Impugnazione del verbale di mediazione
Note sulla Sentenza del Tribunale di Roma del 22 ottobre 2014
SOMMARIO:
Impugnazioni in generale;
Un caso particolare: la materia condominiale;
Verbale di mediazione;
Pronuncia del Tribunale di Roma.
Si ritiene significativo, anche alla luce dei più attuali progetti di riforma, tornare su una questione affrontata a suo tempo da una pronuncia inserita in un filone di giurisprudenza, ormai consolidata, per ribadire il carattere vincolante dell’accordo “amichevole” di mediazione.
Impugnazioni in generale
Il diritto processuale civile, tanto quanto quello penale ed amministrativo, contempla lo strumento delle impugnazioni le quali, sotto un profilo generale, consistono nel potere di contestare i provvedimenti dell’autorità giurisdizionale. La parte di un precedente procedimento giudiziario – sulla base di definiti presupposti, eccepisce con questi strumenti un vizio del provvedimento nellla legittimità o nel merito, al fine precipuo di ottenere una pronuncia più favorevole. In particolare, per quanto attiene alla presente analisi, il legittimato deve avere un interesse a impugnare. Si tratta di una forma particolare dell’interesse di agire, da determinarsi, in ultima analisi, in base al principio di soccombenza.
L’effetto della mancata impugnazione, laddove ne ricorrano i presupposti, è il giudicato (art. 324 cpc e art 2909 cc).
Come noto, il Codice di procedura civile disciplina il regolamento di competenza, l’appello, l’opposizione di terzo, il ricorso in Cassazione, la revocazione. La rinnovazione, totale o parziale o l’eliminazione dell’atto contestato, va proposta entro termini perentori.
2.Un caso particolare: la materia condominiale.
Per estensione, si parla di “impugnazione” anche in altri ambiti, con riferimento a provvedimenti/decisioni dei quali non si accetta che siano vincolanti per coloro i quali le abbiano assunte, nei contesti più vari, dal licenziamento ritenuto ingiusto al caso delle impugnazioni delle delibere delle assemblee di condominio.
Il comproprietario di una porzione di un edificio condominiale che si ritenga leso da una delibera, ritenuta contrastante con la legge o con il regolamento del condominio, per esempio, può adire le vie giudiziarie, dopo aver esperito un tentativo di mediazione davanti ad un Ente accreditato presso il Ministero della Giustizia.
Il diritto in questione può essere esercitato, entro 30 giorni, dal condomino assente all’assemblea o dichiaratosi contrario sul punto conteso od astenutosi nella votazione contestata.
Può dunque essere impugnato anche il verbale di mediazione?
Verbale di mediazione
Secondo il Dlgs 28/2010, art. 11, se è raggiunto un accordo “amichevole”, il mediatore redige un verbale al quale viene unito il testo dell’accordo stipulato fra le parti.
Orbene, quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione, e se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere finalmente sottoscritto dalle parti e dal mediatore. Se con l’accordo, comunque raggiunto, le parti concludono un contratto o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del Codice civile, esso diventa titolo esecutivo solo con le firme degli avvocati (cfr. Trib. Bari, ord. 7.09.2016).
In altri termini, il verbale di mediazione è un accordo fra le parti, assoggettato alla disciplina del contratto. Ha forza di legge fra le parti, per effetto dell’art. 1372 Cod. Civ. e come avviene per i contratti, può essere sottoposto a condizione. La fattispecie in esame consente di soffermarsi su questo aspetto.
Tribunale di Roma
Nella vicenda de quo, la parte attrice aveva promosso un’azione per ottenere, dalle controparti, lo scioglimento della comunione sorta fra di loro per effetto di successione mortis causa.
Le controparti contestavano, invece, come in sede di preliminare mediazione, si fosse raggiunto unanimemente un accordo.
Nella fattispecie, infatti, le parti si erano già riunite innanzi un organismo di mediazione insieme ai rispettivi legali per ottenere lo scioglimento della comunione dei beni appartenuti al de cuius.
Dal verbale in questione risultava, inoltre, come le parti avessero raggiunto un accordo unanime per la divisione dei suddetti beni. Detto accordo era stato solo in un secondo momento ratificato dall’amministratore di sostegno – concordemente al parere del Tribunale – della vedova del de cuius, assente al primo incontro.
In sostanza, l’accordo con cui si ripartivano i beni caduti in successione era sottoposto a una condizione sospensiva: la ratifica del rappresentante della vedova del de cuius, all’epoca degli incontri di mediazione, era ancora da nominare da parte del Tribunale. La parte istante, tuttavia, impugnava questo verbale di sostanziale accordo per chiederne l’annullamento ai sensi e per gli effetti dell’art. 1353 Cod. civ., poiché il procedimento di conciliazione non si era concluso nel termine allora previsto di quattro mesi.
