Immigrazione: significativi interventi delle sezioni penali della Cassazione nel 2016
A) RIFIUTO DI ESIBIRE DOCUMENTO DI IDENTIFICAZIONE E/O PERMESSO DI SOGGIORNO (ART. 6, C. 3, T.U. IMMIGRAZIONE)
Non risultano pronunce significative
B) FAVOREGGIAMENTO IMMIGRAZIONE CLANDESTINA (ART. 12 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. luglio 2016 (ud. aprile 2016 )
Il delitto di cui all’art. 12 del T.U. Immigrazione, per la sua natura di reato di pericolo, si perfeziona per il solo fatto che l’agente ponga in essere, con la sua condotta, una condizione, anche non necessaria, teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, e indipendentemente dal verificarsi dell’evento (sulla base del principio, il S.C. ha respinto il ricorso dell’imputato, secondo cui per attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato dovrebbero intendersi tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione collegabili a detto ingresso e non anche quella residuale della distribuzione dei viveri tra i migranti)
2.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. maggio 2016 )
Per la sussistenza del reato previsto dal dall’art. 12, c. 5 bis, T.U. Immigrazione, come novellato dal d.l. 92/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. 125/2008, è richiesto il fine di trarre un ingiusto profitto dalla locazione ovvero dal dare alloggio ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, fine che può essere desunto da condizioni contrattuali oggettivamente più vantaggiose per l’agente, ma che non devono necessariamente tradursi in un sinallagma eccessivamente gravoso per lo straniero
3.Cass. pen. dicembre 2016 (ud. giugno 2016 )
Per la sussistenza del delitto ex art. 12, c. 5 bis T.U. Immigrazione, è necessario il dolo specifico, consistente nel fine di trarre ingiusto profitto e per ingiusto profitto non può certo intendersi il mero negozio giuridico di dare alloggio ovvero del dare in locazione, dovendosi ritenere che occorra un quid pluris, costituito dalla imposizione di condizioni gravose e discriminatorie, eccedenti il rapporto sinallagmatico proprio del negozio concluso di fatto ovvero anche da situazioni di sfruttamento di una situazione di necessità del contraente debole che si avvale dell’alloggio o che fruisce del bene locato
4.Cass. pen. dicembre 2016 (ud. maggio 2016 )
La riformulazione normativa della condotta incriminata dall’art. 12, c. 1 e 3, T.U. Imigrazione – che nel testo attuale punisce gli atti diretti a “procurare”, e non più a “favorire”, l’ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato – ha ristretto l’area di punibilità delle condotte, realizzando un fenomeno di parziale continuità normativa, nel senso che non costituisce più reato la condotta di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che non si sia estrinsecata in atti diretti a procurare l’ingresso illegale dello straniero, posto che il comportamento di “favorire” (che può esplicarsi anche solo sul piano psicologico) ha un ambito di applicazione più esteso di quello di “procurare”, così che la prima condotta comprende la seconda, ma non viceversa. La nuova norma incriminatrice che punisce, tra l’altro, “chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”, non è soltanto integrata dalle condotte dirette a procurare l’ingresso in Italia di stranieri extracomunitari in violazione della disciplina sull’immigrazione, ma ricomprende anche quelle condotte finalizzate a procurare l’ingresso illegale in altri Stati. La norma sanziona, per l’appunto, le condotte agevolatrici, consistenti in atti preparatori, tipizzandole in funzione della univoca finalizzazione all’ingresso illegale dello straniero in altro Stato. E in tale finalità – ed esclusivamente in essa – che risiede il disvalore della condotta; e, in funzione di essa, il legislatore individua la soglia di punibilità, con anticipazione della tutela, rispetto al momento dell’attraversamento della frontiera. Questa Corte ha già precisato che il delitto consistente nel compiere atti diretti a procurare l’ingresso illegale di una persona in altro Stato ha natura di reato di pericolo o a consumazione anticipata e si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a favorire detto ingresso, a prescindere dall’effettività, durata e finalità dell’ingresso medesimo, comprendendo quindi anche le condotte di mero transito con direzione o destinazione finale ignota e comunque tutte quelle attività che, finalisticamente ed univocamente orientate a conseguire tale scopo, non siano riuscite a realizzarlo.
