Le attenuanti previste dall’art. 62 c.p.: vediamo in cosa consistono

Prefazione – L’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale – La c.d. provocazione – L’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza – La speciale tenuità – L’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa – La riparazione del danno e il ravvedimento operoso
Prefazione
Scopo del presente scritto è quello di esaminare le circostanze prevedute dall’art. 62 cod. pen..
Come è noto, per effetto di questo articolo, sono stabilite delle attenuanti comuni perché, di norma, si riferiscono a tutti i reati, e a effetto comune, perché implicano una diminuzione della pena sino ad un terzo.
Gli elementi accidentali contemplati in questa disposizione legislativa sono in tutto sei, ossia: l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale; l’avere reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui; l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza; l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità; l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa; l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Vediamo pertanto nel dettaglio quali sono le condizioni attraverso le quali tali elementi accidentali sono configurabili avvalendosi per tale fine dei contributi elaborati in sede giudiziale, con particolar riguardo a quanto rilevato dalla Cassazione sull’argomento.
L’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale
Tra le prime attenuanti prevedute dall’art. 62 c.p., vi è quella di cui al numero 1), ossia l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale.
Orbene, fermo restando che “l’aggettivo “particolare” usato dal legislatore nel configurare l’attenuante in questione indica che i motivi per i quali l’imputato ha agito superino l’entità della morale media e non debbano essere di scarsa rilevanza rispetto alla gravità del reato perpetrato”[1] mentre per “’motivo‘ si deve intendere quel sentimento o moto dell’animo che ha indotto il reo ad agire”[2] e tenuto conto che l’“attenuante della provocazione e quella dei motivi di particolare valore morale o sociale possono concorrere, ma soltanto quando esse abbiano origine da situazioni di fatto diverse, non quando risalgano al medesimo fatto, nel qual caso per il principio di specialità va applicata solo una delle due circostanze”[3], la “circostanza attenuante comune del motivo di particolare valore sociale è caratterizzata da due elementi: quello che si concretizza nella intenzione dell’agente diretta ad eliminare una particolare situazione di fatto ritenuta immorale e antisociale e quello oggettivo che si verifica quando il movente sia conforme alla morale ed ai costumi del luogo e del tempo del commesso reato”[4]; in altre parole, tale elemento accidentale “esige che l’agente sia spinto da motivi di spiccato valore etico e sociale, condivisi dalla coscienza pubblica e, quindi, meritevoli di un particolare apprezzamento”[5] (quali sono gli “impulsi psicologici considerati ed approvati dalla collettività siccome ispirati a finalità altamente nobili, trascendenti il sentimento medio, diretti alla salvaguardia di valori morali e sociali di tale rilevanza da essere considerati di grado superiore a quelli comunemente correnti”[6]) in quanto “riconosciuti preminenti dalla coscienza della collettività”[7] “e intorno ai quali vi sia un generale consenso”[8] nel senso che rilevano quei motivi “sui quali si registra un generale consenso sociale, in rapporto al tipo di pulsione all’azione, confrontata con la condotta tenuta”[9] essendo per l’appunto necessario che “l’agente abbia commesso il reato per realizzare uno scopo spiccatamente nobile e altruistico, oggettivamente conforme alla morale ed ai costumi della collettività”[10] “del tempo e del luogo del commesso reato”[11] e nella misura in cui la situazione di fatto ritenuta immorale o antisociale  venutasi a creare “non sia stata posta in essere dallo stesso imputato o con la sua adesione”[12] (atteso che l’attenuante de qua non è configurabile “quando all’anzidetta situazione abbiano dato causa gli stessi imputati”[13]) “e che nulla hanno in comune col movente egoistico dell’autore del reato”[14] e, quindi, “allorché il reo abbia agito per fini utilitaristici personali”[15].
Ad ogni modo, l’attenuante de qua non può trovare applicazione: 1) “se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’erronea opinione del soggetto attivo del reato, anche in virtù della disciplina prevista dall’art. 59, cod.pen., in base alla quale le circostanze aggravanti ed attenuanti devono essere considerate e applicate per le loro connotazioni di oggettività”[16]; 2) “in relazione alla cosiddetta “causa d’onore””[17] “non solo perché essa costituisce espressione di una pretesa egoistica nel campo familiare e particolare, ma perché manca di quella tendenziale universalità che ne costituisce l’essenza, anche se essa, come tale è sentita in determinati ambienti”[18]; 3) “quando il soggetto reagisce ad offese semplicemente verbali, provocando una rissa e, poi, tentando addirittura di uccidere”[19]; 4) allorquando “il movente del fatto, pur prestandosi ad una generica valutazione positiva sul piano della comune coscienza etica e della solidarietà sociale, non si presenti con caratteri di particolare intensità e non si differenzi, in conseguenza, dai motivi che normalmente possono indurre il soggetto a delinquere”[20]; 5) “nell’intento di alleviare le disagiate condizioni proprie o della famiglia in quanto, perché possa applicarsi tale circostanza, non è sufficiente che il motivo dell’azione si presti genericamente a una valutazione etica positiva, ma occorre che essa corrisponda a finalità e principi approvati dalla coscienza sociale collettiva per la particolare intensità del loro contenuto morale e sociale e si distingua dagli altri stimoli che, in via generale, possano determinare azioni delittuose”[21]; 6) ove “il soggetto abbia agito sotto la spinta di una ideologia che rappresenti l’orientamento contingente di singoli gruppi e non l’espressione della coscienza etica di tutti nel contesto di un determinato momento storico”[22]; 7) allorchè “la condotta dell’imputato sia stata posta in essere per ottemperare ad un precetto della sua religione”[23]; 8) nell’“ipotesi di reato commesso per vendetta (…) dato che la vendetta è sempre, di per sè, passione moralmente riprovevole”[24]; 9) laddove il reato sia commesso per “gelosia”[25]; 10) quando l’illecito penale sia commesso per lo “stato di disoccupazione o la insufficienza delle condizioni salariali”[26] o, più generale, perché realizzato in “stato di bisogno”[27]; 11) se il reato è compiuto per un motivo politico quando esso “è alla radice del desiderio e del proposito d’affermare la propria opinione o fazione contro le altre; quando è diretto a creare disordine o sovvertimento; quando spinge a realizzare pretese e finalità politiche o sociali mediante l’uso sistematico della violenza o della lotta armata; quando l’agente, ancorché animato da sentimenti patriottici, ricorre alla pratica terroristica, per seminare morte, lutti e distruzioni anche in territori stranieri ed in danno di persone innocenti, perché inermi ed estranee agli interessi della contesa politica o alla lotta armata”[28].
Ciò posto, va infine rilevato che la “possibilità di applicare simultaneamente l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale e quella della provocazione (che esamineremo successivamente ndr.) è subordinata all’accertamento, in concreto, della loro ascrivibilità a distinte situazioni, poiché qualora il fatto che ne è alla base sia unico, per il principio del ne bis in idem sostanziale che impedisce la reiterata valutazione del medesimo elemento ai fini della riduzione della pena, deve applicarsi una sola delle anzidette circostanze”[29].
La c.d. provocazione
Al numero 2) dell’art. 62 cod. pen., è prevista l’attenuante della c.d. provocazione ossia allorchè si sia “reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui”.
Orbene, fermo restando che, per il delitto di diffamazione, tale attenuante assurge al rango di causa di non punibilità stante quanto disposto dall’art. 599, c. 2 (adesso unico comma di tale articolo per effetto di quanto statuito dall’art. 2, comma 1, lett. i), n. 2, D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7), c.p. (“Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”), per quel che rileva in questa sede, tale attenuante è configurabile allorchè ricorrano congiuntamente tali condizioni: “a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”[30].
Ebbene, per quanto attiene il requisito di cui alla lettera a), per “stato di ira” è necessario che “l’agente abbia perduto il controllo di sè stesso per mancato funzionamento dei freni inibitori”[31] e dunque questo elemento “di natura soggettiva”[32] “deve concretizzarsi in un impulso emotivo incontenibile che comporta la perdita, da parte dell’agente, del controllo delle proprie azioni per il mancato funzionamento dei freni inibitori, determinato dal fatto ingiusto altrui” e “può consistere anche in un’alterazione emotiva che si protrae nel tempo”[33]. Dovendosi lo stato di ira essere configurato in tale modo, non rilevano invece “i differenti stati psicologici dell’odio o del risentimento che, subentrati con il passar del tempo all’originaria emozione, facciano maturare, in un animo ormai freddo e pacato, attraverso il calcolo e la riflessione, il desiderio della vendetta”[34] o quando si sia commesso il reato per “odio, (…) stizza o (…) risentimento”[35] o, ancora, per “calcolo”[36], per “stizza”[37] oppure nel “caso di rissa o di sfida”[38].
Per quanto invece concerne il requisito di cui alla lettera b), per “fatto ingiusto altrui”, deve intendersi in tal senso ciò che riveste “carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali (e “di costume”[39] ndr.), reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale, non corrispondenti a canoni di civile convivenza”[40] fermo restando che tale “fatto ingiusto deve essere poi caratterizzato da obiettiva ingiustizia”[41] intesa come “effettiva contrarietà alle regole giuridiche, morali e sociali comunemente accettate in un determinato momento storico, a nulla rilevando le convinzioni dell’imputato e la sua sensibilità personale”[42] e tenuto conto che è comunque richiesto che siffatto ingiusto deve essersi comunque “effettivamente verificato, a nulla rilevando l’erroneo convincimento del reo”[43]. A sua volta l’“ingiustizia di tale fatto provocatorio va poi valutata con riferimento ad elementi oggettivi e non soltanto a considerazioni soggettive dell’agente”[44].
Ciò posto, per l’esistenza della provocazione, inoltre, stante il requisito ut supra contrassegnato alla lettera c), “pur non essendo richiesta la proporzione fra l’offesa e la reazione, è pur sempre necessario che la reazione sia in qualche modo adeguata all’offesa, onde lasciar desumere l’esistenza del nesso di causalità tra la condotta ed il fatto ingiusto altrui e non di mera occasionalità”[45] e, per verificare se tale adeguatezza sussista o meno, “il giudice di merito non può limitare l’esame alla condotta ultima della persona oggetto dell’azione delittuosa, ma deve considerare tutta l’eventuale serie di atti contrari a norme giuridiche o a regole primarie di convivenza che si siano succeduti nel tempo ad accertare se questi siano stati idonei, sul piano causale, a potenziare “per accumulo” la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso e tali da assumere rilevanza nel rapporto causale offesa-reazione”[46] fermo restando che ricorre la provocazione “per accumulo” “quando la reazione iraconda esploda a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante, quale conseguenza di un accumulo di rancore determinato dalla reiterazione di comportamenti ingiusti”[47] e, nel qual caso, è necessario che emerga “la prova dell’esistenza del permanere di uno stato di ira in ragione di un fatto che giustifichi l’esplosione, in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si assume sedimentata nel tempo”[48]. Più in particolare, se, come appena visto, la proporzione, nei termini appena precisati, non rileva, pur tuttavia, “la circostanza attenuante della provocazione deve essere negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave (“e macroscopica”[49] ndr.)  da escludere la sussistenza di un nesso causale effettivo e plausibile tra il fatto ingiusto subito e l’azione delittuosa attuata”[50] “nel senso che tale nesso deve essere escluso in presenza di una sproporzione molto consistente tra l’offesa derivante dal fatto ingiusto altrui e la risposta reattiva dell’autore del reato”[51]. Infatti: quando “vi è una macroscopica sproporzione tra l’ingiustizia altrui e il fatto proprio, questa comporta l’esclusione dello stato di ira o comunque il nesso causale tra fatto antecedente e condotta criminosa”[52] dal momento che “l’assoluta sproporzione fra i due termini sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante la invalidità, la vendetta, il malanimo o, comunque, una causale che è slegata dall’eventuale stato d’ira insorto per il fatto ingiusto altrui, così facendo venir meno il nesso di causalità fra eventuale fatto ingiusto altrui e successiva reazione criminale”[53]. Detto questo, va infine rilevato che, se è vero che “il dato temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea”[54], è però altrettanto vero che “l’immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende più evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore a lungo provato”[55].
