Le modifiche apportate in materia penale per effetto del d.l. n. 120/2021: vediamo in cosa consistono

Premessa
In data 9 settembre 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale, il decreto legge, 8 settembre 2021, recante disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile.
Orbene, tra le disposizioni contemplate in tale decreto, vi sono anche alcune, prevedute dall’articolo 6, con cui si è proceduto a modificare il codice penale.
Scopo del presente scritto è dunque di vedere in cosa consistono siffatte modifiche.
La modifica apportata all’art. 32-quater codice penale
L’art. 6, co. 1, lett. a), d.l. n.120/2021 prevede che “all’articolo 32-quater, dopo le parole «416, 416-bis» sono inserite le seguenti: «423-bis, primo comma,»”.
Tal che, per effetto di questo innesto legislativo, adesso, anche nel caso di condanna per il delitto di incendio boschivo, nei termini previsti dal primo comma dell’art. 423-bis cod. pen. che, come è noto, dispone che chiunque “cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni”, qualora esso sia commesso in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa (come richiesto espressamente dall’art. 32-quater cod. pen.), ciò determina l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Le modifiche apportate all’art. 423-bis codice penale
L’art. 6, co. 1, lett. b), d.l. n.120/2021, a sua volta, apporta diverse modificazioni all’art. 423-bis cod. pen. che, come appena visto, prevede il delitto di incendio boschivo.
In particolare, dopo il comma quarto di tale disposizione legislativa, è stabilito l’inserimento di ulteriori commi.
Il primo previsto, ossia quello attualmente preveduto al comma quinto, dispone che, quando “il delitto di cui al primo comma è commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti allo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incedi boschivi, si applica la pena della reclusione da sette a dodici anni”,
E’ dunque contemplato un innalzamento della pena, rispetto a quanto previsto dal comma primo, sia nel minimo edittale (da quattro a sette anni), che nel massimo edittale (da dieci a dodici anni), laddove la condotta prevista nel comma primo, e, dunque, quella consistente nell’avere cagionato, con dolo, (atteso che non è richiamato anche il comma secondo che, come è risaputo, stabilisce che se “l’incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni”) un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, ove tale condotta venga posta in essere abusando dei poteri o violando i doveri riguardanti lo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incedi boschivi.
E’ di conseguenza richiesta che tale condotta criminosa sia correlata a siffatto abuso o codesta violazione affinchè possa essere applicata questa pena più grave, rispetto a quella prevista al comma primo.
Non si tratta infine di una fattispecie autonoma di reato, ma di un’aggravante, e segnatamente di un aggravante speciale ad effetto comune (in quanto non implica un aumento della pena superiore ad un terzo).
Quanto appena esposto si evince dal comma sesto dell’art. 423-bis cod. pen., sempre introdotto dall’art. 6, co. 1, lett. b), d.l. n. 120/2021, essendo ivi espressamente disposto che, salvo “che ricorra l’aggravante di cui al quinto comma, le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla meta’ a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi”.
Tale comma, quindi, al di là di far evincere che l’aumento della pena previsto al comma precedente è una aggravante e non una fattispecie autonoma di reato, prevede a sua volta una attenuante speciale ad effetto speciale (nel qual caso, difatti, la diminuente di pena è superiore ad un terzo) consistente in due condotte alternative fra di loro.
La prima consiste nell’adoperarsi per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori e nel qual caso, sulla falsariga di quanto già affermato dalla Cassazione in ordine a circostanze attenuanti analoghe, l’applicabilità di siffatto elemento accidentale non può essere legato ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, essendo per contro richiesta una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato volta per l’appunto ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.
Ciò posto, la seconda condotta, che comporta anch’essa il riconoscimento di cotale attenuante, consiste, purché essa avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, nel provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi.
Prima dunque che si proceda all’apertura del dibattimento secondo quanto preveduto dall’art. 492 cod. proc. pen. (“Compiute le attività indicate negli articoli 484 e seguenti, il presidente dichiara aperto il dibattimento”), l’autore di questo reato può usufruire di questa consistente diminuente di pena laddove provveda concretamente alla messa in sicurezza, e quindi deve fornire una valida prova che abbia agito in tal senso, non essendo sufficiente un intento di fare ciò, e ripristinare lo stato dei luoghi e, dunque, eliminare le conseguenze dannose provocate dal proprio comportamento criminale nella misura in cui ciò, però, sia possibile.
