La struttura del reato
Il reato in senso formale o giuridico, è quel fatto giuridico, infrattivo della legge penale (principio di legalità), espressamente previsto dal legislatore e al quale l’ordinamento giuridico ricollega come conseguenza, una sanzione (pena).
In relazione alla struttura, il reato è quel fatto umano attribuibile al soggetto (principio di materialità) offensivo di un bene giuridicamente tutelato (da una lesione o, in alcuni casi, anche da una intimidazione) sanzionato con una pena ritenuta proporzionale alla rilevanza del bene tutelato, in cui la sanzione svolge la funzione di rieducazione del condannato.
Il reato, previsto, disciplinato e sanzionato dall’ordinamento giuridico si distingue dall’illecito amministrativo e dall’illecito civile per la diversa natura della sanzione prevista.
Gli elementi essenziali del reato (in assenza dei quali lo stesso non esiste) sono:
Il fatto tipico (condotta umana, evento e nesso di causalità che lega la condotta all’evento)
La colpevolezza (imputazione soggettiva del fatto che si risolve in un giudizio di colpevolezza)
L’antigiuridicità (contrasto tra la norma e il fatto) (teoria della tripartizione che si differenza da quella della bipartizione proprio per la presenza dell’antigiuridicità dell’illecito).
Secondo questa concezione è reato l’illecito penale, cioè la violazione di una norma che prevede come sanzione una delle pene previste dall’articolo 17 del codice penale:
I delitti prevedono come pena l’ergastolo, la reclusione e la multa
Le contravvenzioni prevedono come pena l’arresto e l’ammenda.
Questa distinzione è rilevante sul piano applicativo per il criterio di imputazione soggettiva, salvo diversa disposizione legislativa si risponde per i delitti a titolo di dolo mentre nel caso delle contravvenzioni si può essere chiamati a rispondere indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, il tentativo, stituto giuridico non applicabile alle contravvenzioni, e le cause di giustificazione o scriminanti.
Le contravvenzioni derivano dai cosiddetti reati di polizia con i quali si esprimeva la regolamentazione disciplinare della vita associata.
Sono “mala quia prohibita” (male perché proibiti), cioè repressi in rapporto alle mutevoli esigenze di comune ordine e sicurezza.
I delitti sono reati che violano norme a tutela di diritti naturali.
Sono “mala in se” (male in sé), cioè lesivi di un bene preesistente.
Per essi è necessario il dolo, mentre per le contravvenzioni basta anche la colpa.
Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del reato in base alla quale è tale il fatto socialmente pericoloso anche se non espressamente previsto dalla legge, ne deriva che sono punibili le condotte socialmente pericolose anche se non sono criminalizzate dalla legge.
Questa concezione annulla la certezza del diritto e le garanzie per i cittadini e per questo motivo i paesi democratici e liberali hanno adottato una nozione formale del reato.
In senso formale e sostanziale, è un fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali, sempre che la misura dell’aggressione sia tale da fare apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un’efficace tutela.
Nel diritto italiano il reato è distinto in dottrina secondo classificazioni di ampia portata, alcune delle quali sono di comune condivisione, mentre di altre non è sufficientemente riconosciuta la validità (o l’opportunità) teoretica e restano come tracce convenzionali.
La classificazione dei reati (come molti altri argomenti del diritto) non si presenta esente dalle insidie di interpretazioni potenzialmente viziate da visioni filosofiche o ideologiche ed anche è suscettibile di variazioni nel tempo.
Conviene considerare la preminenza dell’aspetto di convenzionalità attuale nell’elencazione di alcuni tra i principali tipi classificabili.
La divisione principale della categoria del reato è quella che distingue i delitti dalle contravvenzioni.
Questa divisione risale al codice toscano del 1853 ed è stata accettata senza modifiche dal Codice Zanardelli del 1889 e dal Codice Rocco del 1930.
Il criterio distintivo delle due categorie accolto dal codice penale attualmente vigente è di natura formale.
