di una protezione adeguata che lo metta al riparo da situazione dannose.
I legittimati attivi
Secondo il combinato disposto degli artt. 712-720 c.p.c., e degli artt. 414-432 c.c., i legittimati attivi, sono: il soggetto che deve essere interdetto; il coniuge; il convivente, purché la convivenza sia stabile; i parenti entro il quarto grado (figli, fratelli, padre, zii, nonni, bisnonni, nipoti e pronipoti); gli affini (parenti del coniuge) entro il secondo grado; il Pubblico Ministero.
-La fase introduttiva-
Il procedimento de quo ha inizio con la presentazione di un ricorso, in cui devono essere esposti i fatti su cui si fonda la domanda, che deve essere presentata al Tribunale del luogo in cui il soggetto da interdire ha residenza o domicilio effettivi.
Nel caso in cui l’interdicendo invece sia ricoverato stabilmente presso una struttura, la domanda dove essere presentata nel Tribunale del luogo in cui vive.
Il ricorso per chiedere l’interdizione giudiziale deve contenere: l’atto di nascita del soggetto da interdire; il certificato di residenza dell’interdicendo; lo stato di famiglia carta d’identità dell’incapace; la certificazione medica aggiornata e completa da cui risulti la malattia e l’incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali; i documenti d’identità dei ricorrenti.
Il deposito del ricorso in cancelleria apre la fase cd. preliminare o presidenziale del giudizio di interdizione o inabilitazione (regolata all’art. 713 c.p.c.).
Tale fase che si svolge davanti al Presidente del tribunale ed ha lo scopo di valutare, con un esame sommario, se l’azione proposta presenti almeno una parvenza di fondatezza o se, invece, si basi su fatti irrilevanti e inverosimili; la ratio di tale fase preventiva è quella di preservare l’incapacitando da domande palesemente infondate, permettendone il rigetto in limine litis.
Una volta presentata la domanda, il Presidente del Tribunale ha l’onere di darne comunicazione al Pubblico Ministero, il quale può chiedere che lo stesso sia respinto con decreto. Qualora ciò non avvenga, il Presidente deve nominare il giudice istruttore, a cui spetta l’istruzione della causa e compete la fissazione dell’udienza di comparizione del ricorrente, dell’interdicendo e dei soggetti indicati nell’istanza.
La fase istruttoria
Durante l’udienza il Giudice Istruttore esaminerà l’interdicendo (recandosi, se necessario nel luogo in cui egli si trovi e facendosi assistere, se necessario, da un consulente esperto (medico, psichiatra); potrà inoltre nominare d’ufficio un tutore provvisorio, se ritiene che debbano essere compiuti atti urgenti (Il tutore nominato ha così la possibilità di rappresentare l’interdicendo durante il giudizio).
Potrà poi ascoltare i pareri dei soggetti citati nel ricorso oltre che raccogliere, se occorre, ulteriori informazioni.
La fase conclusiva
Il provvedimento conclusivo del giudizio di interdizione ha forma di sentenza, con la quale il Tribunale può accogliere la domanda, dichiarando lo stato di incapacità, oppure rigettare l’istanza e non concedere la misura richiesta.
L’interdizione giudiziale produce i suoi effetti dal deposito della sentenza presso la cancelleria del Tribunale che l’ha emessa. Il provvedimento deve quindi essere annotato dal cancelliere nel registro delle tutele e comunicata all’ufficiale dello stato civile che a sua volta ha il compito di annotarla a margine dell’atto di nascita.
La sentenza di accoglimento della domanda ha infatti natura costitutiva necessaria e produce effetti erga omnes dal momento della pubblicazione, salvo che l’incapace si trovi nell’ultimo anno di minore età, ipotesi in cui l’art 416 c.c. prevede che l’efficacia decorra dal raggiungimento della maggior età.
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La nomina del tutore
La sentenza che dichiara l’interdizione giudiziale provvede anche alla nomina del tutore, che viene scelto tra: il coniuge non separato, il padre, la madre, il figlio maggiorenne o la persona indicata nel testamento dal genitore superstite, a cui viene conferito il potere di rappresentare l’interdetto e amministrarne il patrimonio.
La sentenza d’interdizione giudiziale o il provvedimento di nomina del tutore provvisorio conferisce al tutore il potere di compiere gli atti spettanti al soggetto incapace, a cui si sostituisce.
Una volta nominato, il tutore dell’interdetto può, infatti, porre in essere gli atti di ordinaria amministrazione necessari alla vita dell’interdetto, gestendo il patrimonio senza intaccarlo e compiere atti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del giudice tutelare e del Tribunale, così come tenere la contabilità dell’amministrazione, rendendo annualmente il conto allo stesso giudice tutelare.