Precisato ciò, una ulteriore diminuente di pena è quella prevista dal comma settimo dell’art. 423-bis cod. pen., anch’esso introdotto dall’art. 6, lett. b), d.l. n. 120/2021, che dispone che le “pene previste dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti”.
Trattasi, anche in questo caso, di una circostanza speciale ad effetto speciale e, anche per essa, valgono le considerazioni già fatte in precedenza, ossia non basta mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, essendo per contro richiesta una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato consistente in tale caso nell’aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
 
Le pene accessorie prevedute dall’art. 423-ter cod. pen. e la confisca disposta dall’art. 423-quater cod. pen.
 
L’art. 1, co. 1, lett. c), d.l. n. 120/2021 prevede l’inserimento di ulteriore norme che, da una parte, in taluni casi, inaspriscono ulteriormente le conseguenze in cui va incontro colui che commette il delitto di incendio boschivo, dall’altra, introducono apposite misure ablatorie nel caso di specie.
Quanto al primo aspetto, sono infatti previste delle pene accessorie attraverso la formulazione di un apposito articolo che li disciplina, vale a dire l’art. 423-ter cod. pen..
Questa disposizione legislativa, invero, stabilisce, da un lato, che, fermo “quanto previsto dal secondo comma e dagli articoli 29 e 31, la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per il delitto di cui all’articolo 423-bis, primo comma, importa l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica” (primo comma), dall’altro, che la “condanna per il reato di cui all’articolo 423-bis, primo comma, importa altresì l’interdizione da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della lotta attiva contro gli incedi boschivi”.
Ebbene, dalla lettura di tale precetto normativo, emergono innanzitutto due prime considerazioni.
La prima è che tali pene accessorie si applicano solo per il delitto di incendio boschivo commesso con dolo, ma non per colpa, essendo richiamato nell’art. 423-ter cod. pen. solo il primo comma dell’art. 423-bis cod. pen., e non il secondo.
La seconda è che, per quanto concerne la pena accessoria di cui al primo comma, consistente nell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, essa, per un verso, si applica solo per la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni, dall’altro, non fa venir meno l’applicazione della pena accessoria di cui al comma secondo, vale a dire l’interdizione da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della lotta attiva contro gli incedi boschivi, né comporta che non possano essere applicati anche l’art. 29 cod. pen. (“1. La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 2. La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici”) e l’art. 31 cod. pen. (“Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel numero 3 dell’articolo 28, ovvero con l’abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere”).
Precisato ciò, per quanto inoltre concerne la pena accessoria di cui al comma secondo, essendo ivi stabilito che la condanna per il reato di cui all’articolo 423-bis, primo comma, importa altresì l’interdizione da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della lotta attiva contro gli incedi boschivi, il fatto che sia demandato al giudice di determinare la durata di tale interdizione tra cinque e dieci anni, comporta come gli spetti il dovere du quantificare siffatta durata entro questo arco temporale tenuto conto della gravità del fatto e di tutte quelle altre circostanze previste dall’art. 133 cod. pen. in quanto la “durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p.[1]” (Cass. pen., sez. V, 6/05/2021, n. 31513).
Chiarito ciò, l’art. 423-quater cod. pen., introdotto sempre dalla normativa qui in commento (per quello che rileva in questa sede), prevede la confisca, anche per equivalente.
In particolare, al comma primo di questo articolo è disposto che, nel “caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 423-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato”.
Di conseguenza, alla stregua di tale norma giuridica, la confisca è sempre disposta, e quindi essa è obbligatoria, nel caso di condanna, anche nel caso in cui la pena sia stata “patteggiata” a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.[2], in ordine ai beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Dunque, sono oggetto di confisca i beni consistenti nel guadagno o vantaggio di natura economica derivante dall’illecito (profitto del reato) nonché la cosa materiale che proviene dal reato stesso (prodotto del reato) oltre tutto ciò che è servito per commettere il delitto in questione.
Tale misura ablatoria, però, non è applicabile se questi beni appartengano a persone estranee al reato, ossia coloro che non hanno ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sono stati in buona fede, non potendo conoscere – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l’utilizzo del bene per fini illeciti [così, per la confisca preveduta dall’art. 240 cod. pen.[3] (con particolar riguardo a quanto sancito dal comma terzo e dal comma quarto), Cass. pen., sez. III, 17/02/2017, n. 29586].
