L’appello nell’ordinamento civile

L’appello nel processo civile è un mezzo di impugnazione ordinario, disciplinato dall’articolo 339 e seguenti del codice di procedura civile.
Costituisce il più ampio mezzo di impugnazione, perché è riservato alla parte per il fatto di essere rimasta soccombente.
La soccombenza è un elemento indefettibile che integra l’interesse a impugnare.
Soccombente è chi ha ottenuto una tutela inferiore a quella richiesta.
Per rilevare la soccombenza bisogna confrontare due elementi:
Quello che la parte ha chiesto durante l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Quello che le ha dato la sentenza.
Se la tutela ricevuta è equivalente non c’è soccombenza e neanche legittimazione a proporre l’impugnazione.
Con il mezzo di impugnazione in questione è possibile dolersi, sia di vizi in senso specifico che inficiano la sentenza di primo grado (cd. “errores in judicando” e “errores in procedendo”), sia di vizi in senso lato, che sono relativi alla semplice ingiustizia del provvedimento emesso in primo grado.
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L’appello escluso
Con giudizio di appello si possono mettere in discussione le sentenze di condanna pronunciate in primo grado.
Ci sono dei casi nei quali l’appello viene escluso.
Le sentenze non possono essere appellate quando a prevederlo sia la legge o l’accordo tra le parti, oppure se il giudice sia stato incaricato dalle parti consensualmente di decidere secondo equità.
Le sentenze per legge inappellabili
Le eccezioni che la legge prevede sono quelle relative a:
Sentenze emesse in relazione a controversie di lavoro che non abbiano valore superiore a euro 25,82 (art. 440 c.p.c.).
Questo valore si ottiene calcolando l’importo base del credito vantato dal lavoratore, della rivalutazione monetaria e degli interessi.
Sentenze in materia di opposizione agli atti esecutivi (art. 618 c.p.c.)
L’opposizione è lo strumento attraverso il quale si contesta la legittimità dell’esercizio dell’azione esecutiva, vale a dire, il procedimento attraverso il quale il creditore in possesso di un “titolo esecutivo” (es: cambiale, assegno, sentenza definitiva) può aggredire il patrimonio del debitore per vedere soddisfatte le sue ragioni.
Sentenze che il giudice ha pronunciato secondo equità, anziché secondo diritto (art. 114 c.p.c.).
La decisione secondo equità viene definita come il metodo di giudizio con il quale il giudice, nel decidere una controversia, ricorre a metodi di convenienza e di comparazione degli interessi delle parti, indipendentemente dall’applicazione di una norma giuridica.
Sono sempre poteri giurisdizionali basati sulla legge e attraverso la stessa limitati.
Esiste una categoria di sentenze pronunciate secondo equità nelle quali l’appello è ammesso se vengono rispettate determinate condizioni.
Sono le sentenze emesse dal giudice di pace secondo equità necessaria, provvedimenti pronunciati su controversie il quale valore non eccede i 1.100 euro o che non derivano da rapporti giuridici cosiddetti di massa, vale a dire, che derivano da contratti conclusi con la sottoscrizione di moduli o formulari (ad esempio, contratti con le compagnie telefoniche) (art. 113 c.p.c.).
In simili casi la parte che soccombe può proporre appello per violazione di norme sul procedimento, ad esempio per questioni sulla competenza, per violazione di norme costituzionali o comunitarie e di principi regolatori della materia, vale a dire, quelle regole che costituiscono il fondamento della materia stessa oggetto della controversia.
Sentenze che vengono pronunciate sulla nullità del lodo arbitrale, intendendo con il termine lodo arbitrale un negozio giuridico, assimilabile a una sentenza, con la quale si conclude un arbitrato, vale a dire, un metodo alternativo di risoluzione delle controversie.
Attraverso l’arbitrato, si affida a soggetti terzi, chiamati arbitri, l’incarico di risolvere una determinata controversia.
Sentenze che decidono in modo esclusivo in merito alla competenza del giudice.
A esempio, quando la questione andava proposta davanti al tribunale e viene proposta davanti al giudice di pace.
In simili circostanze il giudice si dichiarerà con apposito provvedimento.
Sentenze del giudice d’appello, che non giudica in funzione di giudice dell’impugnazione, ma in relazione a una domanda che gli viene proposta in modo diretto.
Un esempio è il giudizio nel quale le parti chiedono una somma di denaro a titolo di riparazione per un processo molto lungo.
La cosiddetta violazione del principio della ragionevole durata del processo.
Sentenze che accertano in modo preliminare nell’ambito di una controversia su un rapporto di lavoro, l’efficacia, la validità e l’interpretazione di contratti e accordi collettivi che si possono applicare al rapporto stesso, che devono dirimere la lite, perché contengono la normativa applicabile  (art. 420 bis c.p.c.).
L’esclusione dell’appello con accordo tra le parti
L’esclusione dell’appello può anche derivare da un accordo tra le parti.
L’ipotesi si verifica quando la parte che ha ricevuto una sentenza favorevole e la parte soccombente si accordano per non impugnare la sentenza davanti al giudice di secondo grado ma direttamente con ricorso in Cassazione.
In presenza di simili circostanze si parla di ricorso per saltum (art.360 c.p.c.).
Le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno stabilito che l’accordo tra le parti per l’immediata impugnazione della sentenza in Cassazione rappresenta un negozio giuridico processuale, almeno in relazione alla rilevanza della manifestazione di volontà dei dichiaranti, che ha come effetto immediato quello di rendere non appellabile la sentenza oggetto di accordo.
I Supremi Giudici hanno precisato che una sentenza appellabile del tribunale, può essere impugnata con ricorso per Cassazione se le parti sono d’accordo per omettere l’appello.
L’accordo deve essere concluso dalle parti di persona oppure dai loro avvocati difensori con procura speciale attraverso visto apposto sul ricorso dalle altre parti, oppure con la presentazione di un atto separato da unire al ricorso stesso.
La Corte ha evidenziato che se l’accordo non viene concluso dalle parti direttamente o attraverso dei procuratori speciali, il ricorso per Cassazione deve essere dichiarato inammissibile.
Effetti dell’appello
Con l’appello si ha il principio del doppio grado di giurisdizione, vale a dire, un completo riesame della controversia e non esclusivamente un controllo dei vizi.
L’appello si definisce un mezzo di gravame e costituisce un mezzo devolutivo nel quale il giudice di appello viene reinvestito del potere di riesaminare quello che è stato oggetto di esame da parte del giudice di prima istanza.
L’effetto devolutivo è potenziale e non automatico.
Il giudice di appello deve esaminare le questioni che le parti hanno devoluto.
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