C) ESPULSIONE AMMINISTRATIVA (ART. 13 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. marzo 2016 (ud. febbraio 2016)
Ai fini della configurabilità del reato di cui al all’art. 14, comma 5-quater, del T.U. Immigrazione, la traduzione del decreto di espulsione e dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato in lingua “veicolare”, senza che sia attestata la motivata impossibilità di avvalersi di un testo già predisposto nella lingua madre dello straniero secondo quanto prevede l’art. 13, c. 5, dello stesso T.U., non integra di per sé l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi posti a presupposto della condanna, allorché non sia dedotta in concreto l’inidoneità dei documenti redatti in lingua “veicolare” a dare compiuta cognizione all’interessato del contenuto precettivo dei provvedimenti
2.Cass. pen. marzo 2016 (ud. febbraio 2016)
L’accertamento relativo alla conoscenza, da parte dell’imputato, della lingua in cui sono stati tradotti i provvedimenti amministrativi a lui notificati, e alla conseguente comprensione del relativo contenuto, integra una questione di fatto devoluta alla cognizione esclusiva del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da congrua motivazione
3.Cass. pen. giugno 2016 (ud. marzo 2016 )
E’ manifestamente infondata (in conformità ai precedenti di cui alle ordinanze n. 361 del 2007 e n. 158 del 2006 della Corte costituzionale) la pretesa di equiparare, agli effetti della disciplina del divieto di espulsione, situazioni tra loro eterogenee, come quelle rappresentate dal rapporto di coniugio con una cittadina italiana e quello con una cittadina straniera residente in Italia, non essendo irragionevole un diverso esercizio della discrezionalità legislativa nella materia relativa alla regolamentazione dell’accesso degli stranieri nel territorio nazionale
4.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. giugno 2016 )
La convivenza dello straniero con una cittadina italiana riconosciuta con “contratto di convivenza”, disciplinato dalla l. 76/2016, è ostativa alla espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione di cui all’art. 19, c. 2, lett. c), del T.U. Immigrazione e tale causa ostativa deve essere valutata se sussistente o meno al momento in cui l’espulsione viene messa in esecuzione
5.Cass. pen. dicembre 2016 (ud. settembre 2016 )
In tema di diritto alla traduzione degli atti, anche dopo l’attuazione della direttiva 2010/64/UE ad opera del d. lgs. 32/2014, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un’indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi
D) DIVIETO DI REINGRESSO (ART. 13 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. gennaio 2016 (ud. dicembre 2015)
La direttiva Europea 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 non ha inciso sulla fattispecie astratta disciplinata dall’art. 13, c. 13, del T.U. Immigrazione, e sulla perdurante configurabilità del delitto ivi contemplato, avendo riguardato solo la procedura di rimpatrio “da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”.
2.Cass. pen. giugno 2016 (ud. febbraio 2016)
La previsione incriminatrice di cui all’art. 13, c. 13, T.U. Immigrazione è ontologicamente diversa rispetto a quella della inosservanza del provvedimento di espulsione (disciplinata dall’art. 14, c. 5-ter dello stesso T.U.), differendo le condizioni fattuali e giuridiche poste a monte della incriminazione: nel primo caso (reingresso abusivo) lo straniero è già stato in precedenza sottoposto alla misura del reimpatrio forzato e ha violato il divieto di reingresso (consentito e previsto dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.12.2008, fermo restando il limite temporale massimo di cinque anni) mentre nel secondo (inosservanza dell’ordine di allontanamento) la permanenza sul territorio deriva da una condotta, appunto, di semplice inottemperanza al provvedimento di espulsione. Da ciò deriva la considerazione di un diverso disvalore della prima condotta e di una sua autonomia strutturale e funzionale. Inoltre, la decisione della Corte di Giustizia del 28.4.2011 ha preso in considerazione la complessa articolazione delle norme interne tese a realizzare il reimpatrio ed ha ritenuto in tale ambito – la previsione di una sanzione penale detentiva (il previgente art. 14, comma 5-ter) derivante dalla trasgressione dell’ordine di allontanamento, in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla citata direttiva, consistente nel realizzare efficaci politiche di allontanamento e reimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti in modo irregolare. Tale logica decisoria non può essere ritenuta applicabile al diverso caso del reingresso, posto che qui la sanzione colpisce non già una condotta di “permanenza” di per sè; quanto la violazione dello specifico divieto correlato alla precedente espulsione. E’ evidente, tuttavia, che il reingresso è punibile solo ove sia avvenuto nell’ambito del limite temporale di cinque anni fissato dalla direttiva, limite cui il legislatore italiano si è adeguato con la novellazione avvenuta con d.l. 89/2011
