Le patologie della pubblica amministrazione

Il presente contributo si propone di illustrare, con voluta schematicità e brevità, la relazione che sussiste tra l’etica pubblica e l’agire amministrativo, nei fenomeni della burocratizzazione, della corruzione e della deresponsabilizzazione, quali patologie della pubblica amministrazione. Tale indagine genera una riflessione sugli ostacoli che impediscono la concreta attuazione del bene comune all’interno degli uffici pubblici.
Sarà quindi esaminato il metodo burocratico, i lineamenti generali del fenomeno, le origini della teoria moderna, le sue criticità e i suoi limiti.
Sarà poi analizzato il problema della deresponsabilizzazione, che affligge da anni non solo il mondo del diritto ma, anche e soprattutto, quello dell’etica e della politica.
La riflessione si chiuderà con l’esame del fenomeno corruttivo, cancro della società e nemico dello Stato.
Saranno sviscerate le cause della patologia e la normativa in materia di contrasto e di prevenzione.
Indice:

La burocratizzazione
La deresponsabilizzazione
La corruzione

La burocratizzazione
La burocrazia[1] è l’insieme di apparati e di persone al quale è affidata, a diversi livelli, l’amministrazione di uno Stato o anche di enti non statali[2].
Secondo M. Weber, gli apparati della burocrazia si distinguono dalle tradizionali forme di amministrazione del passato perché si fondano su una divisione del lavoro, sul sapere e sulle competenze, su gerarchie regolate dal merito e da precisi meccanismi di carriera e su un complesso di norme scritte che tendono a vincolare il funzionario a una condotta formalistica e impersonale.
Poiché lo sviluppo e la diffusione della burocrazia avevano riguardato non soltanto la sfera dell’amministrazione dello Stato, ma tutte le forme pubbliche e private di organizzazione amministrativa, Weber parlò di processo irreversibile di burocratizzazione universale, che tendeva a imprigionare gli uomini in una rete di regole minuziose e a sottometterli alla potenza anonima, irresponsabile e necessaria degli apparati burocratici.
Nel Novecento, il processo di burocratizzazione ha conosciuto una straordinaria espansione, sia nei paesi socialisti fondati sull’economia pianificata e sull’unificazione tra burocrazie pubbliche e burocrazie private in una burocrazia unica, sia nei paesi capitalistici, per effetto delle politiche di welfare, che implicano un crescente intervento dello Stato nella vita quotidiana dei cittadini.
A fronte di ciò, sono in atto processi di deburocratizzazione delle amministrazioni pubbliche e delle amministrazioni private, che rispondono alle esigenze di una società in continua trasformazione, che rende rapidamente obsolete le competenze e le specializzazioni della burocrazia e si mostra sempre più insofferente ai vincoli posti dalle sue regole e dalle sue procedure.
L’ipotesi del declino della burocrazia è argomentata con il diffondersi di più burocrazie all’interno degli stessi modelli nazionali. La presenza di più burocrazie, con regole tra loro diverse è da sempre, nell’amministrazione dello Stato e nelle forme di regolazione pubblica, a differenza che nel privato e nelle forme di regolazione di mercato, indicatore d’inadeguatezza del sistema e di crisi dei principi costitutivi del potere legale che vede l’organizzazione burocratica associata all’idea d’uniformità delle regole in modo da garantire, a tutti i cittadini, un trattamento equo e conforme alla legge, di impedire gli eccessi di discrezionalità e patrimonialismo e di prevenire la corruzione[3]. Questa frammentazione dell’amministrazione e degli interessi avviene però in modo non univoco, ma con percorsi diversi tra paesi, mettendo così in discussione la tesi della convergenza verso un nuovo modello di burocrazia pubblica.
Percorsi che hanno portato alcuni autori, a discutere in modo approfondito sui vincoli ed opportunità nazionali al cambiamento amministrativo, e a mettere in discussione i principi considerati come universali del modello classico weberiano[4]
La diffusione del metodo negoziale e l’avvio di un processo di razionalizzazione interna alla singola amministrazione nazionale fa venire meno, in parte o del tutto, un sistema di sovraordinazione e subordinazione degli organi di autorità con poteri di controllo univoco di tutta l’attività dei livelli inferiori.
I testi dell’OECD (1995, 1996) e di altri autori (Ferlie et al., 1996) hanno indicato che, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, sono messi in discussione e sono soggetti a verifica alcuni principi istituzionali e di organizzazione dello Stato moderno.
