L’aliquota IVA sui farmaci veterinari ceduti dal veterinario

Sussistono incertezze in riferimento alla aliquota IVA da applicare ai farmaci veterinari “venduti” in occasione della prestazione professionale. Si rende, pertanto, necessario prendere le mosse dal quadro normativo che ha suscitato la problematica in esame.
Quadro normativo
In primo luogo, corre l’obbligo precisare che il legislatore non parla mai di “vendita” del farmaco da parte del veterinario, bensì di “consegna”. In termini di “facoltà di consegna” si esprimeva anche l’abrogato art. 17 comma 3 del regolamento sul farmaco D.M. 16 maggio 2001 n. 306 prevedendo espressamente che “Il medico veterinario, nell’ambito della propria attività e qualora l’intervento professionale lo richieda, può consegnare al proprietario degli animali le confezioni di medicinali veterinari della propria scorta e da lui già utilizzate, allo scopo di iniziare la terapia in attesa che detto soggetto si procuri, dietro presentazione della ricetta redatta dal medico veterinario secondo le tipologie previste, altre confezioni prescritte per il proseguimento della terapia medesima; restano fermi gli obblighi di registrazione di cui all’articolo 15 del decreto legislativo n. 336 del 1999”.
Pertanto, la possibilità riconosciuta al medico veterinario di consegnare medicinali risultava soggetta a duplice condizionamento, perché subordinata alla consegna all’animale in cura di medicinali della scorta e solo se l’intervento specialistico lo rendesse necessario. Non solo. Tale consegna veniva ammessa esclusivamente in via cautelare, vale a dire in attesa che il proprietario dell’animale si procurasse le altre confezioni per il proseguimento della terapia.
Detta disposizione è stata abrogata dall’entrata in vigore del D.Lgs 193/2006 che tuttavia non ne ha modificato la sostanza, ma definiti i confini. Vale la pena osservare, infatti, che agli articoli 70 e 71 – che espressamente disciplinano la vendita del farmaco veterinario – non compare la figura del veterinario. Viceversa, l’art. 84 regolamenta la possibilità per il veterinario di consegnare il farmaco al proprio cliente con ciò distinguendo nettamente due sfere di azione e di relativa competenza attribuita ai rispettivi professionisti[1]. Infatti, con l’uso del verbo “consegnare”, il legislatore ha inequivocabilmente manifestato la volontà di riconoscere al veterinario facoltà che esulano da qualsivoglia concetto relativo alla cessione (ovvero alla “vendita”) delle confezioni di medicinali veterinari; ancora, giuridicamente, il termine “consegna” è mero atto materiale privo di scopi commerciali e potrebbe, addirittura, essere ispirato a mera liberalità. Peraltro, la ratio della norma risulta coerente con le finalità di cura del medico veterinario che deve essere “al servizio della collettività e a tutela della salute degli animali e dell’uomo” (art.1. cod. Deont. medici veterinari), finalità alle quali sono estranee attività commerciali.
Difficilmente sostenibile è diverso orientamento, posto che la lettera della legge è univoca in tal senso e non lascia spazio ad interpretazioni estensive. Viceversa, si andrebbe a riconoscere al veterinario facoltà di “vendita” del farmaco, cosa che sinora il legislatore non ha riconosciuto in alcun modo, essendo questa prerogativa di altra categoria professionale (cfr. artt. 70 e 71). L’art. 84 DLgs 193/2006 è stato modificato dalla L. Balduzzi (L. 189/2012) che mantiene ferma per il medico veterinario la sola facoltà di consegna del farmaco. Il fatto che la recente riforma in tema di responsabilità professionale (L. Gelli – Bianco 8 marzo 2017 n. 24) – con pretesa di superare le criticità della legge Balduzzi – non sia intervenuta a modificare tale disposizione, è ulteriormente sintomatica della circostanza per cui il legislatore non abbia voluto assumere posizioni contrarie rispetto alla normativa previgente. Forzare il dato letterale e, quindi, giungere a ricomprendere tra i professionisti di cui agli artt. 70 e 71 anche il medico veterinario oltre a contraddire l’espressa volontà del legislatore, condurrebbe ad interpretazioni contra legem.
Alla stregua di quanto sopra dedotto, la consegna di confezioni da parte del veterinario è da ritenere operazione accessoria alla prestazione principale (intervento professionale del veterinario medesimo), accessoria proprio perché non può che essere resa se non in conseguenza della prestazione medica. Tra le due operazioni, infatti, sussiste stretta connessione poiché la consegna del farmaco si effettua “qualora l’intervento professionale lo richieda” e solo a seguito di prestazione professionale (nello stesso senso, cfr. Risoluzione del 04.07.2002 n. 216; Risoluzione 120 del 28.05.2003; pareri dell’Agenzia delle Entrate, ancorché non vincolanti)[2]. In altri termini, deve sussistere rapporto diretto e funzionale tra operazione principale e operazione accessoria e quest’ultima non può avere carattere di rapporto generico con l’operazione principale ed estrinsecarsi con l’effettuazione della prestazione specialistica onde consentirne la liceità.