3.Cass. pen. agosto 2016 (ud. aprile 2016 )
La condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato dello straniero, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio che sia stato materialmente eseguito, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perché i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione, penalmente sanzionata dall’art. 13, c. 13, del T.U. Immigrazione, e che continua a costituire reato
4.Cass. pen. settembre 2016 (ud. novembre 2015)
La condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perché i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione
5.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. aprile 2016 )
L’inosservanza del divieto di rientro nel territorio dello Stato da parte di un cittadino di un paese terzo, destinatario del provvedimento di espulsione amministrativa, integra il reato di cui all’art. 13, c. 13, del T.U. Immigrazione, ove commessa entro i cinque anni dall’allontanamento forzato, anche nell’ipotesi in cui il provvedimento di espulsione abbia disposto il divieto per la durata di dieci anni, secondo il termine originariamente previsto dall’art. 13, c. 14, del citato T.U.
6.Cass. pen. dicembre 2016 (ud. maggio 2016 )
Il rientro nel territorio dello Stato dello straniero espulso che non abbia una speciale autorizzazione non è più previsto come reato, ove avvenga oltre il quinquennio dall’espulsione, perché la norma incriminatrice, ponendo un divieto di rientro per un decennio, deve essere disapplicata per contrasto con le disposizioni della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea, che hanno acquistato efficacia diretta e che prevedono che il divieto di reingresso non possa valere per un periodo superiore a cinque anni. Integra il reato previsto dall’art. 13, c. 13, T.U. immigrazione, la condotta dello straniero espulso che rientri In Italia ad un anno dall’espulsione, ancorché egli sia sposato con una cittadina italiana con la quale, tuttavia, non risulti convivente
E) ORDINE DI ALLONTANAMENTO (ARTT. 13,14 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. maggio 2016 (ud. marzo 2016)
La fattispecie di cui all’art. 14, c. 5-ter, del T.U. Immigrazione, che puniva con la sanzione detentiva la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, posta in essere prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11 PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice interna con la predetta disciplina comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione -per via di interpretazione estensiva- alla previsione dell’art. 673 c.p.p. Il sopravvenuto d.l. 89/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 129/2011 – recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari – ha novato la fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis.
2.Cass. pen. giugno 2016 (ud. febbraio 2016 )
Non sussiste alcuna incompatibilità dell’art. 14, c. 5 ter, T.U. Immigrazione, nella formulazione vigente , a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 89/2011, convertito dalla l. 129/2011, con la Direttiva dell’Unione Europea 2008/115/CE, sul rimpatrio dei cittadini irregolari di paesi terzi
3.Cass. pen. giugno 2016 (ud. maggio 2016 )
In relazione alla vecchia formulazione dell’art. 14, c. 5 ter, T.U. Immigrazione, la fattispecie che puniva la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, ancorché posta in essere prima della scadenza del termine del 24 dicembre 2010 – fissato per il recepimento della direttiva 2008/115/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 – doveva considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno a seguito della pronuncia del 28 aprile 2011 della Corte di giustizia dell’Unione europea, che, nell’ambito del processo EI Dridi (C-61/11PPU) ne aveva affermato l’incompatibilità con la normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis . Conseguiva a tale premessa in diritto la necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non era più previsto dalla legge come reato. Ne’ la natura permanente del reato contestato potrebbe giustificare l’applicazione delle nuove norme alla frazione di condotta consumatasi dopo la loro entrata in vigore, poiché l’ordine di allontanamento che si assume violato non e’ coerente con il testo normativo vigente e la contestazione del reato, posta la non continuità normativa tra le disposizioni di incriminazione, presupponeva l’emanazione di un nuovo (legittimo) ordine di allontanamento, la cui eventuale accertata inottemperanza avrebbe giustificato l’applicazione della norma riformata
4.Cass. pen. luglio 2016 (ud. aprile 2016 )