Stabilisce l’articolo 17 del codice penale che:
Sono delitti i reati al quale verificarsi l’ordinamento penale ricollega (o ricollegava) le pene seguenti:
la pena di morte, la pena capitale era prevista per alcuni delitti molto gravi sino al 1944, poi sostituita con l’ergastolo e definitivamente esclusa anche in caso di legge penale di guerra con la modificazione del comma 4 dell’articolo 27 della Costituzione avvenuta con la legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1.
L’ergastolo, la reclusione, la multa.
Sono contravvenzioni i reati al cui verificarsi l’ordinamento penale ricollega le pene seguenti: L’arresto e l’ammenda.
La distinzione ha notevole rilievo pratico sotto diversi aspetti.
Mentre per i delitti si risponde a titolo di dolo, e solo se espressamente previsto dalla legge penale a titolo di colpa, per le contravvenzioni si risponde indifferentemente per dolo o per colpa. Inoltre, il tentativo è configurabile esclusivamente per i delitti (delitto tentato).
Delitti: forme più gravi di illecito penale
Contravvenzioni: meno gravi
La dottrina si è sforzata di rinvenire un criterio sostanziale di differenziazione tra delitti e contravvenzioni, una ricerca questa influenzata da concezioni politico criminali di volta in volta dominanti.
Oggi la differenza poggia su un criterio quantitativo, ossia una distinzione che opera sulla base di maggiore e minore gravità.
La rivalutazione dell’illecito amministrativo introdotta con la legge n. 689/1981 di depenalizzazione, giustifica l’interrogativo se non sia opportuno superare la vecchia bipartizione trasferendo in blocco l’intero settore degli illeciti contravvenzionali nel campo degli illeciti puniti con sanzione pecuniaria amministrativa.
Un’eventuale trasformazione appare sconsigliabile da un lato politico criminale perché ci sono illeciti posti in una posizione intermedia.
Il mantenimento della differenziazione può trovare giustificazione nell’esigenza di configurare modelli di disciplina penale differenziati in funzione delle particolarità strutturali di determinati illeciti.
La Circolare del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 febbraio 1986 stabilisce criteri orientativi per la scelta tra delitti e contravvenzioni.
Le contravvenzioni dovrebbero circoscriversi a due categorie di illeciti.
Fattispecie di carattere preventivo cautelare finalizzate a tutela di beni primari
Fattispecie relative alle discipline di attività sottoposte a potere amministrativo per pubblico interesse.
La non punibilità del tentativo è giustificata dal primo tipo.
La circolare esclude che il criterio di distinzione tra illeciti delittuosi/contravvenzionali, possa fare sempre leva sul parametro quantitativo della maggiore o minor gravità dell’illecito.
Sul piano del diritto positivo vigente, la distinzione più sicura è quella di natura formale che fa leva sul diverso tipo di sanzioni comminate.
L’articolo 39 del codice penale stabilisce, “I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice” e l’articolo 17 stabilisce, “Pene principali per i delitti, ergastolo, reclusione, multa.
Pene principali per le contravvenzioni, arresto e ammenda”.
Nei delitti, richiede dolo e la punibilità a titolo di colpa rappresenta l’eccezione;
Nelle contravvenzioni, si risponde indifferentemente a titolo di dolo/colpa a meno che non si versi in casi eccezionali nei quali è la struttura del fatto contravvenzionale a richiedere o uno o l’altro.
Il tentativo è configurabile nei delitti.
A seconda della figura soggettiva di chi lo commette, il reato può essere distinto in proprio o comune:
Il reato comune può essere commesso da chiunque.
Il reato proprio può invece essere commesso soltanto da colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla norma, o possieda un requisito necessario per la commissione dell’illecito.
Il peculato e la concussione, ad esempio, possono essere commessi solo da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio poiché la ratio specifica della norma consiste evidentemente proprio nell’evitare che il pubblico ufficiale o l’i.p.s. commettano azioni illecite profittando della loro posizione, mentre la ratio generale intende preservare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.
