La Corte di Giustizia UE e i confini del delitto di autoriciclaggio
Note a margine di CGUE 2 settembre 2021 in causa c/790/19.
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. Il reimpiego di beni di illecita provenienza e l’imputabilità dell’autore del reato presupposto nella legislazione italiana. – 2. La legislazione comunitaria e la lotta al trasferimento del danaro sporco. – 3. Il perimetro della fattispecie e il principio del divieto del ne bis in idem nella giurisprudenza UE. La sentenza 2/9/2021. – 4. Considerazioni conclusive. Il delitto di autoriciclaggio nella legislazione nazionale e nella giurisprudenza comunitaria. Lo stato dell’arte.
Considerazioni introduttive. Il reimpiego di beni di illecita provenienza e l’imputabilità dell’autore del reato presupposto nella legislazione italiana.
L’ammodernamento del sistema penale a livello codicistico in materia di delitti di perpetrazione e consolidamento dell’altrui o della propria attività parassitaria illecita sono stati oggetto di ampia disamina dottrinale interessando la letteratura specialistica a tutti i livelli[1].
La prospettiva cronologica nell’indicato ammodernamento è risalente alla fine degli anni ’70 – inizio degli anni ’80 e ha cominciato con l’interessare la prima delle fattispecie delittuose preposte all’indicata tutela. Si tratta dell’ipotesi di reato preordinata alla punizione di chi, fuori dei casi di concorso nel reato, col dolo specifico di procurarsi o di procurare ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto – dunque non una contravvenzione – o comunque s’intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare.
È la fattispecie di reato che va sotto il nome di ricettazione che vede la pena aumentata allorquando il fatto riguarda proventi dei delitti di rapina aggravata e di estorsione aggravata, in termini di aumenti ordinari di pena rispetto a quella base da 2 a 8 anni di reclusione[2].
L’ipotesi delittuosa in commento ha avuto un’ulteriore novellazione nel primo lustro degli anni Novanta sancendo che le disposizioni sulla ricettazione si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengano non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità inerente al cosiddetto delitto presupposto[3].
Col medesimo meccanismo di redazione normativa si è altresì implementato – ancorché nell’obsoleto quadro del Codice Rocco in tema di delitti contro il patrimonio – il percorso punitivo della perpetrazione del consolidamento parassitario dei profitti per il tramite dell’innesto nel sistema del Codice penale delle fattispecie di reità di cui agl’artt.648-bis e 648-ter punenti, rispettivamente, il riciclaggio e l’impiego di denaro, beni ed utilità di provenienza illecita, sempre nei casi di concorso nel reato[4].
L’asse repressivo emergente dalla concatenazione delle due fattispecie delittuose – 648bis e 648ter – emerge con nitore allorquando si volge l’attenzione all’autore delle condotte incriminate. Questi, nell’ipotesi del riciclaggio, è colui che sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Allorché non concorre nell’ipotesi di riciclaggio risponde, invece, del delitto di cui all’art.648-ter c.p. colui che impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da qualsiasi delitto.
Ciò che accomuna le due fattispecie di cui all’art.648-bis e 648-ter c.p. è l’aggravante ad efficacia comune contemplata nei rispettivi primi capoversi delle indicate fattispecie. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale[5].
Drastiche le ricadute procedurali delle due fattispecie preposte alla tutela penale della ripulitura del danaro sporco. Per entrambe sono senz’altro consentite le misure limitative della libertà personale; per entrambe vi è una piena procedibilità d’ufficio e la competenza funzionale a giudicare è attribuita al tribunale collegiale.
Tali ultime considerazioni ci consentono di completare i presenti profili introduttivi in termini di incipit critici rispetto alla fattispecie inserita nel Codice penale nel terzo millennio con la legge 15 dicembre 2014, nr.186 e denominata autoriciclaggio nell’art.648- ter.1 c.p.[6].
In ordine a tale ipotesi autoriciclaggio, l’autorità giudiziaria competente a decidere è il tribunale in composizione monocratica e, a fronte della medesima procedibilità d’ufficio e della possibilità di adozione delle misure cautelari personali, senz’altro consentite, si rileva una qual certa problematicità in tema di fermo di indiziato di delitto che non è assentito allorquando il provento utilitaristico del delitto di autoriciclaggio derivi dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni.