Precisati quali sono i requisiti che connotano siffatto elemento accidentale, giova osservare come in sede giudiziale sia stata reputata incompatibile tale circostanza, sia “con un reato a condotta abituale, quale quello di maltrattamenti, connotato da comportamenti antigiuridici di analoga natura, reiterati nel tempo”[56], che con il “riconoscimento della circostanza aggravante del motivo abietto (art. 61, n. 1, c.p.)”[57]. Chiarito tale aspetto giuridico, è stato all’opposto asserito che l’“aggravante della premeditazione può conciliarsi con la provocazione nell’ipotesi di una reazione iraconda del soggetto agente ad un fatto ingiusto altrui protratto nel tempo”[58].
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L’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza
Al numero 3) dell’art. 62 c.p. è preveduta la seguente attenuante: “l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza”.
Tal che, perché possa configurarsi tale elemento accidentale, occorre che ricorrano congiuntamente (come si evince dalla congiunzione “e”) le seguenti condizioni: a) l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità; b) il colpevole, per potere beneficiare di cotale circostanza, non deve essere un delinquente o un contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza.
Orbene, quanto al primo requisito, è richiesta “la sussistenza di una riunione imponente e disordinata di individui (e dunque non rileva una “manifestazione preordinata almeno nella fase iniziale, quindi non sorta improvvisamente per moto spontaneo”[59] ndr.) che, per effetto di una spinta emozionale, reagisca in modo improvviso e rumoroso e il mancato concorso nonché la mancata confluenza dell’autore con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato”[60] sempreché “l’autore del reato si sia determinato alla sua condotta illecita perché, trovatosi in mezzo ad una situazione di disordine, ha avuto una minore resistenza psichica alle spinte criminali e si sia, di conseguenza, lasciato andare al compimento di atti illeciti in quanto contaminato dalla fermentazione psicologica per contagio, che si sprigiona dalla folla”[61]. Da ciò deriva che si potrà ritenere che un autore di un reato abbia agito in questo modo ove emerga “l’esistenza di un tumulto, ossia di una manifestazione improvvisa, disordinata, violenta e rumorosa, uno stretto nesso di causalità tra l’azione criminosa e la suggestione della folla, nel senso che la prima sia l’effetto della seconda[62] e che non avrebbe avuto luogo al di fuori della sfera di influenza della suggestione”[63] nel senso che “l’individuo non avrebbe agito in quella maniera se si fosse trovato fuori della sfera di influenza della suggestione”[64] fermo restando che, da un lato, l’“effetto determinante della suggestione deve (…) essere escluso quando il colpevole sia entrato a far parte liberamente del gruppo”[65], dall’altro, la “circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, prevista dall’art. 62 n. 3, cod. pen., presuppone che l’autore del reato non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto di reato”[66]. Inoltre, per quanto attiene il concorso di persone nel reato, “la circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, prevista dall’art. 62 n. 3, c.p., attiene ai motivi a delinquere, sicchè la sua configurabilità deve essere verificata, ai sensi dell’art.118 c.p., in relazione a ciascun imputato e non sulla base di una valutazione omnicomprensiva ed indistinta riferita alle condotte di tutti i concorrenti nel reato”[67].
Ciò posto, per quanto attiene il secondo requisito, come già accennato in precedenza, tale attenuante non può essere configurabile allorché il colpevole sia un delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza e, dunque, per capire quando un delinquente o contravventore possa ritenersi tale, rilevano le seguenti disposizioni legislative: artt. 102 (“E’ dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti. Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive”); 103 (“Fuori del caso indicato nell’articolo precedente, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto”); 104 (“Chi, dopo essere stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporta condanna per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al reato”); 105 (“Chi trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per un altro reato, è dichiarato delinquente o contravventore professionale qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole e alle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato”) e 108 (“E’ dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l’incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice, il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole. La disposizione di questo articolo non si applica se l’inclinazione al delitto è originata dall’infermità preveduta dagli articoli 88 e 89” c.p.) c.p..
La speciale tenuità
Altra attenuante preveduta dall’art. 62 c.p. è quella enunciata al numero n. 4, vale a dire: “l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità”.
Da ciò deriva che questa circostanza, che “ha carattere oggettivo”[68],  non è applicabile a tutti gli illeciti penali atteso che essa riguarda i delitti contro il patrimonio (anche nella forma tentata “quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima”[69]), i delitti che offendono il patrimonio e i delitti determinati da motivi di lucro nella misura cui, per i primi e i secondi, sia stato cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, e per i terzi, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (fermo restando che, per il reato continuato, tale circostanza “va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato”[70] in guisa tale che “le circostanze attenuanti della speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.) (…) si applicano solo ai reati cui si riferiscono”[71]). In particolare, fermo restando che la “concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato”[72] ma “il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi”[73] atteso che il “danno di speciale tenuità coincide con il danno immediato e diretto del reato e non può ritenersi ridotto o riparato in conseguenza di successive condotte risarcitorie”[74] e che, per la sua quantificazione, occorre “far riferimento al danno complessivo cagionato alla persona offesa”[75], nei delitti contro il patrimonio e per quello che offendono comunque il patrimonio, “l’entità del danno dev’essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sè, mentre quello subiettivo e, cioè, il riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo”[76] e, pertanto, quando l’entità del danno, anche se prima facie non sia considerabile come specialmente tenue nel senso che esso “sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza”[77], comunque, “possa rappresentare un pregiudizio per la persona offesa, in ragione delle sue disagiate condizioni economiche”[78]. “L’indagine sulle condizioni economiche della persona offesa è pertanto irrilevante quando il criterio obiettivo induca a escludere la speciale tenuità del danno”[79].
Nei delitti determinati da motivi di lucro, ossia per quei delitti posti in essere “per acquisire, mediante l’azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale”[80], invece, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità è applicabile ad essi “indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela”[81] purché “l’evento dannoso o pericoloso connesso alla lesione patrimoniale possa ritenersi di speciale tenuità”[82] (cioè “la speciale tenuità riguardi sia il lucro (prefigurato o conseguito) sia l’evento dannoso o pericoloso”[83]) e il giudice, in tale caso, “deve valutare, in concreto, la ricorrenza, o meno, della speciale tenuità riferita sia al lucro perseguito o conseguito dall’autore del reato, sia all’evento dannoso o pericoloso causato nel caso di specie”[84].
Ciò posto, chiarito in buona sostanza cosa deve intendersi per speciale tenuità e come e in che termini tale circostanza possa essere configurata, esaminando specifiche tipologie di illeciti penali, per quanto concerne i delitti contro il patrimonio, giova osservare, per dovere di completezza espositiva, come in sede giudiziale sia stato dedotto quanto segue: 1) in “tema di furto, la concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p., ricorre solo quando il danno subito dalla parte offesa, quale conseguenza diretta e immediata del reato, sia di valore economico pressoché irrilevante”[85] e ai “fini dell’integrazione dell’attenuante, invece, non rileva la restituzione della refurtiva”[86] tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, “la durata del danno nel reato di furto assume rilevanza solo come elemento complementare – e non alternativo – di quello del valore della cosa sottratta”[87], dall’altro, nel “caso di pluralità di furti, quando risultino sottratte, in tempi diversi, cose di valore non particolarmente lieve e cose per le quali sia invece oggettivamente configurabile l’attenuante del danno di speciale tenuità, detta attenuante, con riguardo a queste ultime, non può essere esclusa sol perché non risulti accertato se le singole sottrazioni abbiano avuto ad oggetto, ogni volta, solo le cose di tenue valore ovvero anche altre”[88];  2) nel “caso di furto in abitazione, ai fini della valutazione circa l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4), c.p., il giudice deve tenere conto anche del danno morale legato al patimento della vittima per l’intrusione subita nel proprio domicilio”[89]; 3) ai “fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto”[90]; 4) ai “fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. al reato di estorsione, dovendosi fare riferimento al disposto di cui alla seconda parte della citata disposizione normativa, riguardante il caso dei “delitti determinati da motivi di lucro” (attesa la natura plurioffensiva del suddetto reato, produttivo di lesione non solo del patrimonio ma anche della sfera di libertà di autodeterminazione della vittima), non può aversi riguardo alla sola entità del profitto conseguito dall’agente ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione del bene personale conseguita alla condotta violenta o minacciosa dell’agente”[91] dovendosi procedere ad “una valutazione globale del pregiudizio subito dalla parte lesa”[92]: 5) in “tema di delitto di ricettazione la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è compatibile con la forma attenuata del delitto nel solo caso in cui la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto, ipotesi non verificatasi nel caso di specie, nel quale esplicitamente il giudice di primo grado aveva rilevato non potersi doppiamente valutare la medesima circostanza”[93] ma tale circostanza “può essere riconosciuta nella sola ipotesi in cui il giudice escluda la configurabilità dell’attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all’art. 648, comma secondo, cod. pen., sotto il profilo della componente soggettiva del fatto”[94] mentre la “valutazione del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa dal reato (…) non deve avere esclusivo riguardo al valore economico della cosa ricettata, ma deve fare riferimento a tutti i danni patrimoniali oggettivamente prodotti alla persona offesa quale conseguenza diretta del fatto illecito, la cui tenuità o gravità deve essere apprezzata, con giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, in termini oggettivi e nella globalità degli effetti”[95].
