La struttura sanitaria è responsabile della caduta accidentale del paziente a rischio, a meno che non provi di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare l’evento lesivo
di Pier Paolo Muia e Sara Brazzini
La struttura sanitaria è responsabile della caduta accidentale del paziente a rischio, a meno che non provi di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare l’evento lesivo.
Oggetto: risarcimento danni da responsabilità medica
Esito del giudizio: accoglimento
Riferimenti normativi: artt. 1218, 1228 e 2043 c.c.
ll fatto
Con la Sentenza n°12033 pubblicata il 13.06.2017, il Tribunale di Roma è intervenuto all’esito di un giudizio instaurato dal coniuge e dalle figlie di un uomo deceduto a seguito di gravi lesioni subite mentre si trovava ricoverato presso una casa di cura.
In particolare, le attrici esponevano che a seguito di intervento chirurgico l’uomo veniva ricoverato ai fini riabilitativi presso la struttura convenuta, ove veniva prescritta la necessità di spondine da letto al fine di evitare cadute accidentali del medesimo, tenuto conto che l’uomo aveva importanti disturbi dell’equilibrio e necessitava di assistenza nell’igiene personale e nello svolgimento degli atti quotidiani.
Durante il ricovero, l’uomo cadeva dal letto, riportando gravi lesioni, e veniva pertanto trasportato d’urgenza presso un ospedale dove veniva operato e ricoverato in terapia intensiva e decedeva poco dopo.
In considerazione di quanto sopra, le attrici evidenziavano la responsabilitá della casa di cura, per non aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare la caduta del paziente, nonostante fossero note le precarie condizioni del medesimo. Conseguentemente, le attrici chiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali, quali le spese sostenute per il decesso dell’uomo e il mancato apporto finanziario futuro dell’uomo alla famiglia, nonchè dei danni non patrimoniali, iure hereditario e iure proprio.
La casa di cura si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto delle domande attoree, evidenziando che l’uomo aveva scavalcato le spondine del letto, regolarmente alzate, mentre nessuna altra cautela avrebbe dovuto essere adottata, in quanto il paziente era rimasto vigile durante tutto il ricovero.
La decisione
Preliminarmente, il giudice romano ha ribadito che la responsabilitá della struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può derivare in particolare: (i) dall’inadempimento di obbligazioni direttamente gravanti sulla stessa (art. 1218 c.c.), quali la messa a disposizione del personale ausiliario e paramedico, nonché delle attrezzature necessarie anche nei casi di emergenza; (ii) dall’inadempimento della prestazione medica svolta dal sanitario, quale ausiliario della struttura (art. 1228 c.c.).
Il giudicante ha pertanto evidenziato che il paziente deve provare la sussistenza del rapporto contrattuale e limitarsi ad allegare un inadempimento in astratto idoneo a causare il danno, mentre grava sul medico e sulla struttura sanitaria dimostrare che l’inadempimento non vi è stato o che è dipeso da causa non imputabile, o, infine, che non è stato causalmente rilevante.
Il giudice ha altresì precisato che deve applicarsi il criterio del “più probabile che non” ai fini dell’accertamento del nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno subito dal paziente.
Tenuto conto che inoltre le attrici avevano formulato una richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali subiti anche iure proprio, il giudice ha sottolineato che con riferimento a tale profilo, non sussistendo alcun contratto tra le medesime e la struttura sanitaria, doveva trovare applicazione la disciplina della responsabilità extracontrattuale e conseguentemente spettava alle attrici danneggiate provare il fatto, il danno e il nesso di causalità.
Alla luce di tali considerazioni, il giudice si è dunque occupato di esaminare il caso sottoposto al suo esame, rilevando anzitutto che il punto oggetto di contestazione tra le parti era rappresentato dalle modalità della caduta dell’uomo e dall’effettiva adozione delle spondine da letto la sera della caduta.
A riguardo, rilevato che il relativo onere probatorio gravava su entrambe le parti in causa in quanto le domande attoree si fondavano sia sulla responsabilità contrattuale (per i danni non patrimoniali) sia sulla responsabilità extracontrattuale (per i danni patrimoniali) della casa di cura, il giudicante ha analizzato le dichiarazioni rilasciate dai testimoni di parte attrice e di parte convenuta.
All’esito, il giudicante ha conclusivamente osservato che, pur non potendo ricostruirsi un quadro certo della dinamica della caduta attese le contraddizioni delle testimonianze, era comunque emerso dall’istruttoria che al momento della caduta dell’uomo le spondine del letto non erano alzate.
In considerazione di ciò, il giudice, sulla scorta delle risultanze della Ctu, ha evidenziato che: (i) la caduta dell’uomo era ampiamente prevedibile sulla base dei fattori di rischio emergenti dalla documentazione sanitaria, quali disturbi nell’equilibrio e nella deambulazione, nonché precedenti episodi di abbandono del letto; (ii) l’uomo era inoltre un paziente eccezionale, a rischio, in quanto assumeva farmaci anticoagulanti.
Il giudice ha pertanto concluso affermando la responsabilità della struttura per la caduta, in quanto la stessa era a conoscenza che il paziente non era autonomo, era a rischio di caduta ed altresì sottoposto a terapia farmacologica anticoagulante, tanto che era stata prescritta l’adozione delle spondine, ma ciononostante, la sera dell’evento lesivo: (i) o l’uomo non era collocato a letto e avrebbe necessitato pertanto di assistenza nella deambulazione; (ii) o l’uomo aveva abbandonato il letto perché le spondine non erano alzate.
Il giudice ha dunque liquidato il danno da perdita del rapporto parentale subito iure proprio dalle attrici, applicando le tabelle romane, mentre ha escluso la sussistenza del danno c.d. catastrofale, rappresentato dalla sofferenza psichica subita dal danneggiato per la percezione dell’approssimarsi della propria morte, in quanto l’uomo era entrato in coma un’ora dopo la caduta, rimanendo in tale stato fino al decesso.
Infine, il giudice ha liquidato il danno biologico terminale, ovvero il danno da invalidità totale temporanea subito dall’uomo, e, sull’ammontare complessivo dei danni liquidati, ha operato un riduzione in misura pari al 20%, in considerazione del pregesso stato di salute dell’uomo.
Da ultimo, il giudice ha liquidato altresì il danno patrimoniale subito dalle attrici, ivi compreso il pregiudizio da lucro cessante per il mancato futuro apporto finanziario dell’uomo alla famiglia, parametrato all’ammontare mensile netto della pensione percepita dall’uomo (detratto il 25% che il giudicante ha presunto sarebbe stato destinato dall’uomo per propri personali bisogni) moltiplicato per gli anni che si può presumere egli avrebbe ancora vissuto considerando la sua condizione clinica (ulteriori 10 anni).
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