Le politiche pubbliche del p.n.r.r. per la coesione sociale

Spesso davanti al progressivo calo demografico del nostro Paese ed al conseguente spopolamento delle aree geografiche montane e collinari, più interne, dei nostri territori, ci chiediamo quali provvedimenti adotti la classe politica per contrastare tali fenomeni. Il 60% del territorio nazionale si caratterizza, infatti, per la presenza di Comuni di piccole dimensioni – nello specifico, il 52% dei Comuni, ovvero oltre 4.000 enti pubblici territoriali, dove vive il 22% della popolazione italiana – distanti dai centri di erogazione di servizi essenziali, ossia sanità, scuola e mobilità. Nell’arco di un ventennio, tali aree ultra periferiche, considerate territori fragili, hanno subìto una graduale riduzione dell’occupazione e, al contempo, un’assenza di manutenzione dei territori con conseguenti costi sociali elevati in termini sia di dissesto idro-geologico (spesso attraverso distorte modalità d’uso del territorio stesso) che di degrado del patrimonio storico-architettonico e, soprattutto, paesaggistico.
La strategia nazionale per le Aree interne
Per bloccare la marginalizzazione di tali aree, è stata elaborata la «Strategia Nazionale per le Aree interne» (S.N.A.I.), uno dei pilastri della politica regionale di coesione, coordinata dall’“Agenzia per la Coesione territoriale”, con la cooperazione di Regioni e Comuni. L’Agenzia – che ha come obiettivo la promozione dello sviluppo economico e sociale dei territori attraverso la programmazione, il coordinamento degli interventi e la realizzazione dei progetti, al fine di eliminare le disuguaglianze territoriali – rappresenta il braccio operativo del Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale, retto abilmente dalla forzista Maria Rosaria Carfagna.
L’impegno per le aree interne è confermato anche dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (P.N.R.R.), con una previsione di spesa pari a 825 milioni di euro finalizzati al potenziamento dei servizi e delle infrastrutture sociali, soprattutto in quelle aree sprovviste di servizi sanitari di prossimità. Alle risorse stanziate vanno a sommarsi 300 milioni di euro a valere sul “Fondo complementare per migliorare l’accessibilità e la sicurezza delle strade” – utilizzati per il miglioramento e la manutenzione della rete stradale delle aree interne del Paese – secondo quanto stabilito dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, dicastero retto dall’economista Enrico Giovannini. In aggiunta anche i fondi, 310 milioni di euro, già stanziati nel 2020 per le aree interne secondo quanto stabilito sia dall’art. 1, comma 134, della Legge n. 160/2019 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019”) sia dall’art. 28 del D.L. n. 104/2020, convertito nella Legge n. 126/2020, recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”.
Attraverso un approccio integrato di public policy[1], la S.N.A.I. ha programmato i propri interventi – per un ammontare pari a 1 miliardo e 179 milioni di euro, di cui 720 milioni provenienti da Fondi Strutturali Europei e la restante parte dal bilancio statale – su 72 «Aree interne», comprendenti ben 1.060 Comuni ove risiedono circa 2 milioni di abitanti. Le misure, oggetto di specifici «Accordi di Programma Quadro» (A.P.Q.) tra Enti Locali, Regioni ed Amministrazioni centrali, hanno l’obiettivo di innalzare la quantità e la qualità dei servizi essenziali, quali istruzione, salute e mobilità, promuovendo specifici progetti di sviluppo per la valorizzazione dell’intera filiera del patrimonio culturale delle Aree interne, considerata una fra le dimensioni territoriali chiave della politica di coesione. Ciò al fine di migliorare la qualità di vita delle persone, sia secondo un modello di sviluppo intensivo, attraverso l’aumento del benessere con mirate azioni di inclusione sociale contrastando la graduale ma progressiva emorragia demografica, sia in un’ottica di sviluppo estensivo, investendo sulle comunità locali mediante l’aumento della domanda di lavoro con efficaci misure occupazionali. Nel complesso, le politiche pubbliche mirano ad intervenire sulle risorse endogene dei territori, valorizzando quindi la filiera delle risorse naturali e di quelle culturali delle realtà locali interne.
Come sono state individuate le cd. Aree interne del Paese? Secondo una visione policentrica del territorio nazionale, ovvero un territorio caratterizzato sia da una rete di comuni – definiti «centri di offerta di servizi» – in grado di fornire tutta l’offerta scolastica secondaria, ospedali sedi di D.E.A. (Dipartimento d’Emergenza e Accettazione) e mobilità ferroviaria, sia da aree contraddistinte da diversi livelli di perifericità spaziale. La natura di «Area interna» dipende dalla distanza fisica dalle aree, o dai poli, che erogano servizi considerati essenziali per una comunità, ma ciò non è necessariamente sinonimo di «area debole». Secondo tale metodologia, i Comuni italiani sono stati classificati, in base a diversi livelli di distanza/perifericità, in «poli urbani», quelli che garantiscono servizi scolastici, sanitari e di trasporto ferroviario, con i restanti Comuni suddivisi in quattro categorie, secondo il grado di accessibilità ai servizi essenziali: aree periurbane, aree intermedie, aree periferiche ed aree ultra-periferiche.