Per altre tipologie di illeciti penali, alcuni previsti nel codice penale, altri nelle leggi speciali, è stato invece postulato quanto segue: a) in “tema di reati contro la pubblica amministrazione, ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., la valutazione della speciale tenuità deve riguardare il solo aspetto del danno patrimoniale cagionato dal singolo fatto reato e non la gravità della vicenda nel suo complesso che, invece, rileva ai fini della applicazione della circostanza di cui all’art. 323-bis c.p.”[96] fermo restando che “qualora la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323-bis cod. pen. venga riconosciuta in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma 1, n. 4 c.p.”[97]; b) la “circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art. 62, numero 4, cod. pen. è applicabile anche ai reati contro la fede pubblica, purché il fatto sia commesso per un motivo di lucro e la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro, conseguendo o conseguito, sia l’evento dannoso o pericoloso, dovendosi riferire tale ultima espressione a qualsiasi offesa penalmente rilevante che, tanto in astratto, con riferimento alla natura del bene giuridico tutelato, quanto in concreto, sia di tale modestia da risultare proporzionata alla tenuità del vantaggio che il reo si proponeva di conseguire o ha conseguito”[98]; c) la “circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è incompatibile con il reato di frode nell’esercizio del commercio”[99]; d) il “reato di indebito utilizzo di carte di credito è incompatibile con l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in quanto inteso a salvaguardare, oltre che la fede pubblica, l’interesse pubblico fondamentale a che il sistema elettronico di pagamento sia sempre utilizzato in modo corretto, sicché l’evento dannoso o pericoloso non può dirsi connotato da ridotto grado di offensività e disvalore sociale”[100]; e) la “circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, sia nella previsione della prima che della seconda parte dell’art. 62, n. 4, c.p., è inapplicabile ai reati edilizi in quanto non compatibile con la loro natura contravvenzionale”[101]; f) non “è possibile applicare la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale o dell’aver conseguito un lucro di speciale tenuità ovvero ancora cagionato un danno di lieve entità ai reati di contrabbando il cui interesse protetto non è il patrimonio dello Stato bensì il diritto sovrano alla imposizione e riscossione di tributi”[102]; g) in “tema di diritto d’autore, in relazione al reato di abusiva duplicazione o riproduzione di supporti audiovisivi, previsto dall’art. 171- ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., può ritenersi configurabile nel caso in cui la speciale tenuità riguardi solo il danno e il lucro prodotti”[103] sempreché “ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell’autore del reato, di un lucro di speciale tenuità e quella della produzione, a detrimento della persona offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo di speciale tenuità”[104]; h) in “tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, non è configurabile l’attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità in ragione del modesto importo del compenso corrisposto, o promesso, dallo straniero favorito”[105]; i) la “circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, atteso che detta circostanza attenuante è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti”[106].
Precisato ciò, va infine rilevato che, atteso “il diverso fondamento giuridico fra le circostanze attenuanti previste dagli articoli 62, numero 4, e 62-bis del Cp, non sussiste alcuna contraddittorietà fra la concessione dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale arrecato dal reato e il diniego delle attenuanti generiche”[107].
L’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa
Al numero 5 dell’art. 62 c.p. è contemplata una diminuente di pena consistente nell’“essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa”.
Orbene, siffatta circostanza “è configurabile quando la condotta della persona offesa non soltanto si inserisce nella serie causale di produzione dell’evento, ma si collega anche sul piano della causalità psicologica a quella del soggetto attivo, nel senso che la persona offesa abbia voluto la realizzazione dello stesso evento avuto di mira dall’agente”[108] fermo restando che, da una parte, per “la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5 cod. pen. è necessario che il fatto doloso della persona offesa consista in un comportamento cosciente e volontario diretto alla verificazione dell’evento”[109] mentre, “per contro, è insufficiente il fatto illecito costituente l’occasione e non la causa concorrente del delitto”[110], dall’altra, “l’attenuante in questione trova applicazione ogni qualvolta il fatto doloso dell’offeso è tale che, se non vi fosse stato, non si sarebbe verificato l’evento nella sua forma e gravità, indipendentemente dall’indirizzo della volontà della persona offesa e, quindi, dall’evento (risultato) avuto di mira dal dolo dello stesso”[111].
La riparazione del danno e il ravvedimento operoso
Al numero 6) dell’art. 62 c.p. sono previste due attenuanti. La prima ipotesi consiste nell’“avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni” mentre la seconda si configura nell’“essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”.
Orbene, esaminando tali casi uno per uno, partendo dalla prima, è dunque concessa tale attenuante, applicabile di norma “a qualsiasi reato”[112] . la cui ratio è ravvisabile nella “nella considerazione che l’avvenuto risarcimento del danno o restituzione anteriormente al giudizio si presenta quale manifestazione concreta del sopravvenuto ravvedimento del reo, e quindi della sua minore pericolosità”[113] a nulla rilevando “la mera cessazione della condotta criminosa che non si risolva né in una volontaria riparazione del danno né nell’eliminazione delle conseguenze del reato”[114] e che ha “carattere soggettivo ai sensi dell’art. 70 c.p. in quanto attiene ai rapporti tra colpevole e offeso”[115] ma non “valutabile in favore dei concorrenti che non abbiano attivamente contribuito all’atto riparatorio quantomeno a titolo di regresso “pro quota” nei rapporti interni tra coobbligati ex art. 1299 c.c. o di offerta reale ex art. 1209 c.c.”[116] essendo per l’appunto necessario che, “se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l’altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente o comunque dimostrare di aver avanzato una seria e concreta offerta di integrale risarcimento”[117] – allorchè sia riparato, prima del giudizio, interamente il danno il che può avvenire tramite: a) il risarcimento; b) (se possibile) le restituzioni.
Premesso ciò, fermo restando che, in “tema di continuazione, la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, non occorrendo, per il riconoscimento della detta attenuante, che l’integrale riparazione intervenga a favore di tutte le persone offese dei singoli reati avvinti dal vincolo della continuazione”[118], per quanto attiene cosa debba intendersi per “prima del giudizio”, è stato rilevato in sede giudiziale che questa locuzione deve “intendersi nel senso che il risarcimento o le restituzioni debbono essere effettuate durante il periodo di tempo antecedente all’apertura del dibattimento di primo grado”[119] e: 1) nel “caso in cui il giudizio si svolga con rito abbreviato, la circostanza della tempestività del risarcimento è soddisfatta ove esso avvenga prima che sia emessa l’ordinanza che dispone il rito speciale in parola”[120]; 2) “anche nel giudizio direttissimo è necessario che il risarcimento intervenga prima delle formalità di apertura del dibattimento”[121]; 3) deve “ritenersi tempestivo (…) l’intervento riparatorio effettuato prima della reiterazione delle formalità di apertura del dibattimento, una volta regredito il processo a causa del mutamento del giudice”[122].
Precisato ciò, posto che la riparazione, inoltre, deve essere integrale ossia riparare per l’appunto integralmente il danno, vale a dire tale riparazione “deve essere (…) comprensivo (…) della totale riparazione di ogni effetto dannoso”[123] “ivi compreso il danno morale cagionato alla parte lesa dal reo per ciascuno dei reati commessi”[124] ovvero quello “di natura psichica”[125] anche se le persone offese non si “non siano costituite in giudizio o non siano state identificate, atteso che la materiale difficoltà di rintracciare tali persone non esonera l’agente dall’obbligo del risarcimento”[126] “a nulla valendo le condizioni patrimoniali non abbienti dell’imputato”[127] atteso che la finalità dell’attenuante è quella “di assicurare l’eliminazione degli effetti lesivi della condotta”[128] dovendosi considerare tali quelli non tanto gli interessi civili, quanto piuttosto quelli sintomo della resipiscenza del colpevole e di attenuata sua capacità a delinquere[129]. L’integralità del risarcimento ai fini dell’applicabilità dell’attenuante del risarcimento del danno, inoltre, “deve essere motivatamente accertata dai giudici di merito e non può essere di norma desunta dalla mera affermazione dell’offeso, che dichiari genericamente di essere stato risarcito dei danni subiti e di non aver altro a pretendere dall’imputato, senza indicare precisi elementi che diano al giudice la possibilità di un controllo”[130] o dalla mera “considerazione degli sforzi economici affrontati per effettuarla”[131] o, ancora, dall’esistenza di “un accordo transattivo”[132] tenuto conto altresì del fatto che “il giudice deve fare riferimento a parametri correlati e diretti al fatto reato valutando, in modo congruo, logico e non contraddicono, tutti i pregiudizi (patrimoniali e morali) che il delitto, in relazione al quale vi sia stata costituzione di parte civile, ha cagionato alla parte lesa”[133]. Ad ogni modo, tale riparazione può ritenersi integrale solo nella misura in cui essa “si riferisca (…) a tutti i soggetti danneggiati dal reato”[134]. Il ristoro soltanto parziale, quindi, non rileva nel caso di specie[135] anche nel caso di rateizzazione[136].
Chiarito cosa deve intendersi per “interamente”, vedendo a trattare in cosa può consistere tale riparazione, ed analizzando per prima una delle forme in cui essa può avvenire, vale a dire il risarcimento, va rilevato che tale ristoro, perché possa rilevare per la concessione di questa attenuante, deve essere: I) effettivo nel senso che “la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta, nel rispetto delle prescrizioni civilistiche relative al versamento diretto del danaro o a forme equipollenti che rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso”[137]; II) volontario nel senso che deve essere il frutto della “libera determinazione volitiva dell’imputato”[138] “sicché la attenuante non è configurabile “allorché il risarcimento sia l’effetto, in tutto o in parte (…) dell’opera di terzi, come nel caso di recupero, anche parziale, del compendio delittuoso da parte della polizia giudiziaria o di terzi, senza alcuna collaborazione volontaria del colpevole”[139]; III) non spontaneo “essendo sufficiente (come appena visto ndr.) che si tratti di attività volontaria”[140]. Chiarito quali caratteristiche deve avere il risarcimento perché possa rilevare nel caso di specie, per quanto attiene l’offerta risarcitoria, essa deve essere seria e congrua[141] fermo restando che la “configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. implica, nel caso che la persona offesa del reato non abbia voluto accettare il risarcimento, che il colpevole faccia offerta reale nei modi stabiliti dagli art. 1209 ss. c.c., e cioè che questa sia stata seguita dal relativo deposito o atto equipollente, sicché la somma sia a completa disposizione della persona offesa e successivamente il giudice possa valutare adeguatezza e tempestività dell’offerta, al fine di accertare l’effettiva resipiscenza del reo”[142] nonché “la serietà e la congruità della stessa”[143]. Ad ogni modo, “occorre che la persona offesa sia messa in grado di disporre agevolmente, immediatamente ed incondizionatamente di quanto ha formato oggetto di una offerta non accettata”[144]. Il risarcimento in questione, infine, rileva anche in materia di responsabilità amministrativa degli enti atteso che la “sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: (…) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso” (art. 12, c. 2, lett. a), d.lgs., 8/06/2001, n. 231) ma, nel qual caso, non è configurabile nei confronti dell’ente tale attenuante “qualora il risarcimento sia stato operato dalla persona fisica imputata del reato presupposto”[145].
Altro modo attraverso il quale viene riparato il danno è la restituzione che comunque, come visto anche in precedenza, di per sé considerata, “non comporta di per sé il riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno che deve essere valutato integralmente sia come danno patrimoniale che morale”[146] “anteriormente al giudizio di primo grado”[147]. Orbene, anche essa deve essere “effettiva, integrale, e volontaria”[148] ma non spontanea[149] fermo restando che, se “se il recupero della cosa sottratta sia avvenuto per fatto indipendente dalla volontà del colpevole, come nel caso di sequestro ad opera della polizia, l’attenuante non si applica anche se il soggetto abbia volontariamente risarcito il danno residuo”[150] (salvo il caso in cui “parte della res furtiva sia stata recuperata dalla polizia e la restante parte sia spontaneamente restituita dall’autore del reato, sempre che la preponderanza di quanto restituito rispetto a quanto recuperato possa far ritenere il ravvedimento dell’agente”[151]) atteso che le “restituzioni, per poter essere poste a fondamento della applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., devono aver luogo per spontanea iniziativa del soggetto attivo del reato”[152]. “Non può pertanto essere ravvisata l’esistenza dell’attenuante in caso di abbandono della refurtiva o di recupero da parte del derubato o di terzi, pur quando l’imputato offra di riparare i danni residui – materiali o morali -, poiché gli effetti restitutori si sono già verificati indipendentemente dalla volontà del reo”[153]. Comunque, fermo restando che, nel caso di reato permanente, “l’azione riparatrice, per poter configurare una delle ipotesi attenuative previste dall’art. 62 n. 6 c.p., deve essere posta in essere dopo la cessazione della permanenza del reato e deve essere comunque distinta da essa”[154],  “l’impossibilità totale o parziale delle restituzioni, non impeditiva della applicazione della attenuante, in quanto si sostituisca il risarcimento del danno per equivalente al valore delle cose non restituite, postula in ogni caso che la restituzione non sia già avvenuta per cause non dipendenti dalla volontà del colpevole: essa consiste nell’impossibilità materiale (per perimento fisico o per altre cause) della restituzione da parte del colpevole, riferibile a cose che non ancora siano state restituite, non già nell’impossibilità determinata dalla già avvenuta restituzione ad opera di terzi o per l’intervento della polizia, essendo irrilevante che il colpevole possa avere avuto l’intenzione di restituire nel futuro, non tradotta tempestivamente in concreto per effetto di detto intervento”[155].