E’ inoltre contemplata anche la confisca per equivalente essendo disposto, al comma secondo dell’art. 240-quater cod. pen., che, quando “a seguito di condanna per il delitto di cui all’articolo previsto dall’articolo 423-bis, primo comma, è stata disposta la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato ed essa non è possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca”.
Di conseguenza, fermo restando che tale confisca può essere applicata solo se il delitto di incendio boschivo e commesso con dolo, e non colpa (essendo stato richiamato solo il comma primo, e non il comma secondo del’art. 423-bis cod. pen.), ove non sia possibile procedere alla confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, pur essendo essa stata disposta, si può procedere alla confisca per equivalente, e segnatamente dei beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità, vale a dire qualora vi sia una “relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà” (Cass. pen., sez. I, 9/03/2005, n. 11732).
Ebbene, nel qual caso, il giudice ordina la confisca di siffatti beni.
Oltre a ciò, è inoltre disposto che i “beni confiscati e i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per il ripristino dei luoghi” (art. 423-quater, co. 3, cod. pen.) e, quindi, per effetto di questa norma giuridica, sia i beni confiscati, che i proventi delittuosi, ove vi siano, sono rimessi alla disponibilità della p.a. competenti e sottoposti al vincolo di utilizzo per ripristinare i luoghi in cui si è verificato l’incendio boschivo.
Ad ogni modo, la “confisca non si applica nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi” (art. 423-quater, co. 4 , cod. pen.).
Non è dunque sufficiente eliminare le conseguenze dannose provocate dal proprio comportamento criminale, qual è quello di avere cagionato un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, occorrendo un quid pluris, ossia che tale ripristino venga fatto in maniera efficace, il che significa in sostanza, ad avviso di chi scrive, che tali conseguenze dannose siano eliminate in toto.
Va infine osservato, per dovere di completezza espositiva, che, per effetto dell’articolo 5, comma 1, lettera e), numero 3), del D.L. 8 settembre 2021, n. 120, è prevista una ulteriore confisca.
Difatti, l’art. 10, co. 3, secondo capoverso, legge, 21/11/2000, n. 353, dispone che, nel “caso di trasgressione al divieto di pascolo di cui al presente comma [vale a dire quando sia trasgredito il divieto di pascolo su soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco ai sensi del comma 1 di questo articolo (“Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. E’ comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell’atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dalla direzione generale competente in materia del Ministero dell’ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia ed è, altresì, vietata, per tre anni, la raccolta dei prodotti del sottobosco. I contratti che costituiscono diritti reali di godimento su aree e immobili situati nelle zone di cui al primo periodo stipulati entro due anni dal fatto sono trasmessi, a cura dell’Agenzia delle entrate, entro trenta giorni dalla registrazione, al prefetto e al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche con riguardo ai contratti di affitto e di locazione relativi alle predette aree e immobili”) fermo restando però quanto previsto dal co. 1-bis sempre di tale articolo (“La disposizione di cui al primo periodo del comma 1 non si applica al proprietario vittima del delitto, anche tentato, di estorsione, accertato con sentenza definitiva, quando la violenza o la minaccia e’ consistita nella commissione di uno dei delitti previsti dagli articoli 423-bis e 424 del codice penale e sempre che la vittima abbia riferito della richiesta estorsiva all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria ”) ndr.] è sempre disposta la confisca degli animali se il proprietario ha commesso il fatto su soprassuoli delle zone boscate percorsi da incendio in relazione al quale il medesimo è stato condannato, nei dieci anni precedenti, per il reato di cui all’articolo 423-bis, primo comma, del codice penale”.
Note
[1]Ai sensi del quale: “Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato. Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria”.
[2]Secondo cui: “1. L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria. 1-bis. Sono esclusi dall’applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, nonché 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell’articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria. 1-ter Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale, l’ammissibilità della richiesta di cui al comma 1 è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. 2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l’applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l’imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell’articolo 75, comma 3. Si applica l’articolo 537-bis. 3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta. 3-bis. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta”.
[3]Alla stregua del quale: “1. Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. 2. È sempre ordinata la confisca: 1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies  nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti. 2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. 3. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale. 4. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa”.

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