Anche per quanto riguarda lo Stato e i servizi pubblici, la necessità di una razionalizzazione dell’apparato pubblico, è stata motivata con la maggiore turbolenza delle condizioni sociali ed economiche internazionali, da cambiamenti intervenuti nei rapporti con i cittadini intesi come utenti e consumatori di servizi, oltre che dai limiti del prelievo fiscale come leva finanziaria per contemperare l’incremento della spesa pubblica.
Una minore stabilità delle condizioni economiche, a partire dall’inizio degli anni settanta, ha fatto sì che i governi siano stati costretti a ripensare sia le dimensioni che gli scopi del settore pubblico. Da tale tipo di riflessione non è stata esclusa una critica al ruolo della burocrazia, a partire dai costi e dal modo di operare di quest’ultima. Il rapporto dello Stato con i propri dipendenti e la qualità delle loro prestazioni, i costi e il tipo di razionalità ed efficacia dei servizi sono stati oggetto di verifiche continue sia da parte dei governi che delle organizzazioni sindacali.
Lo stesso incremento della prosperità economica e sociale, l’incidenza di fenomeni in parte nuovi per l’Europa, quali l’immigrazione da altri paesi e continenti, hanno incoraggiato i cittadini verso una richiesta di qualità ed efficacia dei servizi e a paragonare, in alcuni casi, i servizi pubblici con quelli privati.
Il dilemma dei governi è oggi quello di rendere compatibile la pressione verso un contenimento dei costi con la crescita delle aspettative dei dipendenti pubblici di miglioramento della qualità del lavoro e della qualità e differenziazione dei servizi da parte dei cittadini.
La deresponsabilizzazione
Tale comportamento, diffuso nella società contemporanea, evita l’assunzione di responsabilità e tutela solo la propria convenienza e il proprio interesse come se fossero un diritto, senza tener conto di un bene collettivo. Si perdono non solo i punti di riferimento ma, anche e soprattutto, il senso della storia e del passato, in una società dove ognuno rivendica solo i propri diritti, dimenticando i doveri che il vivere sociale prevede. Si propugna un modello di interesse individuale rispetto a quello collettivo, un predominio del presente rispetto a una preoccupazione del futuro e uno smarrimento di valori che vadano al di là dell’appagamento degli interessi individuali.
Quel che sembra avere importanza è la tutela di sé e dei privilegi raggiunti, non importa con quali mezzi, né se a scapito della comunità, della crescita sociale e di un bene condiviso.
La soluzione per affrontare il problema senza spostarlo altrove è l’etica della responsabilità: essa è estesa da H. Jonas nel tempo e nello spazio, nel senso che le azioni vanno valutate per le conseguenze non solo nei confronti dei contemporanei ma anche di coloro che non sono ancora nati e verso l’intera biosfera.
Nella sua opera “Il principio responsabilità”, edito nel 1979, Jonas esprime il principio cardine di un’etica razionalista applicata in particolare ai temi dell’ecologia e della bioetica, sostenendo la necessità di applicarlo ad ogni gesto dell’uomo che deve prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti.
Dopo la crisi della razionalità etica provocata dalle elaborazioni di F. Nietzsche, si registra nel pensiero del XX secolo l’esigenza di restituire l’etica alla plurale concretezza del mondo e della vita, osservando che la ricerca di principi universali condiziona le decisioni e le scelte sull’ambiente, sull’economia, sulla comunicazione e, in sintesi, sulla vita del genere umano: tale esigenza, che porta ad una ripresa dell’universalismo kantiano e dell’idea di dovere quale fondamento della morale, si rinviene nel pensiero e negli scritti di Jonas che elabora un concetto di etica orientata al futuro, inserendo la propria proposta teorica nel provocatorio progetto della fondazione dell’etica nell’ontologia, in nome della salvaguardia dell’essere e dell’umanità nell’Universo minacciato dalla tecnica, con le sue conseguenze distruttive sul piano planetario.
L’imperativo dell’etica della responsabilità viene così kantianamente formulato: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana[5].
Lévinas e J. Derrida mettono, poi, in relazione il concetto della responsabilità con il principio giuridico della imputabilità. Premesso che responsabilità vuol dire rispondere delle proprie azioni, questa risposta e la conseguente decisione non potrà attuarsi in senso assoluto (un governante dovrà rispondere agli interessi dei suoi concittadini mettendo da parte, non rispondendo ai propri interessi personali; Abramo ha risposto a Dio che lo chiamava al sacrificio del figlio Isacco, ma non ha risposto alla voce simultanea che lo chiamava a salvargli la vita). Derrida nota, quindi, che l’uomo sarà allora imputabile per aver risposto responsabilmente alla chiamata, lasciando inascoltate altre[6].