Terminata la disamina di questa prima ipotesi di attenuante, tra quelle prevedute al numero 6) dell’articolo qui in commento, va rilevato che essa non è configurabile laddove il reato possa essere estinto per condotte riparatorie secondo quanto sancito dall’art. 162-ter c.p. (“1. Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo. 2. Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma. 3. Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie”).
Venendo a trattare la seconda circostanza preveduta in questo numero, vale a dire quella consistente nel ravvedimento operoso, essa consiste nell’essersi, “prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”. Dunque, fermo restando che per capire cosa deve intendersi per “prima del giudizio” si rinvia a quanto già enunciato in precedenza, tale elemento accidentale – “astrattamente applicabile a qualsiasi reato che abbia dato luogo a un danno risarcibile, qualunque sia l’oggettività giuridica del reato stesso”[156], ma non “alla fattispecie del delitto tentato”[157] (mentre, per il reato continuato, “va esclusa, con riferimento al reato continuato, l’attenuante dell’eliminazione o dell’attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato di cui all’art. 62 n. 6 c.p., nel caso in cui, al momento dell’apertura del giudizio di primo grado, le conseguenze del reato siano state eliminate solo in parte”[158]), e che “è di natura soggettiva e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole, il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato”[159] – non opera se è configurabile il caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56 c.p., vale a dire se l’autore del reato “volontariamente impedisce l’evento” e, a tal proposito, va osservato che lo “schema dell’impedimento volontario dell’evento (cosiddetto recesso attivo) si differenzia da quello dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. (attivo ravvedimento): ed invero nel primo caso, ad attività criminosa compiuta, e mentre è in svolgimento l’ormai autonomo processo naturale (che è in rapporto necessario di causa ed effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima mette capo), l’agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell’evento; nel secondo caso, invece, a reato consumato, e quindi ad evento già verificatosi, interviene il ravvedimento dell’agente che spontaneamente ed efficacemente si adopera per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: il chiaro discrimine tra le due ipotesi è ravvisabile pertanto nella avvenuta oppure no verificazione dell’evento normativo”[160]. Ciò posto, per la sussistenza di siffatto elemento accidentale occorre “che l’azione diretta ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato sia ‘spontanea‘, ossia determinata da motivi interni all’agente, quale che sia la loro natura, e non influenzata in alcun modo da fattori esterni che operino sulla spinta psicologica”[161] “quali l’arresto e lo stato di detenzione”[162] ma “non e’ richiesto il pentimento, cioe’ un fatto interiore di giudizio o di redenzione morale, si’ che la volontà risulti determinata, necessariamente o addirittura esclusivamente, dalla condanna morale del proprio operato”[163] “nè l’attività dell’imputato rivolta alla cessazione della permanenza del reato nè un comportamento confessorio o di semplice collaborazione con gli organi inquirenti”[164] fermo restando che “deve escludersi che la confessione dell’imputato – seguita all’essere stato lo stesso colto in flagrante mentre effettuava consegna di stupefacente – possa di per sè sola essere valutata come un adoprarsi spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”[165] essendo per contro necessario che ad essa si accompagnino “concrete specificazioni, tali da determinare l’elisione o l’attenuazione di tutte quelle conseguenze dannose o pericolose del reato che non siano economicamente risarcibili”[166]. Oltre a ciò, va infine osservato che tale ravvedimento deve essere anche efficace “nel senso che debba aver conseguito il risultato dell’elisione o, quanto meno, dell’attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”[167] le quali a loro volta devono “intendersi esclusivamente quelle concernenti il danno penale causato dal reato stesso e cioè solo quello strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata”[168].
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Note
[1]Cass. pen., sez. I, 11/01/1995, n. 1715.
[2]Cass. pen., sez. I, 10/02/1971, n. 140.
[3]Cass. pen., sez. I, 26/01/1989, n. 1015.
[4]Cass. pen., sez. I, 22/05/1984, in Cass. pen., 1985, 2007; Giust. pen. 1985, II, 504. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 19/06/1979, in Giust. pen., 1980, II, 570; Cass. pen. 1981, 507 (“L’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. è caratterizzata da due elementi: l’intenzione dell’agente di eliminare, mediante la propria azione, una situazione di fatto ritenuta immorale o antisociale e la oggettiva conformità di tale valutazione alla morale e ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato”); Cass. pen., sez. I, 7/06/1978, in Cass. pen., 1979, 1098; Giust. pen. 1979, II, 145 (“La circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale consta di due elementi: l’uno oggettivo e l’altro soggettivo; quest’ultimo deve trovare corrispondenza nell’altro in termini tali da far coincidere le finalità perseguibili dall’agente mediante l’azione delittuosa, con la coscienza etica della collettività circa l’esigenza di una tutela anche col ricorso al delitto”); Cass. pen., sez. I, 2/06/1978, in Riv. pen. 1979, 293; Giust. pen. 1979, 145, II (“La circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale è caratterizzata da un duplice elemento, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo; quest’ultimo consiste nella effettiva esistenza di una particolare situazione di fatto ritenuta immorale od antisociale”); Cass. pen., sez. I, 26/09/1977, in Cass. pen., 1979, 309. Per la giurisprudenza di merito, vedasi: C. Ass. Trapani, 21/10/1987, in Cass. pen., 1988, 545 (“L’ attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale è caratterizzata da due elementi: quello soggettivo, che si concretizza nell’intenzione dell’agente diretta ad eliminare una particolare situazione di fatto ritenuta immorale o antisociale, e quello oggettivo, che si verifica quando il movente sia conforme alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato”).
[5]Cass. pen., sez. I, 16/11/1992, in CED Cassazione penale, 1992.
[6]Cass. pen., 26/03/1979, in Cass. pen., 1980, 1002; Giust. pen., 1980, II, 164. In senso analogo (e più recente), Cass. pen., sez. I, 2/05/1994, in CED Cassazione penale, 1994 (“l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod. pen. è configurabile solo quando i motivi a delinquere corrispondono oggettivamente, e non solo soggettivamente, a stimoli ed impulsi psicologici di elevato significato etico o sociale tali da ottenere la valenza dell’atto delittuoso e da riscuotere il consenso o l’approvazione del comune senso etico o sociale”).
[7]Cass. pen., sez. I, 13/02/1990, in Cass. pen., 1991, I,1765; Giust. pen. 1991, II, 38. Più recente, Cass. pen., sez. VI, 11/12/2019, n. 19764 (“Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività”).
[8]Cass. pen., sez. VI, 11/12/2019, n. 19764. In senso conforme, Cass. pen., sez. IV, 24/09/2013, n. 43991 (“I “motivi di particolare valore morale o sociale” rilevanti ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62, n. 1, del Cp, si possono considerare solo quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva e intorno ai quali vi sia generale consenso”); Cass. pen., sez. I, 29/04/2010, n. 20312 (“I motivi di particolare valore morale o sociale cui l’art. 62, comma 1 n. 1, c.p. riconosce efficacia attenuante sono soltanto quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva, ed intorno ai quali vi sia un generale consenso”); Cass. pen., sez. V, 4/05/2006, n. 21065 (“I motivi di particolare valore morale o sociale rilevanti ai fini della concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. si possono considerare solo quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva e intorno ai quali vi sia generale consenso”).
[9]Cass. pen., sez. VI, 03/02/2021, n.16547. In senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 31/05/2018, n. 27746 (“I motivi di particolare valore morale o sociale ai quali l’art. 62, comma primo, n. 1, cod. pen., riconosce efficacia attenuante sono soltanto quelli sul cui intendimento come tali si registra un generale consenso sociale”).
[10]Cass. pen., sez. I, 22/03/1991, in Cass. pen., 1992, 3049; Giust. pen., 1992, II, 158.
[11]Cass. pen., sez. I, 29/02/1988, in Cass. pen., 1990, I, 1279. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 3/11/1986, in Cass. pen., 1988, 2054; Giust. pen., 1988, II, 42 (“L’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. si realizza allorché il soggetto abbia agito per raggiungere uno scopo nobile conformemente alla morale del tempo e del luogo”); Cass. pen., sez. II, 11/10/1985, in Giust. pen., 1986, II, 698 (“La circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 1 c.p. richiede che l’azione criminosa sia, nell’intenzione dell’agente, diretta ad eliminare una situazione, effettivamente esistente, ritenuta immorale o antisociale ed inoltre che tale movente sia oggettivamente conforme alla morale o ai costumi del tempo e del luogo del reato commesso”); Cass. pen., sez. I, 12/02/1981, n. 3405 (“La circostanza attenuante comune dei motivi di particolare valore morale o sociale richiede che l’azione criminosa sia, nell’intenzione dell’agente, diretta ad eliminare una situazione, effettivamente esistente, ritenuta immorale o antisociale ed inoltre che tale movente sia oggettivamente conforme alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del reato commesso”); Cass. pen., sez. III, 23/01/1980, in Giust. pen., 1980, II, 645 (“Per la sussistenza della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale non è sufficiente che il movente dell’azione sia suscettibile di una valutazione etica positiva, ma è necessario che l’agente abbia operato per realizzare uno scopo spiccatamente nobile ed altruistico conformemente alla morale del tempo e del luogo del commesso reato”).
[12]Cass. pen., sez. I, 24/10/1978, in Giust. pen., 1979, II, 557; Cass. pen. 1980, 1000.
[13]Cass. pen., sez. I, 17/02/1978, n. 5891.
[14]Cass. pen., sez. V, 25/06/1982, in Giust. pen., 1983, II, 151.
[15]Cass. pen., sez. VI, 4/05/2004, n. 26090.