Tanto precisato, occorre chiarire gli aspetti legislativi della normativa sul farmaco legati alla sua consegna da parte del veterinario. Il rinvio è ai principi generali in materia tributaria. L’ art. 12 comma 1 DPR 633/1972 statuisce che “altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale. Se la cessione o prestazione principale è soggetta all’imposta, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili concorrono a formarne la base imponibile”.
Data la citata accessorietà, la cessione de qua viene assorbita nell’operazione principale e, quindi, non solo rientra nello stesso imponibile, ma attrae anche la stessa aliquota. In altri termini, all’operazione accessoria si applica la stessa aliquota IVA dell’operazione principale svolta dal professionista che, allo stato, è pari al 22%.
Valga la pena osservare, peraltro, che per la professione medico veterinaria è previsto un unico codice di attività 75.00.00 (servizi veterinari), ragion per cui tutte le prestazioni rientrano in tale codice, sicché sono soggette alla stessa aliquota IVA.
Unica voce fuori dal coro è rappresentata dal parere dell’Agenzia delle Entrate (prot. n. 2004/164942) a seguito di richiesta avanzata dalla FNOVI con nota n. 1054/2002 ove si legge che la cessione del farmaco “non dipende sotto il profilo funzionale dalla prestazione medica resa dal professionista che si completa esclusivamente tramite l’effettuazione della diagnosi, individuazione della terapia più adeguata ed esclusivamente tramite la somministrazione del farmaco al momento della prestazione medica”. Aderendo a detta interpretazione, le cessioni effettuate dal veterinario verrebbero ad essere fatturate separatamente rispetto alle prestazioni professionali. La doppia fatturazione potrebbe avere l’effetto di dimostrare documentalmente la distinzione non solo del lato fiscale, ma anche delle prestazioni rese (una sanitaria, l’altra di vendita). Infatti, se si esponesse in fattura il farmaco consegnato con aliquota diversa da quella delle prestazioni medico veterinarie (attualmente 22%), si effettuerebbe una vera e propria attività commerciale di vendita del farmaco, attività espressamente ed esclusivamente riservata a farmacie e parafarmacie. In altri termini, si contravverrebbe a quanto prescritto all’art. 70 comma 1 DLgs 193/2006, con conseguente rischio di configurare ipotesi di abuso di professione. Vale la pena osservare, infatti, che quella dei farmacisti è categoria professionale abilitata all’esercizio previo superamento di esame di Stato e successiva iscrizione al relativo albo diverso rispetto a quanto previsto dal legislatore per i veterinari.
Conclusione
Alla luce di quanto sopra illustrato in punto di diritto, parrebbe doversi escludere la possibilità per il veterinario di vendere –vale a dire, di consegnare verso corrispettivo del prezzo – il farmaco veterinario. Ciò in quanto, lo si ribadisce, forzare il chiaro ed univoco tenore letterale della norma, porterebbe ad interpretazioni contrarie alla volontà del legislatore e, quindi, contrarie alla legge.
[1] Art. 70 comma 1 D.Lgs. 193/2006 “La vendita al dettaglio dei medicinali veterinari è effettuata soltanto dal farmacista in farmacia e negli esercizi commerciali di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ancorche’ dietro presentazione di ricetta medica, se prevista come obbligatoria. La vendita nei predetti esercizi commerciali e’ esclusa per i medicinali richiamati dall’articolo 45 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni”.
Art. 84 comma 3 D.Lgs. 193/2006 “Il medico veterinario, nell’ambito della propria attività e qualora l’intervento professionale lo richieda, può consegnare all’allevatore o al proprietario degli animali le confezioni di medicinali veterinari della propria scorta e da lui già utilizzate, allo scopo di iniziare la terapia in attesa che detto soggetto si procuri, dietro presentazione della ricetta redatta dal medico veterinario secondo le tipologie previste, altre confezioni prescritte per il proseguimento della terapia medesima; restano fermi gli obblighi di registrazione di cui all’articolo 15 del decreto legislativo di attuazione della direttiva n. 2003/74/CE”.
[2] Le note dell’Agenzia delle Entrate o di altro Ente – come il Gruppo di Lavoro F.N.O.V.I. – non hanno valore di legge, cfr. Cass. – Sez. Unite civili – sentenza 9 ottobre – 2 novembre 2007 n. 23031.
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