Sulla base di quanto appena esposto, si può affermare che il problema della responsabilità delle pubbliche amministrazioni riguarda la responsabilità dei suoi agenti dato che la pubblica amministrazione agisce per il tramite dei propri funzionari e dei propri dipendenti: ogni atto illecito o illegittimo, ovvero lesivo, che venga posto in essere dalla pubblica amministrazione, proviene, infatti, dall’attività dei propri funzionari.
L’articolo 28 della Costituzione stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Nel nostro sistema la responsabilità è fondata sulla imputabilità, la quale si concreta nella capacità di intendere e di volere, il che vale in una volontà cosciente, consapevole degli atti che pone in essere, e scevra di agenti patologici interni, e, pertanto, capace d’inibirsi[7].
Si è adottata la formula dell’articolo 85 c.p. per le medesime ragioni che ispirarono il legislatore penale. È necessario che l’autore del fatto dannoso abbia capacità di intendere e di volere; se si trovi di non avere tale capacità è responsabile ugualmente quando tale stato derivi da sua colpa.
La corruzione
A differenza della corruzione penale di cui agli articoli 318, 319, 319 ter, 320 e 322 c.p., la corruzione amministrativa non è una nozione legificata, ma più estesa, atteso che la corruzione penale è un reato-contratto che postula un accordo tra un pubblico ufficiale e un terzo, in base al quale il primo in relazione alle proprie funzioni, accetta denaro o altre utilità dal secondo, (pactum sceleris)[8].
L’elemento oggettivo della disfunzione amministrativa si sussume nelle condotte quali il clientelismo, il comportamento non conforme ai doveri di ufficio, il conflitto di interesse, il nepotismo, il rapporto non opportuno tra dipendenti ed esterni per il raggiungimento di fini privati mediante l’abuso della posizione pubblica attribuita, l’assunzione non trasparente, l’attenzione scarsa alle domande dei cittadini, l’autorizzazione indebita alle spese relative al personale, la dichiarazione falsa, l’irregolarità nello svolgimento di procedimenti amministrativi che comportano uno scorretto utilizzo dell’esercizio del potere discrezionale a fini privati in contrasto con il fine pubblico, la liquidazione indebita delle spese relative al personale, l’occupazione di cariche pubbliche, la partigianeria, la violazione di norme sulla sicurezza, lo spreco, l’utilizzo distorto del potere discrezionale nell’ambito di procedure di affidamento di contratti pubblici, l’utilizzo distorto di istituti a tutela del dipendente.
L’elemento soggettivo non si sussume nella colpa, bensì nel dolo intenzionale (o nel dolo generico) quindi la corruzione amministrativa emergerebbe, non tanto quando la mala gestio è espressione ex se di imperizia, imprudenza e trascuratezza, ma quando è finalizzata a realizzare un interesse proprio, o di altri soggetti e non solo in termini di utilità materiale, ma anche in termini di utilità morale.
La differenza tra la corruzione amministrativa e la corruzione penale non è solo una questione di spessore, ma anche di finalità. Sul piano teleologico la legislazione penale ha lo scopo di reprimere i reati di corruzione, mentre la legge n. 190 del 6 novembre 2012 si pone come obiettivo di prevenire i reati di corruzione, perseguendo con buone pratiche la cattiva amministrazione, che può essere fertile terreno di coltura di attività delittuosa[9]. Se la corruzione è sistemica e strutturale, non bastano l’afflizione e la repressione, che sono attività a valle, ma occorrono prevenzione e curatela, ovvero attività a monte[10].
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Note:
[1] Dal francese bureaucratie (composto di bureau «ufficio» e -cratie «-crazia»), termine coniato intorno al 1750 dall’economista francese Vincent De Gournay.
[2] Burocrazia, Treccani, disponibile all’indirizzo https://www.treccani.it/enciclopedia/burocrazia/.
[3] G. Della Rocca, Burocrazie e declino della burocrazia, Quaderni di Sociologia, 33 | 2003, 137-152.
[4] Ibidem.
[5] C. Quarta, Una nuova etica per l’’ambiente, Edizioni Dedalo, Bari, 2006, p. 42.
[6] M. Vergani, Jacques Derrida, Pearson Paravia Bruno Mondadori, Milano, 2000, p. 122.
[7] L’articolo 2046 c.c. stabilisce che non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa.
[8] C. Amiconi, Esegesi della corruzione amministrativa, Altalex, 22 gennaio 2021, disponibile all’indirizzo https://www.altalex.com/documents/news/2021/01/22/esegesi-della-corruzione-amministrativa.
[9] La corruzione penale è stata definita come una fattispecie ex post, mentre la corruzione amministrativa come fattispecie ex ante.
[10] Un concetto questo che costituisce la scaturigine e la ratio essendi della l. numero 190 del 6 novembre 2012.

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