[16]Cass. pen., sez. I, 8/04/2015, n. 20443. In senso analogo, Cass. pen., sez. I, 5/05/1989, in Cass. pen., 1991, I, 1044 (“L’attenuante de qua (…) non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esista soltanto nell’erronea opinione dell’agente, non potendo questa circostanza sottrarsi alla disciplina generale dell’art. 59 c.p. in base alla quale le aggravanti e le attenuanti devono essere considerate nella loro realtà oggettiva per cui nessuna efficacia può avere l’elemento putativo”);  Cass. pen., sez. V, 10/12/1984, n. 714 (“Ai fini dell’applicazione dell’attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale, non è sufficiente la sussistenza di motivi apprezzabili, ma oggettivamente privi di un elevato valore etico o sociale, né la convinzione soggettiva dell’agente di essere spinto da tali motivi, essendo esclusa, in base all’art. 59 cod. pen., ogni rilevanza alla putatività delle attenuanti (o delle aggravanti) che devono sussistere realmente”); Cass. pen., sez. V, 4/02/1980, in Giust. pen., 1981, II, 91 (“La circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p. non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nella erronea opinione dell’agente, non potendosi questa circostanza – anche se di natura esclusivamente psicologica – sottrarre alla disciplina generale dell’art. 59 comma 2 c.p., in base alla quale le aggravanti e le attenuanti devono essere considerate nella loro realtà oggettiva, per cui nessuna efficacia può avere l’elemento putativo”).
[17]Cass. pen., sez. I, 26/09/2007, n. 37352.
[18]Cass. pen., sez. I, 8/02/1988, in Cass. pen., 1990, I, 31; Riv. pen., 1989, 955.
[19]Cass. pen., sez. I, 2/05/1994, in Cass. pen., 1996, 2545.
[20]Cass. pen., sez. IV, 29/01/1990, in Cass. pen., 1991, I, 1354; Giust. pen. 1990, II, 614.
[21]Cass. pen., sez. IV, 3/05/1985, in Cass. pen., 1986, 1069; Giust. pen. 1985, II, 661.
[22]Cass. pen., sez. VI, 11/10/1984, in CED Cassazione penale, 1984.
[23]C. Ass. App. Cagliari, 10/03/1982, in Giur. Merito, 1983, 961.
[24]Cass. pen., sez. 26/03/1979, in Cass. pen., 1980, 1002; Giust. pen. 1980, II, 164.
[25]Cass. pen., sez. I, 8/03/1968, n. 390. In senso conforme (e più recente), Cass. pen., sez. V, 4/07/1991, n. 10644 (“Il movente della gelosia non riveste quelle caratteristiche di altruismo e di nobiltà che costituiscono il presupposto per la configurabilità dell’attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale, prevista dall’art. 62 n. 1, cod. pen., ma al contrario costituisce uno stato passionale sfavorevolmente apprezzato dalla comune coscienza etica, essendo espressione di un sentimento egoistico tutt’altro che nobile ed elevato”).
[26]Cass. pen., sez. II, 27/01/1965, n. 101.
[27]Cass. pen., sez. IV, 3/05/1985, in Cass. pen., 1986, 1069; Giust. pen. 1985, II, 667.
[28]Cass. pen., sez. I, 14/07/1989, n. 13988.
[29]Cass. pen., sez. I, 19/11/2013, n. 51051. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 8/07/2010, n. 29929 (“La possibilità di applicare simultaneamente l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale e quella della provocazione è subordinata all’accertamento, in concreto, della loro ascrivibilità a distinte situazioni concrete, poiché qualora il fatto che ne è alla base sia unico, per il principio del “ne bis in idem” sostanziale che impedisce la reiterata valutazione del medesimo elemento ai fini della riduzione della pena, deve applicarsi una sola delle anzidette circostanze”). In senso parzialmente difforme, Cass. pen., sez. IV, 10/10/1996, n. 11024 (“L’attenuante della provocazione ha carattere di specialità rispetto ai motivi di particolare valore morale o sociale e non può concorrere con gli stessi”). Su tale tema, vedasi anche: Cass. pen., sez. I, 26/10/1992, n. 12056 (“n astratto sussiste compatibilità tra l’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale e l’attenuante della provocazione. In concreto, però, deve essere accertato se esse traggono origine da diverse situazioni di fatto o meno, poiché nel caso in cui il fatto che è alla base sia unico, per il principio di specialità deve applicarsi una sola delle circostanze dette”); Cass. pen., sez. I, 13/01/1970, n. 25 (“Lo stesso fatto può determinare da una parte, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato, motivi di spinta all’azione approvati dalla coscienza etica collettiva e dall’altra, in quanto ingiusto, uno stato d’ira, con il conseguente concorso delle attenuanti previste dallo art. 62, n. 1 e 2 cod. pen.”) [in senso conforme, Cass. pen., sez. I, 5/02/1969, n. 168 (“Lo stesso fatto ben può determinare da un lato, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato, motivi di spinta alla azione approvati dalla coscienza etica collettiva e dall’altro, in quanto ingiusto, uno stato d’ira, con conseguente applicabilita di entrambe le attenuanti previste dall’art 62 n. 1 e 2 cod. pen.”); Cass. pen., sez. I, 8/03/1968, n. 389 (“Lo stesso fatto può determinare da una parte, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato (…), motivi di spinta all’azione approvati dalla coscienza etica collettiva, e dall’altra, in quanto ingiusto, uno stato d’ira, con concorso delle attenuanti previste dall’art. 62 n. 1 e 2 cod. pen.”)].
[30]Cass. pen., sez. I, 25/06/2020, n. 25788. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 27/03/2019, n. 21409 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”); Cass. pen., sez. I, 3/05/2016, n. 29259 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso l’applicabilità dell’attenuante nel caso di omicidio, riconoscendo come sussistente soltanto lo stato d’ira)”); Cass. pen., sez. I, 11/03/2016, n. 16585 (“Ai fini del riconoscimento della disciplina di favore di cui all’art. 62 c.p., comma 1 n. 2, ricorre l’attenuante quando ricorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”); Cass. pen., sez. I, 20/11/2014, n. 50903 (“Per ravvisare l’attenuante di cui all’art. 62 n. 2, c.p., occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva determinata dal “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”); Cass. pen., sez. I, 20/11/2014, n. 50903 (“Per ravvisare l’attenuante di cui all’art. 62 n. 2, c.p., occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva determinata dal “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”);  Cass. pen., sez. I, 9/11/2012, n. 16606 (“Ai fini della configurabilità della provocazione devono ricorrere tre elementi costitutivi : a) lo stato d’ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il fatto ingiusto altrui, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile convivenza; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra le stesse”); Cass. pen., sez. I, 14/11/2013, n. 47840 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”); Cass. pen., sez. I, 8/11/2011, n. 5056 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse”); Cass. pen., sez. I, 7/07/2009, n. 31221 (“Per la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2, c.p., occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse”); Cass. pen., sez. I, 8/04/2008, n. 16790 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse”); Cass. pen., sez. I, 1/02/2008, n. 9775 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo stato d’ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il fatto ingiusto altrui, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile convivenza; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra le stesse”); Cass. pen., sez. I, 16/02/1982, n. 5395 (“La circostanza attenuante della provocazione si configura in presenza di tre elementi: 1) fatto ingiusto altrui, realmente verificatosi; 2) stato d’ira suscitato, da valutarsi con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona in cui è avvenuto il fatto; 3) esistenza di un rapporto di causalità psicologica tra offesa e reazione”).
[31]Cass. pen., sez. I, 4/11/1992, in Riv. pen., 1993, 914; Giust. pen. 1993, II, 565; Cass. pen., 1994, 1839.
[32]Cass. pen., sez. 13/04/1982, 10696.
[33]Cass. pen., sez. I, 22/01/1996, n. 3067.
[34]Cass. pen., sez. I, 8/11/1978, in CED Cassazione penale, 1979. In senso conforme (e più recente), Cass. pen., sez. I, 16/11/1990, n. 16320 (“Condizione essenziale per l’applicabilità dell’attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2 cod. pen. è che il reato sia stato commesso in stato d’ira, come reazione al fatto ingiusto altrui. Ne consegue che non sussiste l’attenuante se l’azione del provocato sia stata commessa sotto l’impulso di uno stato d’animo diverso dall’ira, quale la vendetta, sia pure insorto in correlazione con un fatto ingiusto altrui”).
[35]Cass. pen., sez. I, 8/06/1990, in Giust. pen., 1991, II, 268.
[36]Cass. pen., sez. I, 24/09/1987, n. 11574.
[37]Cass. pen., sez. V, 26/08/1975, n. 11333.
[38]Cass. pen., sez. I, 3/12/1987, in Giust. pen., 1989, II, 147.
[39]Cass. pen., sez. I, 10/06/1994, in Cass. pen., 1996, 806. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 14/03/1984, in Cass. pen., 1985, 868 (“L’attenuante della provocazione richiede il fatto ingiusto altrui ossia una condotta contrastante con norme giuridiche morali o di costume, da cui prende vita lo sconvolgimento emotivo, che diminuisce la forza di inibizione al delitto”).
[40]Cass. pen., sez. V, 13/11/2018, n. 1946.
[41]C.A. Napoli, sez. I, 5/10/2018, n. 6433.
[42]Cass. pen., sez. I, 4/03/2016, n. 39706.
[43]Cass. pen., sez. I, 9/12/1977, in Cass. pen., 1978, 1291.
[44]Cass. pen., sez. I, 15/03/1982, n. 7362.
[45]Cass. pen., sez. I, 30/05/2006, n. 22890. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 30/11/1995, n. 12785 (“senza che vi debba essere un rapporto di proporzionalità tra reazione e fatto ingiusto altrui è comunque necessario che la reazione sia in qualche modo adeguata all’offesa, al fine di lasciar desumere l’esistenza di un nesso di causalità tra i due fatti e non di mera occasionalità”); Cass. pen., sez. I, 10/11/1984, n. 1023 (“La circostanza attenuante della provocazione, benché non richieda espressamente l’elemento della proporzione tra fatto ingiusto altrui e reazione del soggetto agente, esige pur sempre un nesso di causalità fra entrambi i comportamenti, affinché lo stato d’ira dell’aggressore non sia meramente occasionale, ma effettivamente determinato dalla condotta provocatoria della vittima”). In senso analogo, Cass. pen., sez. I, 24/11/1984, n. 4194 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante comune della provocazione, è necessaria la sussistenza di un nesso di causalità psicologica tra il fatto ingiusto altrui e la reazione dell’agente, non essendo sufficiente una relazione di mera occasionalità”).
