La sentenza nel processo penale

In campo penalistico, la sentenza è disciplinata dagli articoli 529 – 543 del codice di procedura penale.
I tipi principali di sentenza penale sono:

    di non luogo a procedere (articolo 425 c.p.p.)
    di proscioglimento (articoli 529 e 530 c.p.p)
    di condanna (articolo 533 c.p.p.).

Secondo l’articolo 424 del codice di procedura penale, il giudice, al termine dell’udienza preliminare, dopo che è stata chiusa la discussione pronuncia sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio.
La sentenza di non luogo a procedere
La sentenza di non luogo a procedere, viene pronunciata, all’esito dell’udienza preliminare, se sussista:

    una causa che estingue il reato
    una causa per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita
    il fatto non è previsto dalla legge come reato
    il fatto non sussiste
    l’imputato non ha commesso il fatto
    il fatto non costituisce reato
    si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa.

 
Non può essere pronunciata se si dovesse ritenere che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza.
È assoggettabile a gravame, vale a dire, può essere impugnata da chi ne abbia interesse:

    dal pubblico ministero (in ogni caso)
    dall’imputato per ottenere una formula di proscioglimento più favorevole
    da parte della persona offesa e dalle altre parti private per le parti relative.

Altre attività investigative in presenza di una sentenza di non luogo a procedere sono di solito escluse, salvo quando sopravvengano o si scoprano altre prove idonee a determinare un rinvio a giudizio.
In presenza di simili circostanze, previa revoca della sentenza di non luogo a procedere il giudice può autorizzare la riapertura delle indagini.
La sentenza di proscioglimento
La genesi di questa sentenza, che trova spazio all’esito del dibattimento, racchiude le species di non doversi procedere e l’assoluzione.
La differenza tra le due forme di proscioglimento è data dalle diverse cause che vi danno luogo.
La sentenza di non doversi procedere
Se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita il giudice adotta la formula dichiarativa “non doversi procedere” se dovesse mancare o fosse insufficiente e contraddittoria una delle condizioni di procedibilità come:

querela
istanza
richiesta di procedimento
autorizzazione a procedere
altra situazione atipica, che si risolva in causa di improcedibilità
sussiste una causa estintiva del reato.

La sentenza di assoluzione
Il giudice di primo grado e d’appello pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo quando:

difetta la reità nel merito:
 il fatto non sussiste
 l’imputato non lo ha commesso
 il fatto non costituisce reato
 il fatto non è previsto dalla legge come reato.
 difetta l’imputabilità e la punibilità dell’imputato:
 il reato è stato commesso da persona non imputabile
 il reato è stato commesso da persona non punibile.

 
Anche la sentenza di annullamento senza rinvio può equivalere all’assoluzione, tranne in caso di ripristino di una sentenza di condanna o nell’annullamento senza rinvio per vizio di forma, che può sospendere ogni procedimento, ad esempio in casi di imputato contumace o irreperibile, si configura come assoluzione se viene ripristinata una sentenza di assoluzione precedente, oppure l’annullamento stesso si presenta come un’assoluzione nel merito, quando la Corte, che per regola esprime un giudizio di legittimità, ritenga superfluo il rinvio oppure proceda alla determinazione della pena dando eventualmente i provvedimenti necessari (artt. 620, lett. l), e 621 c.p.p.), trattandosi, in simili ipotesi, di cassazione senza rinvio con decisione nel merito.
La formula assolutoria “dubitativa” per insufficienza di prove non è più contemplata nel codice di procedura penale vigente, l’assoluzione è sempre considerata piena.
Quando, nel linguaggio giornalistico, si parla di “assoluzione per insufficienza di prove”, ci si rivolge alla sentenza pronunciata a norma dell’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale, l’assoluzione “quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova”.
l’assoluzione è piena e non indebolita né dubitativa.
La dottrina lamenta che L’effetto sia quello di uno stigma morale e sociale, esclusivamente un giudicato penale che contenga in termini puntuali che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, è idoneo a generare effetti preclusivi nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari.
Non è ammessa impugnazione, per carenza di interesse ad agire, dei provvedimenti di assoluzione pronunciati ex art. 530 comma 2 (così, ex multis, sent. Cass, III sez. pen., 5 giugno 2014)[7].
La sentenza di assoluzione, anche non definitiva, ha inoltre come effetto la cessazione immediata di ogni misura restrittiva, per il reato in esame.[5]
Sentenza di condanna
La sentenza di condanna afferma la colpevolezza dell’imputato. L’imputato non è mai tenuto a fornire la prova negativa di colpevolezza, presumendosi sempre innocente. Viene pronunciata solo qualora si sia formata la prova di piena reità, poiché la mancanza o l’insufficienza di prove si risolve in proscioglimento (art 530 cpp). Tipi di pronuncia:
Dichiarazione di estinzione del reato (art. 531 cpp), causa prescrizione, modifiche di legge o decesso dell’imputato
Condanna dell’imputato (art. 533 cpp)
Condanna del civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 534 cpp)
La cosiddetta legge Pecorella del 2006 ha modificato l’articolo 533 del Codice di Procedura Penale introducendo alcuni limiti all’appellabilità delle sentenze di assoluzione; la portata della riforma è stata tuttavia ridimensionata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della nuova normativa sotto più di un aspetto. La medesima legge ha inoltre introdotto nell’ordinamento italiano il principio secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di condanna a carico dell’imputato solo qualora la colpevolezza di questi emerga “oltre ogni ragionevole dubbio”[8]. Tale principio (beyond any reasonable doubt) fu enunciato in una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1970, la In re Winship, ed è un tipico principio del garantismo della common law, accolto in civil law (dove era già presente il brocardo in dubio pro reo).
Nonostante ciò, spesso nelle sentenze italiane non viene fatto cenno al ragionevole dubbio, ma al “libero convincimento del giudice” e alla nozione di verità processuale.[9]
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