È auto riciclatore colui che avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali, o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Anche in tale ipotesi di impiego/sostituzione/trasferimento di beni la pena consta aumentata allorquando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale[7].
Ai sensi degli ultimi commi degli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. in virtù del richiamo ivi contenuto all’ultimo comma dell’art.648 c.p. in precedenza rassegnato, è irrilevante lo stato di imputabilità, non punibilità ovvero la mancanza di una condizione di procedibilità inerente al delitto cosiddetto presupposto.
Per tutte le ipotesi indicate negli artt.648-bis/ter/ter.1 c.p. nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto salvo che appartengano a persone estranee al reato. Non basta.
Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca cosiddetta diretta quale quella ora esplicitata, il giudice procede ad ordinare la confisca delle somme di danaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato[8].
Ordunque il sistema penale italiano nel corso degl’indicati decenni ha elaborato tale coordinata e concatenata relazione di condotte tutte poste a presidio del parassitismo col quale le organizzazioni criminali perpetravano e consolidavano l’utilizzo dei propri proventi illeciti ovvero agevolavano la perpetrazione ed il consolidamento degli altrui proventi delittuosi.
Il sistema legislativo che si sviluppa tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 del secolo scorso transita attraverso gli anni ’90 per approdare ai giorni nostri con le due fondamentali novelle del 2007 e del 2014[9].
Questo il quadro di riferimento normativo e concettuale di elaborazione sistemica; questo il quadro normativo/concettuale vagliato dal sistema giuridico sovranazionale nel quale l’Italia è inserita e che in un certo qual senso si compie con la pronuncia della CGUE del 2 settembre ultimo scorso alla quale sono dedicate le note che seguono.
La legislazione comunitaria e la lotta al trasferimento del danaro sporco.
Con una pluralità di direttive l’Unione Europea ha figliato per tutti i 28 Paesi che la compongono – da ultimo la Romania – una serie di principi e criteri direttivi in tema di fattispecie di riciclaggio onde procedere ad un’adeguata azione di contrasto transnazionale relativamente alle ipotesi delittuose funzionali ad avversare la perpetrazione ed il consolidamento dell’altrui o della propria precedente attività illecita[10].
Focali sono, per i fini che qui ci occupano, le direttive UE del 2018 prima ancora del 2015 recanti rispettivamente i numeri 1673 e 849.
In buona sostanza per le istituzioni europee costituisce riciclaggio la conversione o il trasferimento di beni nella consapevolezza di provenienza criminosa, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche della propria condotta.
La direttiva del 2015 in particolare addiziona la partecipazione a uno degli atti di occultamento della reale provenienza e di acquisto, uso detenzione dei beni e l’associazione per commettere tali attività ovvero il tentativo di perpetrarla col fatto di aiutare, istigare ovvero consigliare qualcuno a commetterlo o comunque il mero fatto di agevolarne l’esecuzione.
Seconda la direttiva di tre anni dopo – la 1673 cit. del 2018 – costituisce fatto di riciclaggio l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, della provenienza, dell’ubicazione, della disposizione, del movimento della proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi nella consapevolezza che i beni provengono da attività illecita.
In linea con gli assetti previsionali appena evidenziati, costituisce riciclaggio anche l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni nella consapevolezza che i medesimi provengano da un’attività criminosa.
Gli Stati, dice espressamente l’Unione Europea, possono adottare misure per garantire la punibilità anche se l’autore sospettava o avrebbe dovuto essere a conoscenza che i beni provenivano da attività illecita.
Dunque, per le istituzione europee è senz’altro consentito criminalizzare in termini di reato anche il mero sospetto sulla conoscenza dei proventi di attività illecita.