[46]Cass. pen., sez. I, 14/12/1993, in Cass. pen., 1995, 2528; Riv. pen., 1995, 612; Giust. pen., 1994, II, 756; Giust. pen., 1995, II, 172; Mass. pen. cass., 1994, fasc. 11, 16. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 17/02/1999, n. 203 (“Per stabilire l’adeguatezza tra reazione e fatto ingiusto altrui non può essere valutato soltanto l’ultimo episodio aggressivo a cui l’agente ha reagito, ma deve considerarsi tutta la eventuale serie di atti similari ripetuti nel tempo, idonei a potenziare per accumulo la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso e tali da incidere sul rapporto offesa – reazione”); Cass. pen., sez. I, 15/11/1993, in Cass. pen., 1995, 907; Riv. pen., 1995, 485; Mass. pen. cass., 1994, fasc. 7, 12 (“Pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 c.p., tuttavia la medesima va negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell’attenuante medesima, come lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira”); Cass. pen., sez. I, 4/10/1993, in Cass. pen., 1995, 2885; Mass. pen. cass., 1994, fasc. 8, 74 (“Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione si richiede, dissimilmente dall’esimente della legittima difesa, non la proporzione tra la reazione e l’offesa, ma l’adeguatezza di quella a questa quale esaustivo ed utile parametro di valutazione dello stato d’animo dell’autore, nella considerazione che un’azione eccedente l’adeguatezza non sarebbe conseguente allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui. Ed, al fine di stabilire siffatta adeguatezza, non è consentita una valutazione limitata all’ultimo episodio offensivo al quale l’imputato abbia reagito, dovendosi quella estendere a tutta l’eventuale serie di atti similari ripetuti nel tempo idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva e tali da incidere nel rapporto tra offesa e reazione”); Cass. pen., sez. I, 29/04/1992, n. 6913 (“Per il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, pur se la norma non richiede una proporzione tra reazione ed offesa, è tuttavia necessario che non vi sia una reazione smisurata perché, in tale ipotesi, essa non può ritenersi casualmente dipendente dallo stato d’ira insorto a cagione del fatto ingiusto altrui. Pertanto, al fine di valutare lo stato d’animo e la intenzione del reo, il criterio dell’adeguatezza è parametro utile per poter ritenere la presenza, nell’imputato, di uno stato d’ira come reazione ad un fatto ingiusto altrui. Però, al fine di stabilire ciò, il giudice non può limitarsi a valutare solo l’ultimo episodio, ma deve considerare tutta l’eventuale serie di atti similari ripetuti nel corso del tempo ed accertare se essi siano idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso e tali da incidere sul rapporto offesa-reazione”); Cass. pen., sez. I, 5/07/1991, n. 8133 (“Per il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, ai fini di stabilire l’adeguatezza tra reazione e fatto ingiusto altrui, il giudice non può limitarsi a valutare soltanto l’ultimo episodio aggressivo a cui l’agente ha reagito, ma deve considerare tutta l’eventuale serie di atti similari ripetuti nel corso del tempo, idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell’offeso, tali da incidere sul rapporto offesa-reazione”).
[47]C. A. Taranto, 16/01/2020, n. 1265.
[48]Cass. pen., sez. I, 13/01/2011, n. 4695.
[49]Cass. pen., sez. V, 14/11/2013, n. 604. In senso conforme, Cass. pen., sez. V, 21/11/2012, n. 4359 (“La circostanza attenuante della provocazione di cui all’art. 62, n. 2 c.p. non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato della circostanza attenuante medesima”); Cass. pen., sez. I, 15/07/2010, n. 30469 (“La circostanza attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 c.p. non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato della circostanza attenuante medesima”); Cass. pen., sez. I, 15/11/1993, n. 1305 (“Pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen., tuttavia la medesima va negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell’attenuante medesima, come lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira”).
[50]Cass. pen., sez. I, 5/06/2014, n. 30001.
[51]Cass. pen., sez. I, 21/11/2014, n. 9960.
[52]Cass. pen., sez. I, 16/04/2013, n. 18326.
[53]Cass. pen., sez. I, 16/06/1992, n. 8773. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 14/04/1992, n. 6909 (“Benché per il riconoscimento dell’attenuante della provocazione non si richieda la proporzione tra reazione e offesa, deve tuttavia tenersi conto del criterio dell’adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d’animo e delle intenzioni del reo, in quanto una palese sproporzione sta a significare che una reazione smisurata non è casualmente dipendente dallo stato d’ira insorto a cagione del fatto ingiusto altrui, bensì tradisce malvagità d’animo, odio o risentimento, ossia un sentimento o stato d’animo diversi da quello d’ira”).
[54]Cass. pen., sez. I, 8/04/2008, n. 16790.
[55]Ibidem.
[56]Cass. pen., sez. VI, 5/02/2020, n. 13562.
[57]Cass. pen., sez. I, 11/05/2006, n. 31416.
[58]Cass. pen., sez. I, 1/07/2004, n. 35957. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 7/12/1982, in Cass. pen., 1984, 860; Riv. pen., 1983, 760 (“La circostanza aggravante speciale della premeditazione è compatibile con la circostanza attenuante comune della provocazione, in quanto lo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui può protrarsi per un certo tempo, nel corso del quale bene può essere concepito e mantenuto senza soluzione di continuità fino alla produzione dell’evento, il proposito di uccidere”).
[59]Cass. pen., sez. I, 11/0171988, n. 10234.
[60]Cass. pen., sez. VI, 27/02/2014, n. 11915.
[61]Cass. pen., sez. I, 13/07/2012, n. 42130.
[62]In senso analogo, Cass. pen., sez. III, 13/10/1965, n. 2715 (“Perche’ si abbia l’attenuante dell’aver agito per suggestione della folla in tumulto, oltre agli altri requisiti richiesti dall’art. 62 n. 3 (manifestazione improvvisa, disordinata, violenta) e’ necessario che esista uno stretto nesso di causalità tra l’azione criminosa e la suggestione della folla, nel senso che la prima debba, dal punto di vista psicologico, considerarsi come l’effetto della seconda”).
[63]Cass. pen., sez. I, 11/0171988, n. 10234.
[64]Cass. pen., sez. III, 13/10/1965, n. 2715.
[65]Cass. pen., sez. V, 23/03/1973, n. 4557.
[66]Cass. pen., sez. VI, 27/09/2017, n. 52172. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 2/02/2011, n. 15111 (“La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto non trova applicazione se l’autore abbia concorso e confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato”); Cass. pen., sez. I, 11/10/1989, n. 17154 (“La circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 3 cod. pen. (l’aver agito per suggestione di una folla in tumulto) non è configurabile qualora l’agente abbia concorso e confluito con gli altri per provocare il tumulto e compiere i fatti-reato”). Per la giurisprudenza di merito, in senso conforme, (argomentando a contrario), Trib. La Spezia, 30/06/2014, n. 564 (“La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto non può essere applicata se l’autore abbia concorso e confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il reato”).
[67]Cass. pen., sez. VI, 27/04/2018, n. 54424.
[68]Cass. pen., sez. V, 19/12/2018, n. 4028. In senso analogo, Cass. pen., sez. II, 24/05/1991, in Riv. pen., 1992, 464 (“L’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.) ha natura oggettiva”).
[69]Cass. pen., sez. V, 11/02/2019, n. 13801. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 4/04/2014, n. 22130 (“la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità è applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima”); Cass. pen., sez. II, 4/02/2014, n. 11773 (“Nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità é applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato importato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima”); Cass. pen., Sez. Un., 28/03/2013, n. 28243 (“Nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità, di cui al n. 4 dell’art. 62 c.p., può applicarsi anche al delitto tentato, sempre che la sussistenza della attenuante in questione sia desumibile con certezza dalle modalità del fatto, in base a un preciso giudizio ipotetico che, stimando il danno patrimoniale che sarebbe stato causato alla persona offesa, se il delitto di furto fosse stato portato a compimento, si concluda nel senso che il danno cagionato sia di rilevanza minima”). Sul punto, vedasi anche: Cass. pen., sez. II, 22/05/2009, n. 39837 (“L’apprezzamento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., nel reato tentato deve avere riguardo alle concrete modalità dell’azione e a tutte le circostanze del fatto desumibili dalle risultanze processuali, in modo da accertare che il reato, ove fosse stato consumato, avrebbe cagionato in modo diretto ed immediato un danno di speciale tenuità”). Contra: Cass. pen., sez. II, 29/01/2014, n. 7034 (“In tema di reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità non si applica al delitto tentato, in quanto il danno patrimoniale non è elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa”); Cass. pen., sez. V, 27/01/2010, n. 11923 (“In tema di reati contro il patrimonio, l’attenuante comune del danno di speciale tenuità (art. 62, comma 1, n. 4, c.p.) non si applica al delitto tentato, posto che il danno patrimoniale non è elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa”); Cass. pen., sez. V, 6/10/2005, n. 11142 (“In tema di reati contro il patrimonio, l’attenuante comune del danno di speciale tenuità (art. 62 comma 1 n. 4 c.p.) non si applica al delitto tentato (nella specie tentato furto), posto che il danno patrimoniale non è elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa”).
[70]Cass. pen., sez. II, 8/02/2018, n. 9351). In senso analogo, Cass. pen., sez. II, 1/12/2017, n. 7988 (“Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, non va effettuata in relazione all’importo del danno patrimoniale complessivamente determinato, ma con riguardo a quello cagionato per ogni singolo fatto-reato”); Cass. pen., sez. VI, 12/06/2007, n. 30154 (“Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va effettuata non in relazione all’importo complessivo delle somme contestate, ma con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato”); Cass. pen., Sez. Un., 27/11/2008, n. 3286 (“I reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti. Ne consegue che – rispetto all’aggravante della rilevanza economica del pregiudizio patrimoniale (art. 61, n. 7, c.p.) e dalle attenuanti della speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.) e dell’intervenuto risarcimento (art. 62, n. 6, c.p.) – l’entità del danno e l’efficacia della condotta riparatoria devono essere valutate in relazione ad ogni singolo reato e non al complesso di tutti i fatti illeciti avvinti dal vincolo della continuazione”); Cass. pen., sez. III, 21/10/1993, n. 11035 (“Ai fini dell’applicazione della circostanza di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va commisurata non alla somma globalmente contestata, ma alle distinte ipotesi delittuose poiché – diversamente – la configurabilità dell’attenuante, in base ad uno solo di essi, finirebbe col rendere meno grave anche una o più fattispecie, che tale carattere non presentino”).
[71]Cass. pen., Sez. Un., 27/11/2008, n. 3286.
[72]Cass. pen., sez. II, 22/12/2020, n. 5049. In senso analogo, Cass. pen., sez. II, 30/09/2020, n. 32460 (“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res”); Cass. pen., sez. II, 5/12/2019, n. 4063 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”); Cass. pen., sez. II, 5/10/2017, n. 50660 (“L’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, cod. pen. presuppone che il pregiudizio causato sia di valore economico pressochè irrisorio, sia quanto al valore in sè della cosa sottratta, che per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla parte offesa”); Cass. pen., sez. IV, 19/01/2017, n. 6635 (“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res”, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato”); Cass. pen., sez. V, 1/07/2016, n. 37211 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”); Cass. pen., sez. IV, 13/02/2015, n. 8530 (“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res””); Cass. pen., sez. V, 4/02/2015, n. 7738 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”); Cass. pen., sez. V, 14/01/2014, n. 24003 (“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante: ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res””); Cass. pen., sez. VI, 4/06/2013, n. 30177 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”). Per la giurisprudenza di merito, vedasi: C.A. Roma, sez. III, 15/02/2016, n. 761 (“Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.), è richiesto che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ovvero di valore economico pressoché irrilevante. Ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è, inoltre, necessario considerare, anche il valore complessivo del pregiudizio cagionato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della cosa”); Trib. Trento, 14/03/2017, n. 135 (“Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”).
[73]Cass. pen., sez. II, 13/09/2019, n. 39703. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 28/10/2003, n. 4287 (“Ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi”).
[74]Cass. pen., sez. V, 30/11/2017, n. 9939.
[75]Cass. pen., sez. II, 23/10/2013, n. 3576.
[76]Cass. pen., sez. II, 1/10/2015, n. 2993.
[77]Cass. pen., sez. V, 13/10/2014, n. 49592.