Altrettanto, il delitto di falsa perizia può essere commesso dal perito.
I reati propri, a loro volta, si distinguono in due categorie:
I reati propri esclusivi, in cui il fatto costituisce reato se commesso dall’intraneus, mentre è penalmente irrilevante se commesso da chi non possiede tale qualifica. Si pensi alla falsa testimonianza (ex art. 372 c.p.) il quale autore può essere il testimone.
I reati propri non esclusivi, nei quali il fatto è penalmente illecito indipendentemente dal suo autore. Quando a commetterli è un soggetto che riveste una determinata qualifica, il reato “muta titolo”, acquistando un nomen iuris e una gravità diversi dall’ipotesi comune.
La qualità personale necessaria per il reato proprio può essere permanente oppure temporanea (o episodica), come nel caso del testimone in un procedimento giudiziario il quale, anche se non trovandosi evidentemente stabilmente nella condizione di teste (non si dovrebbe trattare di una condizione frequente), può commettere il reato proprio di falsa testimonianza durante quel breve tempo nel quale rivesta questa funzione.
Anche la situazione nella quale si commette l’illecito può essere permanente o temporanea, l’elettore che entri armato in un seggio elettorale può commettere quel reato proprio quando un seggio è presente ed esiste per i pochi giorni di voto e di spoglio.
La situazione soggettiva dell’autore del reato proprio può essere assoluta o relativa.
È assoluta quella condizione che una volta acquisita ha valore agli effetti dell’ordinamento, come per il caso del detto pubblico ufficiale, che tale è per l’universalità dei componenti la comunità che ne riconosce la carica e la funzione.
È relativa quella condizione che ha valore per alcuni altri appartenenti alla medesima comunità, ma non per altri, come accade nell’infanticidio per la madre che cagiona la morte del proprio neonato (essa è l’unica madre di quel neonato, può essere madre di altri soggetti, ma non è madre di chiunque, la condizione dell’autore è dunque relativa al soggetto passivo del reato).
Da alcuni viene menzionato anche l’esempio dell’incesto, che consiste in una congiunzione carnale compiuta fra soggetti legati da vincoli di sangue o di affinità, sebbene questo reato sia più spesso e più a proposito menzionato per esemplificare quelle azioni umane normalmente lecite che divengono reato in presenza di particolari qualità dell’autore, e in questo caso divengono reato proprio.
Ci sono azioni umane che costituiscono sempre reato, ma che a particolari condizioni divengono reato proprio,l’uccisione di un neonato è generalmente un omicidio, salvo che sia commessa dalla madre del neonato, nel qual caso diviene il già ricordato reato proprio di infanticidio.
A seconda della natura e del momento consumativo del reato, in pratica della durata dell’illecito, e sotto l’aspetto degli effetti dell’azione delittuosa, il reato può essere istantaneo, permanente, continuato, abituale o professionale.
Il reato istantaneo si ha quando la condotta con la quale si viola la norma (si produce l’offesa al bene o valore tutelato dalla norma penale incriminatrice) si compie in un unico momento, in un’unica frazione di tempo, come accade ad esempio per il reato contravvenzionale di spari in luogo pubblico.
Nel reato è permanente se l’evento lesivo e la sua consumazione perdurino per un determinato lasso di tempo, come accade per il sequestro di persona.
Il reato abituale è caratterizzato da pluralità di condotte, che il legislatore considera in modo unitario come una condotta unica.
Un esempio di questo tipo è il reato di maltrattamenti in famiglia o la relazione incestuosa.
Questo non toglie però che ogni singolo atto possa rilevare penalmente autonomamente (ad esempio le eventuali percosse o ingiurie subite in famiglia o la singola unione carnale tra parenti al fine di determinazione dell’incesto).