L’approccio strategico integrato di tali processi di sviluppo socioeconomico[2] implica la massima condivisione, in ordine agli obiettivi da raggiungere, da parte delle comunità locali e, in particolare, degli stakeholders e dei vari attori istituzionali locali. È evidente che ogni progetto di sviluppo – dalla tutela ambientale alla valorizzazione del patrimonio culturale, dalla valorizzazione dei sistemi agro-alimentari alla valorizzazione di filiere di energie rinnovabili, all’artigianato – ha come obiettivo l’incremento dell’attrattività dei territori, che inevitabilmente poggia sulla disponibilità, o meno, dei servizi presenti sul territorio: da ciò dipende la competitività di un determinato sistema territoriale.
La strategia comunitaria in tema di coesione sociale
Il P.N.R.R., approvato con Decisione del Consiglio ECOFIN il 13 luglio 2021, sviluppato attorno a tre assi strategici, ovvero la digitalizzazione ed innovazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale – è articolato in sei Missioni, ovvero trasformazione digitale, crescita intelligente sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica sociale e istituzionale, transizione verde, politiche per le nuove generazioni l’infanzia e i giovani – rientra nell’ambito del programma comunitario “Next Generation EU”, di cui il nostro Paese si avvale, in termini di risorse finanziarie, tramite il “Dispositivo per la Riprese e Resilienza” (R.R.F.) – che garantisce 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, di cui ben 68,9 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto e la restante parte di prestiti – ed il “Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione ed i Territori d’Europa” (R.E.A.C.T.-EU). Tali strumenti sono destinati al finanziamento della strategia europea per il “Sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza”. Il programma “Next Generation EU” – con una dotazione finanziaria di 750 miliardi di euro – approvato il 27 maggio 2020, è la risposta della Commissione europea allo shock socioeconomico causato dalla pandemia da Covid-19 che ha investito gli Stati membri dell’UE. Nel complesso, i report sull’Italia elaborati dalla Commissione presentano una approfondita disamina, classificando il Paese con squilibri macroeconomici eccessivi – per il basso tasso di crescita del sistema economico italiano nell’ultimo ventennio – con due parametri fuori linea, ovvero il rapporto tra debito pubblico e PIL ed il tasso di disoccupazione.
Questa metodologia di analisi ha consentito l’assegnazione di risorse comunitarie per la gestione del post pandemia da Covid-19 – evento eccezionale come eccezionale è lo stanziamento di ingenti fondi europei previsti per il nostro Paese, sulla base di progetti selezionati – dal II Governo Conte prima, e dall’attuale Governo Draghi poi – attraverso una snella concertazione sia con le forze sociali ed economiche, sia con le Amministrazioni regionali.
Il Piano rappresenta, dunque, la risposta adeguata alle sfide macroeconomiche che la gestione del post emergenza sanitaria impone alle Autorità del nostro Paese: la credibilità del sistema Italia dipenderà dalla volontà – e dalla modalità – di affrontare tali sfide, sull’indifferibilità di riforme organiche mirate alla crescita economica – ma soprattutto sociale – di lungo periodo. Il Piano, infatti, è la sintesi di politiche pubbliche integrate di interventi di riforme ed investimenti: nello specifico, una serie di provvedimenti che interessano molti dei principali nodi strutturali dell’economia nazionale, come ad esempio la riforma della Pubblica Amministrazione e della Giustizia, la semplificazione amministrativa, la razionalizzazione del sistema fiscale ed il potenziamento del sistema degli ammortizzatori sociali, in aggiunta al rilancio degli investimenti pubblici – dopo anni di “lacrime e sangue” per il rispetto del “Trattato sul Fiscal Compact” – finalizzati al miglioramento dell’efficienza e della competitività del Paese.
Parallelamente, proseguono le attività interlocutorie per la definizione del nuovo “Accordo di partenariato 2021-2027” – con una dotazione di risorse pari a 83 miliardi di euro – e per la nuova programmazione del “Fondo per lo Sviluppo e la Coesione” (F.S.C.), a cui sono destinati 50 miliardi di euro a valere sulla Legge di Bilancio 2021 ed ulteriori 23 miliardi previsti col Bilancio 2022.
Brevi conclusioni
Da quanto illustrato sinteticamente, sembrerebbero esserci tutte le premesse per ottenere gli ambiziosi risultati programmati, ovvero l’ammodernamento dell’Italia, confidando sulla capacità di governance della nostra classe dirigente sia nazionale che – forse soprattutto – locale: l’obiettivo è quello di disegnare un Paese più moderno in grado di cogliere e affrontare le sfide per l’Italia del futuro.
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Note
[1] D’Amico R., L’analisi della pubblica amministrazione. Teorie, concetti e metodi, Franco Angeli, 2015.
[2] Regini M., Le condizioni di un patto sociale per la crescita, in AA.VV., Lavoro, mercato, istituzioni, Franco Angeli, 2013.

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