[78]Cass. pen., sez. V, 19/01/2015, n. 34310. In senso analogo, Cass. pen., sez. V, 24/03/2010, n. 20729 (“Per la concessione dell’attenuante di cui al n. 4 dell’art. 62 c.p. può rilevare anche il criterio sussidiario del riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, solo quando il danno, pur essendo di speciale tenuità oggettiva, può costituire un pregiudizio per la vittima, attese le sue disagiate condizioni economiche”).
[79]Cass. pen., sez. V, 31/05/2011, n. 32097. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 21/01/1992, in Cass. pen., 1993, 1102; Giust. pen., 1992, II, 350 (“L’indagine sulle condizioni economiche della persona offesa è (…) irrilevante quando il criterio obiettivo induca ad escludere la speciale tenuità del danno”).
[80]Cass. pen., sez. VI, 15/03/2017, n. 24533.
[81]Cass. pen., Sez. Un., 30/01/2020, n. 24990.
[82]Cass. pen., sez. II, 8/05/2013, n. 28852.
[83]Cass. pen., sez. V, 19/10/2005, n. 43342.
[84]Cass. pen., sez. IV, 12/11/2020, n. 12967.
[85]C.A. Roma, sez. III, 10/02/2017, n. 1126.
[86]Ibidem.
[87]Cass. pen., sez. II, 28/10/2013, n. 3167.
[88]Cass. pen., sez. V, 8/03/1993, in Giust. pen., 1993, II, 690; Mass. pen. cass., 1993, fasc. 7, 114; Giur. it., 1994, II, 756.
[89]Cass. pen., sez. V, 18/06/2019, n. 33504.
[90]Cass. pen., sez. II, 22/06/2017, n. 42536. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 17/12/2015, n. 50987 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto”); Cass. pen., sez. II, 2/12/2014, n. 51583 (“La rapina è un reato plurioffensivo, per cui, per la configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità, non basta che il bene mobile sottratto sia di modesto valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro cui è esercitata la violenza o la minaccia”); Cass. pen., sez. II, 20/01/2010, n. 19308 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto”); Cass. pen., sez. II, 6/03/2001, n. 21872 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art 62, n. 4, c.p.) in riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona (che non coincide necessariamente con il titolare del diritto sulla cosa sottratta) contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto “de quo” ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto”).
[91]Cass. pen., sez. II, 13/09/2018, n. 46504.
[92]Cass. pen., sez. II, 23/10/2013, n. 45985.
[93]Cass. pen., sez. II, 2/07/2020, n. 28870.
[94]Cass. pen., sez. II, 15/11/2019, n. 2890.
[95]Cass. pen., Sez. Un., 12/07/2007, n. 35535.
[96]Cass. pen., sez. VI, 5/07/2018, n. 1313.
[97]Cass. pen., sez. VI, 13/11/2018, n. 3774. In senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 9/06/2011, n. 34248 (“In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., qualora la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323 bis cod. pen. venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen.”).
[98]Cass. pen., sez. fer., 2/08/2016, n. 34651. In senso analogo, Cass. pen., sez. V, 22/06/2015, n. 36790 (“In tema di reati contro la fede pubblica, è configurabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art. 62, n. 4, c.p., purché il fatto sia commesso per un motivo di lucro e la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro, conseguendo o conseguito, sia l’evento dannoso o pericoloso”); Cass. pen., sez. V, 14/10/2014, n. 9248 (“La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è applicabile anche ai reati che offendono la fede pubblica in quanto riferibile, in virtù del tenore testuale assunto dall’art. 62, comma 1 n. 4 c.p. a seguito della modifica introdotta dall’art. 2 l. 7 febbraio 1990 n. 19, a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene tutelato, purché la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro (conseguendo o conseguito dall’agente), sia l’entità dell’evento dannoso o pericoloso subito dalla vittima”); Cass. pen., sez. V, 12/06/2014, n. 44829 (“La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è applicabile anche ai reati che offendono la fede pubblica, purché il fatto sia commesso per un motivo di lucro e la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro (conseguendo o conseguito dall’agente), sia l’evento dannoso o pericoloso”). Contra: Cass. pen., sez. V, 15/05/2013, n. 23812 (“La circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale di cui all’art. 62, comma 1 n. 4 c.p. non è applicabile ai reati contro la fede pubblica”); Cass. pen., sez. V, 21/10/2009, n. 49674 (“La circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale (art. 62, comma 1, n. 4, c.p.) non è applicabile ai reati contro la fede pubblica”).
[99]Cass. pen., sez. III, 9/07/2009, n. 37602.
[100]Cass. pen., sez. II, 18/09/2020, n. 27432. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 18/04/2019, n. 34466 (“Il reato di indebito utilizzo di carte di credito è incompatibile con l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in quanto inteso a salvaguardare, oltre che la fede pubblica, l’interesse pubblico fondamentale a che il sistema elettronico di pagamento sia sempre utilizzato in modo corretto, sicché l’evento dannoso o pericoloso non può dirsi connotato da ridotto grado di offensività e disvalore sociale”).
[101]Cass. pen., sez. III, 17/09/2014, n. 43560. In senso conforme, Cass. pen., sez. III, 8/04/2009, n. 23872 (“La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, sia nella previsione della prima che della seconda parte dell’art. 62 n. 4 c.p., è inapplicabile ai reati edilizi in quanto non compatibile con la loro natura contravvenzionale”); Cass. pen., sez. III, 31/03/1994, in CED Cassazione penale, 1994 (“La circostanza attenuante dal danno patrimoniale di speciale tenuità concerne soltanto i delitti: non è pertanto applicabile alle contravvenzioni edilizie”).
[102]C. A. Roma, sez. I, 1/03/2011, n. 93.
[103]Cass. pen., sez. III, 11/11/2015, n. 7213.
[104]Cass. pen., sez. III, 12/10/2011, n. 2685.
[105]Cass. pen., sez. I, 13/05/2016, n. 9636.
[106]Cass. pen., sez. III, 22/10/2020, n. 1278. In senso conforme, Cass. pen., Sez. Un., 30/01/2020, n. 24990 (“In tema di stupefacenti, la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”); Cass. pen., sez. IV, 21/05/2019, n. 38381 (“La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”); Cass. pen., sez. IV, 15/01/2019, n. 5031 (“La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”); Cass. pen., sez. VI, 31/01/2018, n. 11363 (“La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990”); Cass. pen., sez. VI, 24/11/2016, n. 5812 (“La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990”); Cass. pen., sez. VI, 18/01/2011, n. 20937 (“La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 n. 4 c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l’attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990”).
[107]Cass. pen., sez. VI, 22/05/2013, n. 24554.
[108]Cass. pen., sez. II, 2/03/2018, n. 25915.
[109]Cass. pen., sez. VI, 15/04/1970, n. 963.
[110]Ibidem.
[111]Cass. pen., sez. IV, 30/01/1989, n. 3741.
[112]Cass. pen., sez. VI, 8/10/1993, in Riv. pen., 1994, 628; Giust. pen., 1994, II, 392. Sul punto, vedasi però: Cass. pen., sez. IV, 16/05/2019, n. 27206 (“La circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di omessa prestazione dell’assistenza occorrente dopo un incidente stradale, trattandosi di reato istantaneo di pericolo, in cui il bene giuridico tutelato non è l’integrità della persona ma la solidarietà sociale”); Cass. pen., sez. IV, 27/04/2018, n. 31634 (“La circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza in caso di avvenuto risarcimento delle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato secondo il criterio della c.d. regolarità causale”); Cass. pen., sez. IV, 30/11/2011, n. 47500 (“La circostanza attenuante della riparazione del danno non è applicabile al tentativo di furto, presupponendo essa la consumazione del reato e l’esistenza di un danno conseguente alla sottrazione della cosa”); Cass. pen., sez. III, 13/07/2011, n. 29991 (“La circostanza attenuante della avvenuta riparazione del danno non è applicabile ai reati edilizi quando l’abbattimento volontario dell’opera abusiva sia avvenuto in epoca posteriore all’emanazione dell’ordinanza sindacale che impone la demolizione delle opere, la cui inottemperanza avrebbe determinato l’acquisizione del sito al patrimonio comunale”).
[113]Cass. pen., sez. II, 15/02/1990, in Cass. pen., 1991, I, 1356; Giust. pen., 1990, II, 614.
[114]Cass. pen., sez. III, 6/10/2009, n. 44015.
[115]Cass. pen., sez. I, 5/11/2001, n. 5591.
[116]Cass. pen., Sez. Un., 22/01/2009, n. 5941.
[117]Ibidem.
[118]Cass. pen., sez. IV, 23/11/2017, n. 4616. In senso conforme, Cass. pen., Sez. Un., 27/11/2008, n. 3286 (“In tema di continuazione, la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso”).
[119]Cass. pen., sez. IV, 3/04/1985, in Cass. pen., 1987, 71.
[120]Cass. pen., sez. V, 27/01/2015, n. 13528.
[121]Cass. pen., sez. V, 9/07/2009, n. 41765.
[122]Cass. pen., sez. VI, 3/06/2006, n. 33022.
[123]Cass. pen., sez. IV, 14/07/2011, n. 34380.
[124]Cass. pen., sez. V, 18/06/2019, n. 33504.
[125]Cass. pen., sez. III, 19/03/2013, n. 28753. Contra: Cass. pen., sez III, 13/03/2008, n. 24090 (“In tema di circostanze attenuanti comuni, l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 6 c.p. non è concedibile ove il danno risarcibile sia di natura psichica o morale, in quanto le conseguenze di tale danno non sono suscettibili di spontanea ed efficace elisione od attenuazione”).
[126]Cass. pen., sez. II, 13/02/2015, n. 12607.
[127]Cass. pen., sez. III, 10/01/2017, n. 31250.
[128]Cass. pen., sez. I, 2/02/1998, n. 6490.
[129]In tal senso, Cass. pen., sez. I, 7/12/1977, in Cass. pen., 1979, 311. In senso difforme, vedasi: Cass. pen., sez. III, 18/10/1991, in Cass. pen., 1993, 1408; Giust. pen. 1992, II, 288 (“La circostanza attenuante della riparazione del danno di cui alla prima parte dell’art. 62 n. 6 c.p. non è collegata necessariamente con la cosiddetta resipiscenza del reo, potendo trovare la sua giustificazione in una mera utilità del danneggiante o soltanto nelle ampie disponibilità di quest’ultimo”).
[130]Cass. pen., sez. IV, 7/04/1983, in Cass. pen., 1984, 1106; Giust. pen. 1984, II, 29.
[131]Cass. pen., sez. V, 17/01/2013, n. 13282.
[132]Cass. pen., sez. I, 8/01/2010, n. 5767.
[133]Cass. pen., sez. I, 11/07/2013, n. 33389.
[134]Cass. pen., sez. VI, 6/02/1992, n. 2523.
[135]In tal senso, Cass. pen., sez. V, 28/05/2015, n. 44652 (“Per l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. è necessario che il colpevole prima del giudizio abbia provveduto alla riparazione del danno mediante il risarcimento totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale, avvenuto attraverso la sola restituzione della refurtiva”).
[136]In tal senso, vedasi: Cass. pen., sez. II, 12/02/2021, n. 9877 (“La circostanza attenuante della riparazione del danno non trova applicazione qualora il risarcimento sia corrisposto ratealmente poiché, trattandosi di un ristoro futuro ed aleatorio, esso non è integrale ed effettivo”).
[137]Cass. pen., sez. V, 8/02/2018, n. 21517.