In tema di trattenimento illegale rispetto all’ordine di allontanamento di cui all’art. 14, comma 5-ter, del T.U. Immigrazione, le particolari condizioni di salute dello straniero possono configurare il giustificato motivo di temporanea permanenza
5.Cass. pen. settembre 2016 (ud. febbraio 2016 )
Ai fini dell’individuazione del giustificato motivo che esclude la configurabilità del reato di cui all’art. 14, c. 5 ter, T.U. Immigrazione, di inosservanza dell’ordine del Questore allo straniero clandestino di lasciare il territorio dello Stato, il giudice deve fare riferimento al caso concreto e alla condizione del cittadino extracomunitario, da apprezzare in tutti i profili idonei a rendere inesigibile, ovvero difficoltoso o pericoloso, anche soggettivamente, il comportamento collaborativo richiesto dalla norma. Al contempo, la clausola in esame non può comportare un’inversione dell’onere della prova, fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente, laddove possibile, l’esistenza di ragioni legittimanti l’inosservanza del precetto penale. L’onere di provare tutti gli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della clausola in esame spetta naturalmente al pubblico ministero, pur gravando sull’imputato un onere di allegazione dei motivi non conosciuti né conoscibili dal giudicante, che mira a integrare le prerogative difensive. Questo onere di allegazione costituisce il punto di equilibrio tra l’esigenza di non addossare al magistrato requirente una probatio diabolica e la necessità di evitare il rischio di un’inversione dell’onere della prova. Si consideri, infine, che la valutazione giudiziale di situazioni idonee a rendere l’ottemperanza al provvedimento amministrativo impossibile ovvero “difficoltosa o pericolosa” deve essere svolta con riferimento al caso concreto e alla condizione del cittadino extracomunitario, da apprezzare in tutti i profili idonei a rendere inesigibile, anche soggettivamente, il comportamento collaborativo richiesto dalla norma allo straniero
6.Cass. pen. settembre 2016 (ud. maggio 2016 )
La nuova formulazione del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del T.U. Immigrazione, introdotta dall’art. 3 del d.l. 89/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 129/2011, non si pone in continuità normativa con la precedente fattispecie di reato (non più applicabile nell’ordinamento a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E. 28 aprile 2011, El Dridi), dando luogo, invece, ad una nuova incriminazione applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della normativa sopra citata.
7.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. settembre 2016 )
La nuova formulazione del reato di cui al all’art. 14, c. 5-ter, T.U. Immigrazione, come introdotta dall’art. 3 del d.l. 89/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 129/2011, non può ritenersi in continuità normativa con la precedente fattispecie di reato, avendo istituito una nuova incriminazione, che, in discontinuità sostanziale per “tipo di illecito” rispetto alla pregressa, è applicabile in relazione ai comportamenti realizzati successivamente alla sua entrata in vigore A tale conclusione si perviene movendo dal preliminare rilievo che, con riferimento alla vecchia formulazione della indicata norma incriminatrice, si era fissato il principio di diritto, alla cui stregua la fattispecie che puniva la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, ancorché posta in essere prima della scadenza del termine del 24 dicembre 2010, fissato per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, doveva considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno a seguito della pronuncia del 28 aprile 2011 della Corte di giustizia dell’Unione europea, che, nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU, ne aveva affermato l’incompatibilità con la normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis. Conseguiva a tale premessa in diritto la necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non era più previsto dalla legge come reato. Il nuovo intervento normativo, che ha novato la fattispecie, per effetto del dichiarato recepimento della direttiva comunitaria, con rilevante iato temporale rispetto alla scadenza dello stesso termine di recepimento, ha indirettamente confermato l’intervenuta abolizione della pregressa fattispecie, delineando un illecito integrato da una condotta di differente tipologia e fondato su presupposti strutturalmente diversi. In tal senso si rileva, tra l’altro, che, secondo la nuova normativa, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria e allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione a ciò deputato (CIE), e che il termine che il questore assegna allo straniero, allo scopo di porre fine al suo soggiorno illegale e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione o di respingimento, è di sette giorni, e non più di cinque giorni come nel precedente testo dello stesso art. 14, comma 5 bis.
