L’enfiteusi, caratteri e disciplina giuridica
L’enfitèusi (dal latino tardo emphyteusis, che significa piantare, innestare) è un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui, urbano o rustico, secondo il quale, il titolare (enfiteuta) ha la facoltà di godimento pieno (dominio utile) sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo stesso e pagare inoltre al proprietario (direttario o concedente) un canone annuo in denaro o in derrate.
Le origini e la storia
L’istituto è un retaggio del diritto romano e trae le sue origini dalla figura dell’ager vectigalis (campo di vettigale, tassato) vale a dire da una forma di divisione dell’ager publicus, che, costituito perlopiù da terre sottratte alle popolazioni italiche assoggettate dai romani, veniva in parte distribuito tra i coloni militari, ai quali erano destinate le terre coltivate, o lentamente occupato dai cittadini (nel caso delle terre incolte) con il benestare della Repubblica.
Queste terre, in particolare, assumevano la denominazione di ager privatus vectigalisque (campo privato e tassato) un’espressione che esprimeva le caratteristiche di una proprietà privata, ma formalmente pubblica, che si caratterizzava per la sua precarietà. La Repubblica poteva revocare in ogni momento la concessione, e la sussistenza di un obbligo di pagamento del vectigal (vettigale) o di un canone pari al decimo delle biade e al quinto degli altri frutti.
Ampiamente diffusa durante il periodo feudale, l’enfiteusi fu uno strumento amministrativo molto utilizzato dalla Chiesa romana tra il VII-VIII secolo per assicurare stabilità politica in Italia, mediante la regolarizzazione della cessione o della concessione dei fondi, nei confronti dell’aristocrazia bizantina e successivamente longobarda.
Attuale disciplina
Rimasto per lungo tempo soggetto alla disciplina del diritto romano, il rapporto enfiteutico trovò una regolamentazione completa con il Codice Civile italiano del 1865, dove era annoverato tra i contratti, e con il successivo Codice Civile del 1942, che con gli articoli 957-977 del Libro Terzo della proprietà, introdusse una disciplina concepita al fine di incentivare la produttività delle terre grazie all’attività degli agricoltori.
Il diritto del concedente a riscuotere il canone non si estingue per usucapione per il dettato dell’articolo 1164 del codice civile. Si può usucapire il diritto dell’enfiteuta, mentre il dominio diretto è imprescrittibile, a norma dell’articolo 1164 del codice civile, e prima ancora l’articolo 2116 del vecchio codice civile abrogato, l’enfiteuta non può usucapire il diritto del concedente.
Secondo diverse pronunce della Suprema Corte di Cassazione (4231/76 – 323/73 – 2904/62 – 2100/60 – 177/46), concordi, “l’omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutarne il titolo del possesso, neppure nel singolare caso sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva”.
L’esercizio del potere di ricognizione del quale all’articolo 969 del codice civile, si applica per le enfiteusi a tempo (casi singolari), e non è relativo alle enfiteusi perpetue. A norma dell’articolo 958 del codice civile le enfiteusi sono perpetue quando non viene stabilita la durata e non va esercitato nessun potere di ricognizione.
A norma dell’articolo 1164 del codice civile, se non muta il titolo del possesso dell’enfiteuta, che non può usucapire la proprietà e il canone non è prescritto.
La ricognizione è un diritto riconosciuto al concedente (e non un dovere) per impedire all’ex enfiteuta (ma per le enfiteusi a tempo, dopo la loro scadenza) di usucapire il terreno. Si tratta di una facoltà e non di un obbligo, nel senso che il concedente, se non si vuole esercitare, non perde, per questo il suo diritto sulla cosa” (Cassazione n. 2904 del 10/10/1962).
L’enfiteusi è tra i diritti reali su cosa altrui, quello di più esteso contenuto, tanto da essere stato considerato nei secoli precedenti come una forma di “piccola proprietà”. Secondo la dottrina dominante il proprietario ha un diritto subordinato a quello dell’enfiteuta. Anche adesso si ritiene che il cosiddetto “dominio utile” spetti all’enfiteuta, a differenza del caso di usufrutto, nel quale il dominio utile spetta al nudo proprietario.
Il livellario o enfiteuta è colui al quale spetta il godimento di un bene che non gli appartiene. La concessione di qualunque bene non scaturisce in un’acquisizione automatica della proprietà. La proprietà resta sempre in capo al concedente, detto anche direttario sino a quando il livellario non chiede l’affrancazione del canone e diventa in questo caso, proprietario del bene.
Una conferma normativa si ha nella disciplina del rinvenimento del tesoro, che spetta al nudo proprietario in caso di usufrutto mentre spetta all’enfiteuta nel caso di enfiteusi.
L’enfiteusi è un diritto perpetuo o, se è previsto un termine, ha durata non inferiore a vent’anni. Non è suscettibile di subenfiteusi. Ha per oggetto tradizionalmente fondi rustici, ma dalla legislazione speciale è stata estesa anche ai fondi urbani. Si estende anche ai fabbricati edificati su terreni gravati da canone enfiteutico, quello che è costruito su terreno gravato da canone enfiteutico diviene gravato dal canone anch’esso per accessione. Tale diritto, è suscettibile di comunione (“coenfiteusi”), ma non si può costituire su una quota del fondo indiviso.
L’obbligo di migliorare il fondo presuppone la piena materiale disponibilità di questo da parte dell’enfiteuta. Sul fondo l’enfiteuta ha la stessa facoltà di godimento che spetta ad un proprietario (art. 959 c. c.), ma con due obblighi specifici: di migliorare il fondo, di corrispondere al nudo proprietario (“concedente”) un canone periodico (una somma di danaro ovvero una quantità fissa di prodotti naturali). Per la determinazione del canone, l’autonomia delle parti è vincolata dalle modalità previste dalle leggi speciali in materia.
Al concedente spetta il diritto di chiedere al giudice la devoluzione del fondo, vale a dire l’estinzione del diritto di enfiteusi se l’enfiteuta non adempia l’obbligo di migliorare il fondo, se non paga due annualità di canone. Una causa di estinzione dell’enfiteusi è il perimento del fondo (art. 963 c.c.).
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