Orbene la giurisprudenza comunitaria allorché si è trovata a vagliare le normative penali degli Stati membri in materia non poteva che far riferimento all’indicata normazione unionale. In particolare, al reimpiego dei beni di origine illecita imputabile all’autore del reato presupposto, così come emergente dalle due direttive del 2015 e del 2018, sulla punibilità dell’istigazione e sul trasferimento dei beni circa l’occultamento della reale provenienza ed il sospetto dell’acquisto, dell’uso o della detenzione dei beni in parola.
Innanzi a tale piattaforma il sistema di giustizia comunitaria doveva necessariamente pronunciarsi in termini di uniformità concettuale normativa per tutto il sistema unionale ciò che ha fatto nelle varie pronunce rese nel corso degli ultimi anni ma senz’altro con quella del 2 settembre ultimo scorso in particolare ribadendo la spettanza al giudice della causa principale del diritto-dovere di garantire il rispetto del principio del divieto di ne bis in idem[11].
La vicenda portata all’attenzione della CGUE aveva come presupposto della condotta l’ipotesi di un credito inesistente derivante da evasione fiscale. Tale fatto tipico è stato scrutinato dai giudici di Lussemburgo e, nel farlo, essi hanno tracciato i confini e tratteggiato il periplo della fattispecie di autoriciclaggio così come voluta dalla legislazione comunitaria sviluppatasi nel corso degli ultimi decenni.
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Il perimetro della fattispecie e il principio del divieto del ne bis in idem nella giurisprudenza UE. La sentenza CGUE del 2/9/2021.
Il reo del delitto di evasione fiscale – comunque preveduto nell’ambito degli ordinamenti degli Stati Membri – può senz’altro essere incriminato per fatti di riciclaggio.
La CGUE con la sentenza nr.790/19 depositata il 2 settembre 2021 ha chiarito – id est: ha ribadito a livello sovranazionale – una volta per tutte tale principio sancendo la legittimità della configurazione del crimine di autoriciclaggio in tutti gli ordinamenti giuridici dei 28 Paesi dell’Unione Europea.
Fondamentale il principio sancito dalla Corte di Lussemburgo, preposta all’uniformità del diritto europeo, nella sentenza in commento. È un principio che rileva in termini di estrema importanza sul versante della prevenzione dell’uso/abuso del sistema finanziario di uno Stato allo scopo di riciclare i proventi di attività criminose e in particolare il finanziamento del terrorismo.
La normazione unionale per i Giudici lussemburghesi del 2 settembre 2021 va interpretata in termini di non ostabilità di alcuna normativa nazionale prevedente che il delitto di riciclaggio di capitali possa essere commesso per mano dello stesso autore dell’attività criminosa che quei capitali ha generato.
In questi termini non è corretto dire che sia stato operato un salvataggio del delitto di autoriciclaggio; la Corte non ha salvato alcunché. Essa ha solo offerto al massimo livello giurisprudenziale la ratio del fondamento della fattispecie in parola.
Nel merito la vicenda processuale di base, originante il pronunciamento in rassegna, vedeva la propria origine da un pronunciamento di un tribunale superiore rumeno di Brasov. Quest’organo giudiziario aveva pronunciato una sentenza di condanna a pena detentiva per fatti di riciclaggio di capitali commessi tra il 2009 e il 2013. La provenienza dei capitali era stata accerta quale da evasione fiscale; il trasferimento dei medesimi in termini di danaro era stato effettuato sulla base di un contratto di cessione del credito intervenuto tra il condannato e la società di cui lo stesso era amministratore con la società di cui risultava amministratore altro soggetto concorrente nel reato.
Il giudice rumeno riteneva che l’art.1 paragrafo 3 lettera a) della direttiva nr.849 succitata andasse interpretato nei termini in virtù dei quali reo di riciclaggio di capitali non potesse essere il reo del reato principale. Ciò in quanto il riciclaggio dei capitali implica, per necessità di cose, un reato consequenziale derivante da un reato principale.
Sulla base di tale orientamento interpretativo il giudice rumeno riteneva che il reo del crimine principale potesse anche essere quello del crimine di riciclaggio di capitali, ma ciò avrebbe violato il principio del ne bis in idem così come previsto dalla Carta Europea dei diritti fondamentali dell’Unione e dalla CEDU.