8.Cass. pen. novembre 2016 (ud. aprile 2016 )
La sussistenza del giustificato motivo, per cui lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore di allontanarsene, deve essere valutata con riguardo a situazioni ostative – l’onere della cui allegazione grava sull’interessato – incidenti sulla sua stessa possibilità, oggettiva o soggettiva, di ottemperarvi, escludendola ovvero rendendola difficoltosa, non anche con riferimento ad esigenze che riflettono la condizione tipica del migrante clandestino, come la mancanza di un lavoro regolare ovvero la provenienza di mezzi economici da attività non regolari o non stabili
9.Cass. pen. novembre 2016 (ud. settembre 2016 )
In tema di procedimento davanti al giudice di pace, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del decisum di improcedibilità la mancata opposizione dell’imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa; ne deriva che la doglianza relativa all’improcedibilità per particolare tenuità del fatto non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità
10.Cass. pen. dicembre 2016 (ud. aprile 2016 )
Questa Corte, in linea con la sentenza n. 5 del 2004 della Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 14, c. 5-ter, T.U. Immigrazione, ha da tempo fissato il principio di diritto recentemente ribadito anche alla luce delle modifiche del sistema normativo introdotte con d.l. 89/2011, convertito dalla l. 129/2011, secondo il quale il giustificato motivo che legittima la inottemperanza dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato, emesso dal Questore, pur non implicando situazioni di stato di necessità, di forza maggiore o, comunque, di inesigibilità assoluta della condotta omessa, deve, tuttavia, consistere in condizioni oggettive che rendano estremamente difficoltoso l’adempimento ovvero in ostative situazioni, soggettive e personali, di grave e pressante condizionamento psicologico, senza potersi risolvere in esigenze che riflettano la condizione tipica del migrante clandestino, come la mancanza di un lavoro regolare ovvero la provenienza di mezzi economici da attività non regolari o stabili
F) ASSUNZIONE LAVORATORI STRANIERI PRIVI DEL PERMESSO DI SOGGIORNO (ART. 22 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. gennaio 2016 (ud. settembre 2015)
Del reato contemplato dall’art. 22, c. 12, del T.U. Immigrazione risponde non soltanto chi assume il lavoratore straniero che si trovi nelle condizioni indicate dalla fattispecie incriminatrice, bensì anche chi, pur non avendo provveduto direttamente ad essa (assunzione), se ne avvalga tenendo alle sue dipendenze, e, pertanto, occupando più o meno stabilmente, l’assunto
2.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. aprile 2016 )
Ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, il concetto di occupazione che figura nell’art. 22 del T.U. Immigrazione, si riferisce all’instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione
G) ESPULSIONE A TITOLO DI SANZIONE SOSTITUTIVA O ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE (ART. 16 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. gennaio 2016 (ud. ottobre 2015)
Atteso il chiaro disposto dl primo periodo della norma, lo straniero che versa nelle condizioni di legge per fruire della sanzione sostitutiva dell’espulsione prevista dall’art. 16, c. 5, del T.U. Immigrazione, è titolare – anche ove intenda definire la propria posizione con sentenza di patteggiamento – di un vero e proprio diritto ad essere espulso dal territorio dello Stato, anziché rimanervi ad espiare la pena detentiva alla quale sia stato condannato; con la conseguenza che il giudice, ricorrendone le condizioni, può applicare con la sentenza di patteggiamento l’espulsione, anche se quest’ultima non è stata presa in considerazione nell’accordo raggiunto dalle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Tuttavia, essendo l’espulsione prevista dalla norma in commento una misura sostitutiva della detenzione in carcere la cui applicazione è discrezionale, come ogni provvedimento di tale natura deve essere supportato da adeguata motivazione sulla sussistenza dei presupposti di legge applicati al caso concreto
2.Cass. pen. febbraio 2016 (ud. luglio 2015)