[138]Cass. pen., sez. I, 16/06/1980, in Cass. pen., 1981, 1521; Giust. pen. 1981, II, 162.
[139]Ibidem. Sul punto però vedasi: Cass. pen., sez. IV, 28/11/2017, n. 6144 (“Ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., in caso di risarcimento effettuato da parte di un soggetto diverso dall’imputato, non è sufficiente che tale soggetto abbia con l’imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l’intervento, ma è necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all’adempimento”). Nel caso in cui il danno venga risarcito da un’assicurazione, vedasi: Cass. pen., sez. IV, 4/10/2004, n. 46557 (“In tema di attenuante del risarcimento del danno, alla luce dell’interpretazione adeguatrice dell’art. 62 n. 6 c.p. fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 138 del 1998, deve ritenersi che detta attenuante (da riguardarsi come soggettiva solo relativamente agli effetti mentre, quanto al suo contenuto, è qualificabile come essenzialmente oggettiva), sia riconoscibile anche nel caso in cui il risarcimento sia stato effettuato da un istituto o un’impresa di assicurazione”); Cass. pen., sez. III, 18/10/1991, in Arch. pen., 1992, 61 (“L’attenuante della riparazione del danno, prevista dall’art. 62, n. 6 c.p. è applicabile anche nel caso in cui il risarcimento venga effettuato da un istituto di assicurazioni, in forza di un contratto per responsabilità civile stipulato dall’imputato prima della commissione del fatto. La natura di tale attenuante, infatti, è da ritenersi “oggettiva sotto l’aspetto contenutistico”, qualificandosi attraverso i requisiti dalla integralità e tempestività del risarcimento, del tutto svincolata, quindi da profili di resipiscenza o pentimento dell’imputato, orientandosi, piuttosto sull’interesse della parte offesa ad un integrale e non tardivo ristoro”).
[140]Cass. pen., sez. V, 31/10/2017, n. 57573.
[141]In tal senso, Cass. pen., sez. VI, 25/06/1991, in Cass. pen., 1992, 3031; Giust. pen. 1992, II, 41.
[142]Cass. pen., sez. II, 6/07/2011, n. 36037. In senso analogo (e più recente), Cass. pen., sez. II, 7/11/2017, n. 56380 (“Ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., qualora la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, è necessario che l’imputato proceda ad offerta reale dell’indennizzo ai sensi degli artt. 1209 e ss. cod. civ., in modo che la somma sia a completa disposizione della persona offesa e che successivamente il giudice possa valutare l’adeguatezza e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo”).
[143]Cass. pen., sez. I, 28/04/2006, n. 18440.
[144]Cass. pen., sez. I, 22/02/1994, in Cass. pen., 1995, 2529; Riv. pen., 1995, 776; Giust. pen., 1994, II, 756.
[145]Cass. pen., sez. VI, 9/07/2009, n. 36083.
[146]C. A. Torino, sez. I, 6/06/2012, in Redazione Giuffrè, 2013. Per la giurisprudenza di legittimità, vedasi: Cass. pen., sez. II, 23/10/1981, in Cass. pen., 1983, 277; Giust. pen., 1982, II, 473 (“Ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., occorre che la riparazione del danno sia integrale e, in ogni caso, la semplice restituzione della refurtiva non costituisce integrale riparazione di tutti i danni”).
[147]Cass. pen., sez. I, 29/09/1981, in Cass. pen., 1983, 50.
[148]Cass. pen., sez. II, 7/07/1988, in Riv. pen., 1989, 1193; Giust. pen. 1989, II, 559.
[149]Vedasi in tal senso: Cass. pen., sez. II, 23/06/1994, in Giust. pen., 1994, II, 629 (“La circostanza attenuante comune della riparazione integrale del danno, prevista dall’art. 62, n. 6, prima parte, c.p., non può essere esclusa qualora la persona offesa ometta di precisare se la restituzione del bene oggetto del reato sia stata spontanea o, al contrario, coatta, in quanto effettuata a seguito della denuncia presentata dalla stessa persona offesa. Per la configurabilità della riparazione integrale del danno – a differenza che per l’attenuazione delle conseguenze del reato – è, infatti, sufficiente la volontarietà della condotta, consistente nell’intendimento di eliminare gli effetti dannosi del reato, mentre la spontaneità dell’azione, consistente in una spinta ad agire dettata da motivi interiori di redenzione morale, è prevista solo per il ravvedimento attuoso di cui all’art. 62, n. 6, prima e seconda parte. c.p.”); Cass. pen., sez. II, 31/01/1967, in CED Cassazione penale, 1967 (“La spontaneita’ dell’azione riparatrice e’ richiesta unicamente per la ipotesi della elisione delle conseguenze dannose del reato, mentre per la restituzione delle cose tolte, come per il risarcimento del danno, l’art. 62 n. 6 cod. pen. richiede semplicemente che essa abbia luogo prima del giudizio”).
[150]Cass. pen., sez. II, 18/10/1983, n. 5123.
[151]Cass. pen., sez. VI, 27/08/1986, in Cass. pen., 1988, 1008.
[152]Cass. pen., sez. I, 8/05/1979, in Giust. pen., 1980, II, 344.
[153]Cass. pen., sez. II, 15/05/1984, n. 116.
[154]Cass. pen., sez. I, 16/03/1998, n. 4523.
[155]Cass. pen., sez. II, 27/10/1971, n. 1775.
[156]Cass. pen., Sez. Un., 29/10/1983, in Giust. pen., 1984, II, 131. Vedasi tuttavia: Cass. pen., sez. I, 21/12/1987, in Cass. pen., 1990, I, 33 (“La circostanza attenuante comune prevista dall’art. 62 n. 6, seconda ipotesi c.p., non è configurabile nei reati di danno il cui evento consista nella distruzione del bene giuridico protetto, poiché l’evento medesimo non è più suscettibile di quella eliminazione o attenuazione successiva, da parte del colpevole, che sono caratteristiche dell’attenuante de qua, come nell’ipotesi di omicidio volontario”); Cass. pen., sez. V, 28/01/2020, n. 5723 (“In riferimento alla fattispecie aggravata di cui all’art. 495, comma 2, n. 2, c.p., l’attenuante del ravvedimento attivo, di cui all’art. 62, n. 6, c.p., non può essere applicata nell’ipotesi in cui le mendaci dichiarazioni circa la propria identità personale siano state trasfuse in una sentenza di condanna pronunziata nei confronti del soggetto del quale siano state declinate falsamente le generalità in quanto le condotte riparatorie, eventualmente poste in essere dall’autore del reato, non sarebbero idonee concretamente ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”); Cass. pen., sez. IV, 11/04/2019, n. 18802 (“La circostanza attenuante prevista dall’art. 62, comma 1, n. 6, c.p., implicando che le condotte riparatorie siano efficaci e che quindi concretamente elidano o attenuino le conseguenze dannose o pericolose del reato, non può essere applicata al reato di omicidio colposo, produttivo della irreversibile distruzione del bene giuridico protetto dalla norma”); Cass. pen., sez. V, 8/04/2019, n. 33188 (“La circostanza attenuante dell’attivo ravvedimento di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, seconda parte, cod. pen. – che contempla l’ipotesi dell’essersi, prima del giudizio e al di fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato – si riferisce a conseguenze del reato che non consistano in un danno patrimoniale o non patrimoniale, economicamente risarcibile, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., e, pertanto, non è applicabile ai reati che, come la bancarotta per distrazione, offendano il patrimonio”);  Cass. pen., sez. III, 6/05/2014, n. 37166 (“In tema di violazioni antinfortunistiche, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., che presuppone un comportamento spontaneo ed efficace diretto ad attenuare o elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato, non può essere riconosciuta al datore di lavoro che abbia ottemperato alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza ex art. 20 del D.Lgs. n. 758 del 1994”); Cass. pen., sez. IV, 12/10/1993, in Cass. pen., 1995, 1506; Giust. pen., 1994, II, 471 (“In tema di concorso di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, la collaborazione prestata dall’imputato con le chiamate in correità rese in occasione della confessione non può dare luogo all’applicazione dell’attenuante del ravvedimento attivo di cui all’art. 62 n. 6 c.p. Tale comportamento, infatti, se contribuisce, facendo identificare gli spacciatori, a prevenire ulteriori diffusioni della droga, non elide o riduce il danno sociale derivato dalla perpetuazione, già esaurita, dei reati di detenzione e spaccio di droga, dovendosi intendere per conseguenze dannose o pericolose del reato quelle concernenti il danno penale, strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma, il quale va ravvisato nella salute umana e in un sano sviluppo psicofisico dell’individuo”); Cass. pen., sez. II, 5/04/1991, in Giust. pen., 1991, II, 402; Cass. pen. 1992, 2070 (“L’attenuante di cui all’art. 62 n. 6, seconda ipotesi, c.p. (l’essersi il colpevole adoperato per elidere od attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato) non è applicabile ai reati contro il patrimonio, per i quali l’attenuazione di pena esige l’integrale risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale da parte dell’imputato”).
[157]Cass. pen., sez. I, 14/03/2014, n. 15745.
[158]Cass. pen., sez. III, 30/09/2004, in Foro ambrosiano, 2005, 2, 131.
[159]Cass. pen., sez. VI, 11/05/1989, in Cass. pen., 1991, I, 1766.
[160]Cass. pen., sez. I, 17/01/1996, n. 7033. Vedasi a tal proposito anche: Cass. pen., sez. I, 8/10/2009, n. 40936 (“Lo schema dell’impedimento volontario dell’evento (cosiddetto recesso attivo) si differenzia da quello dell’attenuante di cui all’ art. 62 n. 6 c.p. (cosiddetto attivo ravvedimento): infatti, nel primo caso, ad attività criminosa compiuta, e mentre è in svolgimento l’ormai autonomo processo naturale (che è in rapporto necessario di causa ed effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima mette capo), l’agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell’evento; nel secondo caso, invece, a reato consumato, e quindi ad evento già verificatosi, interviene il ravvedimento dell’agente che spontaneamente ed efficacemente si adopera per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: il chiaro discrimine tra le due ipotesi è ravvisabile pertanto nella avvenuta o meno verificazione dell’evento normativo”).
[161]Cass. pen., sez. V, 12/12/2019, n. 2292.
[162]Cass. pen., sez. V, 9/12/2019, n. 17226.
[163]Cass. pen., sez. II, 27/10/1971, n. 1775.
[164]Cass. pen., sez. VI, 10/02/1990, in Riv. pen., 1991, 147; Giust. pen., 1991, II, 148.
[165]Cass. pen., sez. VI, 19/05/1987, in Cass. pen., 1988, 1634; Giust. pen. 1988, II, 343.
[166]Cass. pen., sez. VI, 29/01/1987, in Cass. pen., 1988, 1412.
[167]Cass. pen., sez. VI, 30/11/1989, n. 4506.
[168]Cass. pen., sez. I, 18/02/1985, in Cass. pen., 1986, 883; Giust. pen. 1986, II, 153. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 17/12/1982, in Cass. pen., 1984, 860 (“Per ” conseguenze dannose o pericolose del reato ” ai sensi dell’art. 62 n. 6 c.p. debbono intendersi esclusivamente quelle concernenti il danno penale causato dal reato stesso e cioè solo quelle strettamente inerenti alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata”).

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