Laddove fosse passata tale linea di pensiero il sussistere della fattispecie di autoriciclaggio in tutti i Paese membri dell’Unione Europea non sarebbe stata più legittimamente inserita in quegli ordinamenti e per l’effetto si sarebbe dovuta espungere dai medesimi.
Insomma, ed in questo senso riteniamo che il quotidiano “Il Sole 24 ore” parli di salvataggio, il giudice rumeno ha cercato, per il tramite del principio del ne bis in idem di far eliminare dall’orizzonte europeistico il delitto di autoriciclaggio di cui in precedenza abbiamo ampiamente ricapitolato gli estremi.
La Corte di Lussemburgo ha preveduto esattamente il contrario. Scrivono i Giudici lussemburghesi: << … che la formulazione contenuta nella normativa antiriciclaggio riguardava la conversione o il trasferimento di beni effettuati essendo a conoscenza che essi provenivano da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni>>.
Dall’indicata formulazione normativa risulta chiaramente perché in una persona possa essere considerata responsabile di riciclaggio di capitali essa deve essere avveduta della circostanza che i beni provengono da un’attività criminosa ovvero da una diretta partecipazione alla medesima attività.
Tale requisito di consapevolezza si sostanzia esclusivamente nel richiedere che l’autore del delitto di riciclaggio di capitali sia avveduto sull’origine criminale dei medesimi.
Il requisito in parola, scrivono a chiare lettere i giudici dell’Unione Europea, è soddisfatto sotto il versante dell’autore dell’attività criminosa di provenienza dei capitali sporchi giacché le norme antiriciclaggio dell’unione europea contemplano espressamente l’atto materiale di riciclaggio rinvenendolo in termini di consistenza nella conversione/trasferimento di beni al mero scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei medesimi[12].
Superata la questione inerente alla violazione del principio del ne bis in idem, i giudici UE hanno altresì rammentato che la violazione del principio in discorso si rivelerebbe altresì fuori luogo laddove si versasse nell’ipotesi in cui si dovesse constatare che i fatti danti luogo al processo per riciclaggio non sono affatto identici a quelli integranti il reato base – il delitto presupposto – di evasione fiscale.
I fatti esaminati dalla Corte Unionale hanno deposto in senso diametralmente opposto. Può quindi ben concludersi che tra delitto presupposto e delitti di autoriciclaggio, in particolare reato di autoriciclaggio, non vi è alcun rapporto di pregiudizialità in termini di violazione del ne bis in idem ma solo di concatenazione necessariamente pregiudiziale in termini di perpetrazione e consolidamento di una precedente attività criminosa. Attività criminosa precedentemente commessa che sia, se perpetrata da terzi o dal medesimo autore del fatto principale, va comunque perseguita e repressa onde impedire che il sistema finanziario degli Stati membri e quindi quello dell’intera Unione Europea si ritrovi avviluppato dal virus della contaminazione del danaro sporco circolante per tutto il vecchio continente.
Considerazioni conclusive. Il delitto di autoriciclaggio nella legislazione nazionale e nella giurisprudenza comunitaria. Lo stato dell’arte.
Il reticolo normativo tracciato nelle pagine che precedono unitamente all’elaborazione dei principi europeistici consolidati in seno alla CGUE consentono di profilare lo stato dell’arte delle fattispecie preposte alla prevenzione dei crimini di perpetrazione e consolidamento della propria e altrui attività illecita, in particolare quello di autoriciclaggio, sia in relazione alla legislazione nazionale sia con riguardo agli orientamenti giurisprudenziali transnazionali.
Sotto il primo versante con l’inserimento nel sistema codicistico della fattispecie di autoriciclaggio si è, in un certo qual senso, chiuso un cerchio attorno al fenomeno della circolazione illecita di capitali nei sistemi economici statuali ed interstatuali.
Appare intuitivo che la fattispecie criminosa di cui all’art.648 c.p. si rivelava assolutamente inidonea a colpire le più gravi ed allarmanti forme di criminalità economico finanziaria. L’inserimento delle ipotesi delittuose di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ed autoriciclaggio soddisfa, almeno astrattamente, in termini di appagante soluzioni alle indicate esigenze.