L’’espulsione dello straniero, identificato, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena anche residua non superiore a due anni per reati non ostativi, prevista dall’art. 16, c. 5, del T.U. Immigrazione ha natura amministrativa (Corte cost. ordinanza n. 226 del 2004) e costituisce un’atipica misura alternativa alla detenzione, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge, salve le situazioni di inespellibilità di cui al successivo art. 19, che devono essere integrate dalla ricorrenza, al momento della decisione, della compiuta situazione delineata dalla norma di rinvio
3.Cass. pen. settembre 2016 (ud. aprile 2016 )
L’espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena (non superiore a due anni, anche se costituente residuo di una maggior pena originaria) per reati diversi da quelli di natura ostativa indicati dalla legge, prevista dall’art. 16, c. 5, del T.U. Immigrazione, ha natura amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione, finalizzata a evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni stabilite dalla legge
4.Cass. pen. novembre 2016 (ud. aprile 2016 )
L’espulsione – prevista dall’art. 16, c. 5, del T.U. Immigrazione – dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena non superiore a due anni (anche se costituente residuo di una maggior pena detentiva originaria) per reati diversi da quelli di natura ostativa indicati dalla legge, ha natura amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione finalizzata a evitare il sovraffollamento carcerario – e non una misura di sicurezza fondata sulla pericolosità sociale del soggetto della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni stabilite dalla legge.
H) INGRESSO E SOGGIORNO ILLEGALE (ART. 10 BIS T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. gennaio 2016 (ud. luglio 2015)
Con le sentenze 6 dicembre 2012, causa C-430/11, Sagor e 21 marzo 2013, causa C-522/11, Mbaye, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, investita di questioni d’interpretazione pregiudiziale da giudici italiani, ha affermato che in linea di principio la contravvenzione prevista dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazioneè compatibile con la direttiva 2008/115/UE (cd.”direttiva rimpatri”): a condizione che la sua applicazione in concreto da parte del giudice non conduca a risultati incompatibili con la direttiva medesima, in particolare per ciò che concerne l’irrogazione di pene alternative di natura restrittiva che di fatto ostacolino l’effetto utile della direttiva costituito dalla possibilità di rimpatrio (in relazione alle quali è però ora intervenuto l’art. 3 della l. 161/2014) o la sanzione sostitutiva dell’espulsione, se disposta al di fuori delle ipotesi eccezionali previste dal p. 4 dell’art. 7 della Direttiva medesima. Più precisamente, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che la fattispecie dell’art. 10-bis di cui si discute non è in contrasto con la Direttiva comunitaria laddove prevede che lo straniero “irregolare” è sanzionato con la pena pecuniaria dell’ammenda da 5.000 a 10.000 Euro. Con l’avvertenza che, difettando allo stato una disciplina specifica che consenta il coordinamento tra l’esecuzione della permanenza domiciliare e la procedura di allontanamento coattivo dello straniero, sotto la vigilanza dell’autorità giudiziaria, la sanzione pecuniaria non potrà essere “sostituita” con la permanenza domiciliare. E neppure potrà essere sostituita con la misura dell’espulsione (ai sensi dell’art. 16, c. 1, del citato T.U. e dell’art. 62 bis del d. lgs. 274/2000), fatta eccezione per il caso in cui ricorra la duplice condizione: (a) che emerga dagli atti il concreto rischio di fuga da parte dello straniero, che dovrà essere apprezzato caso per caso dal giudice in base a un esame individuale della situazione dello straniero (p. 41 della sentenza Mbaye), giacchè ove tale rischio non sussista lo straniero ha diritto a una decisione di rimpatrio che gli riconosca, ai sensi dell’art. 7 della direttiva, un termine per la partenza volontaria, che non è in facoltà del giudice di pace concedergli; (b) che risulti accertato che è effettivamente possibile l’esecuzione immediata dell’espulsione e che non sussiste alcuna delle condizioni ostative di cui all’art. 14, c. 1, del ripetuto T.U. Ma, entro i limiti detti, la fattispecie contravvenzionale non può essere oggetto di disapplicazione. Non può invece incidere, allo stato, la circostanza che l’art. 2, c. 3, lett. b), della l. 67/2014 abbia delegato il Governo ad “abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo”, il reato previsto dalla norma in discussione, dal momento che il Governo non ha ancora provveduto a dare esecuzione alla delega.