Nello specifico, questi dovrà  chiedere l’autorizzazione del suddetto giudice  per acquistare beni, ad eccezione dei beni mobili necessari ai bisogni quotidiani e all’amministrazione del patrimonio; per incassare capitali, cancellare ipoteche, svincolare pegni, stipulare contratti e assumere obblighi; per rinunciare o accettare eredità, donazioni o legati; per stipulare locazioni immobiliari superiori ai nove anni; o per agire in giudizio, a meno che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, azioni possessorie, per riscuotere frutti, ottenere provvedimenti conservativi e procedure di sfratto.
Quando, invece, si renda necessario vendere beni (eccetto frutti e beni mobili deperibili); costituire pegni o ipoteche; promuovere i giudizi di divisione; o stipulare transazioni, accettare concordati, e fare compromessi occorrerà che il tutore richieda l’autorizzazione del Tribunale, su parere del Giudice Tutelare
E’ doveroso a tal proposito sottolineare che qualora gli atti che necessitino di autorizzazione vengano compiuti senza averla ottenuta, possono essere annullati su richiesta del tutore, dell’interdetto, dei suoi eredi o aventi causa.
La tutela non può durare più di dieci anni, a meno che l’incarico non sia conferito al coniuge, al convivente, agli ascendenti e ai discendenti.
Dichiarata l’interdizione giudiziale, l’interdetto può solo soddisfare le esigenze della sua vita quotidiana, nella misura in cui le sue capacità intellettive glielo consentano.
Spetta al Tribunale autorizzare l’interdetto, con sentenza che pronuncia l’interdizione giudiziale o provvedimento separato, a compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione in autonomia o con l’assistenza del tutore.
La revoca
L’interdizione giudiziale può essere revocata in qualunque momento con sentenza del Tribunale, se vengono meno i presupposti dell’interdizione e previa istanza del tutore, del pubblico ministero, coniuge, del convivente, dei parenti (entro il quarto grado) e degli affini (entro il secondo grado).
Si ritiene che due siano i presupposti della domanda di revoca: a) il passaggio in giudicato della sentenza di interdizione o inabilitazione; b) il venir meno delle condizioni che ne hanno giustificato la pronuncia.
La necessità di entrambi deriva dall’oggetto del giudizio di revoca che non consiste nel riesame dei presupposti sostanziali che avevano giustificato l’assunzione della misura protettiva, ormai precluso dal giudicato,  bensì nell’accertamento della persistenza o della cessazione della causa d’incapacità nel tempo successivo alla pronuncia.
Non si tratta quindi di un rimedio a carattere impugnatorio, ma di un procedimento volto a ricreare la corrispondenza tra lo stato di capacità naturale e legale del beneficiario, alla luce di eventuali mutamenti verificatisi nelle sue condizioni psichiche.
Il Tribunale che ritenga fondata la domanda di revoca, ma che non sia convinto della riacquistata capacità dell’interdetto, può decidere di revocare l’interdizione, trasmettendo contestualmente gli atti al giudice tutelare affinché apra una procedura per la nomina di un’amministrazione di sostegno prevista dalla legge n. 6/2004.
L’impugnazione
In conclusione, si precisa che la sentenza che dichiara l’interdizione è impugnabile da tutti i soggetti che possono proporre l’istanza, anche se non hanno preso parte al giudizio e dal tutore (anche provvisorio, se è stato nominato) entro il termine di 30 giorni (art. 325 c. p. c) dalla notificazione della sentenza eseguita nelle forme ordinarie.
 
-I costi-
Per quanto concerne i costi, il Testo unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. 115/2002) prevede l’esenzione dal pagamento del contributo unificato per i procedimenti d’interdizione giudiziale.
Tale previsione non li esonera dal pagamento della marca da bollo di € 27.00 a cui si aggiunge la parcella dell’avvocato, considerato che il procedimento di interdizione giudiziale richiede l’assistenza legale obbligatoria.
L’inabilitazione
L’inabilitazione riguarda l’infermo di mente il cui stato non è talmente grave da dar luogo a interdizione. Può essere inabilitato anche colui che, per prodigalità o per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espone sé o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici.
Può essere inabilitato altresì il cieco o sordomuto dalla nascita del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
L’interdizione legale
L’interdizione giudiziale non va confusa con l’interdizione legale. Quest’ultima è una pena accessoria prevista dal codice penale, irrogata dopo una condanna all’ergastolo o alla reclusione non inferiore a cinque anni. Essa quindi non è uno strumento di protezione dell’incapace, ma una sanzione che deriva dalla commissione di un delitto.
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