Tali fattispecie si innestano in un contesto normativo penalistico pluriconsolidato e storicamente assestato. I rapporti tra reato presupposto e reato consequenziale sortiscono il loro effetto valutativo nell’ambito della parte generale e precisamente nella tematica di concorso di reati con precipuo riferimento alle ipotesi di concorso formale e o di reato continuato. Infatti se ed in quanto il reato presupposto integra altresì la violazione della disposizione di legge sul reato consequenziale le conseguenze saranno quelle scolpite nel primo comma dell’art.81 c.p.. Laddove invece ci si trovi innanzi al requisito della medesimezza della crime’s design le conseguenze giuridiche saranno quelle scolpite normativamente nel capoverso della medesima disposizione di parte generale.
Non vi è alcun problema di ne bis in idem – specialmente allorquando il rapporto è tra un crimine fiscale presupposto ed un autoriciclaggio consequenziale – giacché trattasi di manifesta aggressione a differenti oggettività giuridiche preposte alla tutela di distinti beni/interessi[13].
Altrettanto compiuta è l’elaborazione giurisprudenziale transnazionale operata dalla CGUE sui temi in commento. Non vi è dubbio innanzitutto che la garanzia del rispetto del principio del divieto del ne bis in idem spetti al giudice del processo principale che ne valuterà confini e perimetri circa l’attribuibilità della condotta incriminata al prevenuto. Non vi è altresì dubbio che un individuo possa essere ritenuto autore del crimine economico in parola allorquando sappia che i beni provengono da un’azione criminale o da una diretta partecipazione a tale attività. Per l’effetto si richiede che il reo di una delle fattispecie in parola – segnatamente quella di autoriciclaggio – conosca l’origine delittuosa di capitali interessati all’operazione economico finanziaria che ha attuato o concorso ad attuare.
In particolare la condotta concreta della fattispecie si sostanzia nella conversione o nel trasferimento di beni allo scopo di occultare o dissimulare la loro illecita origine.
Tali considerazioni detronizzano in radice i dubbi del tribunale superiore di Brasov; rendendolo perplesso sulla condanna a pena detentiva per riciclaggio di capitali derivanti dal delitto di evasione fiscale commesso dalla medesima persona che li aveva reimpiegati. Il tribunale rumeno aveva quindi ipotizzato un contrasto tra tale punibilità e quella violazione del ne bis in idem di cui si è detto.
La Corte di Lussemburgo ha invece chiarito che i fatti materiali integranti il delitto di evasione fiscale non sono gli stessi per i quali il soggetto incolpato è stato perseguito per autoriciclaggio.
Sulla base di tale arresto giurisprudenziale può ben dirsi che ogni dubbio circa la configurabilità del delitto di autoriciclaggio di capitali provenienti da delitti di evasione fiscale si è definitivamente dissolto. D’altro canto il tenore lessicale delle fattispecie incriminatrici milita univocamente in questo senso. Ed è un militare compiuto ed esaustivo funzionale a concorrere verso un sempre più efficace contrasto ai crimini in materia di criminalità economico finanziaria[14].
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Note
[1] Per tutti basti citare Ferrando Mantovani, Delitti contro il patrimonio, Cedam, Padova, 2000 e Sergio Ricchitelli, La fattispecie di autoriciclaggio nel sistema penale italiano: una prima lettura, Giapeto, Napoli, 2015. Quest’ultimo lavoro si segnala per altro per essere stato uno dei primi contributi in assoluto allo studio della fattispecie incriminatrice in rassegna.
[2] L’art.648 c.p. vede la sua veste novellata, rispetto alla versione codicistica del 1931, nel 1975 ad opera della legge nr.152 del 22 maggio di quell’anno. L’aggravante ad effetto comune – aumento della pena fino a 1/3 – di cui si è detto nel testo è il frutto della novella del 2013 operata dal decreto-legge del 14 agosto convertito nella legge del 15 ottobre di quell’anno recante il nr.119.