Nel reato di mera condotta, la fattispecie punisce il fatto di avere tenuto una determinata condotta. L’evento in questa tipologia di reato è conseguenza possibile, ma non necessaria per la configurazione del reato (non è necessario lo studio del nesso di causalità da parte del giudice).
Ne è un esempio l’omissione di soccorso, viene punita la condotta, al di là delle conseguenze della stessa.
Il legislatore differenzia i reati anche dal punto di vista dei mezzi utilizzati, si distinguono i reati a forma vincolata e i reati a forma libera.
I reati a forma vincolata sono quei reati per i quali la norma penale descrive un’azione connotata da specifiche modalità. In questo caso il bene protetto dalla norma penale è tutelato penalmente solo contro determinate modalità di azione e non altre (ad esempio, la truffa per essere tale, richiede artifizi o raggiri per essere puniti.)
I reati a forma libera sono i reati nei quali la fattispecie è descritta in relazione all’evento, potendo essere le più varie le modalità della azione (ad es. la norma penale che punisce l’omicidio tutela il bene della vita indipendentemente dalle modalità di aggressione).
In relazione all’offesa arrecata al bene giuridico protetto dalla norma penale si distinguono i reati di danno e i reati di pericolo.
I reati di danno si configurano quando l’evento giuridico si sostanzia nella effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice.
I reati di pericolo che si hanno nell’ipotesi in cui l’evento giuridico si sostanzi nella mera messa in pericolo del bene o valore tutelato dalla norma penale.
In questo caso la tutela offerta dal diritto penale ai beni giuridici è anticipata perché viene anticipata la stessa soglia di tutela del bene.
Si distingue anche tra reati di pericolo concreto e reati di pericolo presunto
I reati di pericolo concreto sono quelli nei quali il giudice valuta in base a un giudizio ex ante la concreta pericolosità della condotta incriminata verso il bene giuridico tutelato.
Il pericolo è per questi reati un elemento costitutivo della fattispecie.
I reati di pericolo presunto sono quelli nei quali la condotta viene sanzionata senza la necessità di verificarne in concreto la pericolosità, in quanto questa è già presunta dal legislatore nella norma incriminatrice.
Nel reato di pericolo concreto, il pericolo deve esistere e di volta in volta essere accertato dal giudice.
Nel reato di pericolo astratto, il pericolo è implicito nella stessa condotta e non fa parte della struttura della fattispecie di reato, ma non è inibito all’accusato fornire la prova contraria.
Il reato di pericolo presunto, anche se il pericolo non sia implicito nella condotta, viene presunto “iuris et de iure” senza ammissione di prova contraria sulla sua concreta esistenza.
I reati di pericolo presunto continuano a sembrare non esenti da obiezioni costituzionali.
Rischiano di reprimere la semplice disobbedienza dell’agente, ossia la semplice inottemperanza di un precetto penale senza che a questa si accompagni un’effettiva esposizione o pericolo del bene protetto.
Si devono individuare correttamente i settori dove è necessario anticipare la tutela sino all’astratta pericolosità.
Si pensi a processi tecnologici di massa che minacciano beni come la salute.
Poi ci sono beni superindividuali che possono essere danneggiati da condotte cumulative ripetute nel tempo e questo rende impossibile provare una singola condotta tipica.
Più l’incriminazione interferisce con l’esercizio di libertà politiche, più c’è esigenza di attribuire al reato un contenuto concretamente pericoloso.
La struttura del reato, negli anni, è stata oggetto di numerosi studi e approfondimenti, rivolti a unificare, dal lato teorico-sistematico, le varie fattispecie criminose che il nostro ordinamento penalistico raccoglie.
La dottrina, sia in passato sia ai giorni nostri, utilizza tre principali teorie per lo studiodella struttura del reato:
La teoria bipartita (maggiormente sostenuta in giurisprudenza)
La teoria tripartita (accolta da larga dottrina)
La teoria finalistica (di recente introduzione accolta dai cosiddetti “finalisti”)
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