Secondo l’argomentazione del Tribunale di Roma, il procedimento di mediazione ha natura sostanziale in quanto è diretto a favorire un accordo negoziale vero e proprio fra le parti. Le parti sono libere nella formazione della volontà pattizia, potendo per altro solo operare in materia di diritti disponibili per espressa previsione di legge.
L’organismo di mediazione ed il mediatore non hanno in alcun modo un potere impositivo, essi non decidono il merito della controversia che divide istante e convenuto. Al contrario, il ruolo del mediatore è quello di facilitare una composizione delle posizioni espresse dalle parti in conflitto facilitandone il dispiego della loro autonomia.
Il Tribunale di Roma richiama sul punto, a suffragio della propria argomentazione, una precedente Ordinanza del Tribunale di Como, Sez. Cantù, del 2 febbraio 2012, che affermava come, per risolvere una lite, le parti possano ricorrere al loro potere negoziale ex art. 1321 Cod. civ.: «Infatti, l’accordo di mediazione – che potrà assumere le forme più varie per risolvere la lite (come ad esempio attraverso la rinunzia al diritto di proprietà ovvero la rinuncia alla domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro), senza coincidere con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice – è espressione del potere negoziale delle parti ex art 1321 c.c. in quanto attraverso di esso viene regolamentata la situazione giuridica sostanziale». Appunto per la meritevolezza della causa giuridica.
L’accordo negoziale si configurerebbe, pertanto, come “una sorta di negoziazione assistita”, garantita dalla presenza dei legali delle parti e da un soggetto terzo che ha il ruolo – fondamentale – di mediare le posizioni opposte allo scopo di trovare un accordo soddisfacente per tutti i contendenti.
La disciplina dell’accordo di mediazione è, in definitiva, mutuata da quella dei contratti, anche sotto l’aspetto della trascrizione dell’atto risultante dal procedimento di conciliazione ex art. 11, comma 3, D.lgs 28/2010), che osserva quanto disposto dall’art. 2643 Cod. Civ.
In quanto accordo contrattuale, il verbale di mediazione, come nel caso concreto, può essere assoggettato ad una condizione sospensiva ex art. 1353 Cod. civ. e resistere alla pretesa di annullamento, quandanche il procedimento di mediazione non sia concluso nel tempo (allora) previsto dalla normativa. Il ritardo lamentato (piuttosto pretestuosamente) dalla parte riguarda solo l’aspetto procedurale e non quello sostanziale della fattispecie dedotta in giudizio[i].
Nella fattispecie considerata, alla base dell’impugnazione vi era l’affidamento fatto dalla parte attrice su stime di valore dei beni rivelatesi successivamente errate. Giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si pronuncia nel senso che “l’errata valutazione economica non rientra nella nozione di errore come fatto idoneo ad ottenere l’annullamento del contratto, in quanto i privati possono determinarsi come credono, anche facendo cattivo uso della libertà contrattuale, rilevando solamente i diritti e gli obblighi che il contratto sia idoneo ad attribuire, rimanendo il rischio del risultato economico, a carico dei contraenti
È ben noto come l’errore sulla valutazione economica del bene oggetto del contratto non sia determinante in senso tecnico, né utile a determinare una sentenza di annullamento dello stesso. Nell’ambito dell’autonomia contrattuale i contraenti assumono su di sé il rischio economico del loro comportamento e delle loro scelte (cfr. Cass., n. 05139/2003, Cass. n. 8290/1993, Cass. 29010/2018)[ii].
Il Tribunale di Roma respinte le domande di nullità ed annullabilità dell’accordo di mediazione, dichiarò inammissibile la domanda principale di divisione ereditaria, appunto perché preceduta dall’ accordo stesso e condannò la parte attrice a rimborsare alle controparti le spese di lite.
In conclusione, così come il tentativo di conciliazione non può essere ridotto a pura e semplice formalità preliminare, o ad espediente per dilazionare pretestuosamente una controversia, il contenuto del verbale raggiunto grazie all’opera dell’organismo cui le parti si sono rivolte e del professionista da questo organismo incaricato e adeguatamente formato, è un patto – liberamente accettato – che vincola i privati secondo buona fede e correttezza.
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Note
[i]È opportuno richiamare che se le delibere dell’assemblea condominiale si presumono legittime, ossia che sono vincolanti per tutti fino all’accertamento giudiziale della loro illegittimità, il Giudice, però può sospenderne la loro efficacia prima dell’impugnazione o contestualmente ad essa.
[ii] “L’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto Corte di Cassazione – copia non ufficiale non incide sull’identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull’utilità economica dell’ affare”(Cass. 3.9.2013 n.20148).
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