[3] Il riferimento normativo di cui all’indicata novella è quello di cui all’art.3 della legge 9 agosto 1993, nr.328.
[4] L’art.648-bis del Codice penale, introdotto dall’art.3 del decreto-legge 21 marzo 1978, nr.59 convertito con modificazioni nella legge 18 maggio 1978 nr.191 è stato da ultimo sostituito nel 1993 dall’art.4 della legge nr.328 del 9 agosto di quell’anno. L’art.648-ter del Codice penale è stato inserito nel sistema codicistico dall’art.24 della legge 19 marzo 1990 nr.55 per essere poi sostituito in linea con la fattispecie precedente dall’art.5 della citata legge nr.328/1993.
[5] La pena è per contro diminuita nella prima ipotesi allorquando il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni; nella seconda ipotesi delittuosa allorquando si è innanzi ad un fatto qualificabile in termini di particolare tenuità.
[6] Sul tema vedi amplius S. Ricchitelli, La fattispecie di autoriciclaggio nel sistema penale italiano: una prima lettura, cit.
[7] La pena prevista per il delitto di autoriciclaggio è diminuita fino alla metà – in termini di reclusione: 1-4 anni – per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
[8] In relazione ai reati di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ed autoriciclaggio, il pubblico ministero può compiere ogni attività di indagine che si renda necessario circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca nei termini indicati nel testo.
[9] Ci si riferisce al decreto legislativo 21 novembre 2007, nr.231 e alla legge 15 dicembre 2014, nr.186.
[10] I temi affrontati dall’UE nelle direttive in materia sono plurimi. Si va dal trasferimento dei beni toucourt all’occultamento della reale provenienza transitando per i termini di acquisto, uso o detenzione dei beni fino alla punibilità anche della mera istigazione.
[11] Vedi S. Ricchitelli, Il ne bis in idem europeo. – Note in margine al comunicato stampa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 20 marzo 2018, Gazzetta Forense nr.4, Giapeto, Napoli, 2018; S. Ricchitelli, Il ne bis in idem negli orientamenti della giurisprudenza nazionale. Primissime note in calce alla sentenza della corte di cassazione nr.45829 del 10 ottobre 2018, dopo il pronunciamento della Corte europea sul bis in idem punitivo, Gazzetta Forense nr.1, Giapeto, Napoli, 2019.
[12] La Corte del Lussemburgo preposta alla giurisprudenza europea ha anche chiarito che il principio del divieto di ne bis in idem rileva quale senz’altro garantito. Spetta infatti al giudice della causa principale del merito verificare che i fatti materiali costitutivi del reato principale quale l’evasione fiscale in specie, non si rivelino identici a quelli per i quali l’imputato è stato perseguito.
[13] Sulle problematiche relative al ne bis in idem nelle sue varie sfaccettature nell’ambito del sistema penale nazionale e transnazionale vedi S. Ricchitelli, Il ne bis in idem europeo. Note in margine al comunicato stampa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 20 marzo 2018; Il ne bis in idem negli orientamenti della giurisprudenza nazionale. Primissime note in calce alla sentenza della corte di cassazione nr.45829 del 10 ottobre 2018, dopo il pronunciamento della Corte europea sul bis in idem punitivo, entrambi cit.
[14] Sulla criminalità economico finanziaria chi scrive ha offerto contributi da lungo tempo. Vedi per tutti: Come il nuovo diritto penale societario ha ritracciato i confini della bancarotta, Diritto & Giustizia, Infogiuridica S.p.a., Milano, 2007; Reati societari e indagini patrimoniali: tecniche di investigazione e metodi di accertamento, Diritto & Giustizia, Infogiuridica S.p.a., Milano, 2007; Sequestro e confisca per equivalente nel sistema processuale italiano, Strumentario Avvocati, www.dirittoitalia.it, Caserta, 2011; Ancora sul sequestro e confisca per l’equivalente. Aspetti problematici, prospettive comparatistiche e de lege ferenda, Strumentario Avvocati, www.dirittoitalia.it, Caserta, 2011; La fattispecie di autoriciclaggio nel sistema penale italiano: una prima lettura, cit.
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