L’astreinte tra processo civile e amministrativo

L’astreinte , ovvero c.d. penalità di mora, è un obbligo imposto dal giudice alla parte inadempiente, di pagare una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento della prestazione dovuta.  Essa presenta i caratteri di una tecnica di coercizione indiretta, ossia d’induzione all’adempimento mediante una pressione a tenere il comportamento dovuto, ma funziona anche come sanzione dell’inadempimento. E, dunque, può dirsi che l’astreinte opera sia come forma di coazione indiretta all’adempimento, sia come strumento sanzionatorio, di applicazione giudiziale, previsto per il caso di inosservanza dell’ordine di adempiere emanato dall’autorità giurisdizionale.
Nel nostro ordinamento, il modello dell’astreinte è stato recepito all’art. 614 bis c.p.c.. La norma, infatti, prevede che, in caso di inadempimento degli obblighi di fare infungibile o di non fare, “con il provvedimento di condanna all’adempimento il giudice fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento stesso. Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.
Anche nel processo amministrativo è stata introdotta la figura dell’astreinte, art. 114, comma 3, c.p.a., con la differenza che la misura è applicabile anche agli obblighi fungibili, suscettibili di esecuzione forzata, e quindi anche alle obbligazioni pecuniarie. Infatti mentre l’astreinte prevista dal codice di procedura civile è adottata con la sentenza di cognizione che definisce il giudizio di merito, la penalità di mora è irrogata dal giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, con la sentenza che accerta il già intervenuto inadempimento dell’obbligo di contegno imposto dal comando giudiziale. Di conseguenza, nel processo civile l’astreinte è ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata al fatto eventuale dell’inadempimento del precetto giudiziario nel termine all’uopo contestualmente fissato; al contrario, nel processo amministrativo l’astreinte, salva diversa valutazione del giudice, può essere di immediata esecuzione, in quanto è sancita da una sentenza che, nel giudizio d’ottemperanza di cui agli artt. 112 seg. c.p.a., ha già accertato l’inadempimento del debitore. Infine l’astreinte disciplinata dal codice del processo amministrativo ha una portata applicativa più ampia rispetto all’omologa misura prevista dal codice del processo civile, in quanto non si è riprodotto nell’art. 114, co. 4, lett. e, c.p.a., il limite della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile, ed è per questo che la giurisprudenza ammette l’applicazione delle penalità di mora anche per le sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro.
L’astreinte, in definitiva, non risponde a una logica riparatoria: essa, al contrario, si configura come sanzione civile indiretta. Trattasi, quindi, di una pena, e non di un risarcimento, che vuole sanzionare la disobbedienza all’ordine del giudice, a prescindere dalla sussistenza e dalla dimostrazione di un danno. Per questo la penalità di mora si cumula con il danno cagionato dall’inosservanza del precetto giudiziale. E l’ammontare della sanzione non è defalcabile dall’importo dovuto a titolo di riparazione.
Al di fuori dell’ambito processuale, è bene sottolineare che l’ordinamento conosce, a fronte dell’inadempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, misure generali e speciali volte a indurre all’adempimento mediante una pressione esercitata sulla volontà dell’inadempiente a mezzo della minaccia di una sanzione pecuniaria, che si accresce con il protrarsi o il reiterarsi della condotta indesiderata.
In particolare, si attribuisce al giudice civile il potere di irrogare sanzioni, in caso di inosservanza di un suo provvedimento di condanna. E’ il caso, ad es.  dell’art. 18, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori, in base al quale il datore di lavoro, in caso di illegittimo licenziamento, è tenuto al pagamento di una somma commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento fino a quello dell’effettivo reintegro ordinato dal giudice; degli artt. 124, comma 2, e 131, comma 2, del codice della proprietà industriale, in tema di brevetti, che prevedono l’adozione di una sanzione pecuniaria in caso di violazione della misura inibitoria applicata nei confronti dell’autore della violazione del diritto di proprietà industriale; l’art. 156 della legge sul diritto d’autore, relativo alla protezione del diritto d’autore, prevede parimenti una sanzione pecuniaria in caso di inosservanza della statuizione inibitoria; l’art. 140, comma 7, del codice del consumo, prevede l’applicazione di sanzioni pecuniarie per il caso di inadempimento del professionista a fronte di pronunce rese dal giudice civile su ricorsi proposti dalle associazioni di tutela degli interessi collettivi in materia consumeristica.
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