2.Cass. pen. giugno 2016 (ud. febbraio 2016)
La contravvenzione prevista dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione non punisce la mera condizione di straniero irregolare, ma incrimina due specifici comportamenti, lesivi dell’interesse statale al controllo e alla gestione dei flussi migratori secondo un determinato assetto normativo e cioè, il “fare ingresso nel territorio dello Stato” (condotta attiva istantanea) ed il “trattenersi” nel territorio medesimo (condotta omissiva permanente) in violazione del predetto. Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza dì legittimità, ai fini della configurabilità del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato è sufficiente fornire la dimostrazione che il cittadino extracomunitario sia sprovvisto di un titolo legittimante l’ingresso o il soggiorno, ovvero che questo non sia in grado di allegare detta documentazione, con la conseguenza che lo extracomunitario, che, sia trovato nel territorio dello Stato sprovvisto di qualsivoglia documento identificativo e del permesso di soggiorno, per non incorrere nell’affermazione di responsabilità per il reato di ingresso illegale, di cui al citato art. 10 bis, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un titolo di ingresso o soggiorno, legittimante la sua condizione nello Stato
3.Cass. pen. agosto 2016 (ud. aprile 2016 )
Non può essere equiparata la condizione del soggetto ab initio entrato illegalmente nel territorio nazionale a quella del soggetto titolare di permesso di soggiorno rinnovabile ma scaduto, in presenza di richiesta di rinnovo. Tale condizione è astrattamente idonea a comportare una sospensione della punibilità (quantomeno sino alla comunicazione del diniego) posto che, in termini generali, l’art. 5, c. 9 bis, del T.U. Immigrazione pone la regola della legittima protrazione della permanenza nel territorio dello Stato sino alla valutazione della domanda di rinnovo [il S.C. ricorda di aver già avuto modo di precisare che non è consentita l’esplusione dello straniero come misura alternativa alla detenzione lì dove detta domanda sia ancora oggetto di valutazione (Sez. 1, n. 12547 del 16.3.2010 rv 246703)]
4.Cass. pen. agosto 2016 (ud. luglio 2016 )
Tra i permessi di soggiorno, il cui rilascio impone la sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 10 bis, c. 6, del T.U. Immigrazione, figura anche quello emesso ai sensi dell’art. 31 dello stesso T.U., perché tra i permessi di soggiorno da rilasciarsi, del permesso di soggiorno per motivi umanitari ovvero per obblighi costituzionali dello Stato italiano, tra cui rientrano quelli previsti dagli artt. 29-31 Cost., in tema di tutela della famiglia
5.Cass. pen. settembre 2016 (ud. luglio 2016 )
La contravvenzione di cui all’art. 10 bis del T.U. Immigrazione, che incrimina la condotta dello straniero che si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato, ha natura permanente, in quanto la condotta illecita e la situazione antigiuridica, dipendenti dalla volontà dell’agente, perdurano per tutto il tempo in cui il soggetto rimane illegalmente sul territorio nazionale
6.Cass. pen. ottobre 2016 (ud. novembre 2015)
Il termine (finale) di otto giorni lavorativi, indicato dall’art. 5, c. 2, del T.U. Immigrazione per la richiesta del permesso di soggiorno, è previsto a favore di chi faccia legalmente ingresso nel territorio dello Stato, attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti, mediante esibizione di passaporto o documento equipollente valido in base a regolare visto di soggiorno, salvi i casi di esenzione per i cittadini dell’area Schengen, mentre un ingresso clandestino e senza visto da paesi terzi non legittima una permanenza avente caratteristiche di volontarietà e apprezzabile continuità sul territorio dello Stato (caratteristiche ricavabili dal concetto del trattenersi sul territorio usato dal legislatore), neppure per il periodo limitato di otto giorni di alla norma citata
7.Cass. pen. novembre 2016 (ud. gennaio 2016)
La fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10 bis del T.U. Imigrazione, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la direttiva europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato.
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