Il rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo secondo il Consiglio di Stato

Indice:

Il fatto, i motivi addotti nell’appello al Consiglio di Stato e la posizione assunta dalla parte appellata
Le valutazioni giuridiche formulate dal Consiglio di Stato in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo
Conclusioni

Il fatto, i motivi addotti nell’appello al Consiglio di Stato e la posizione assunta dalla parte appellata
Posto che con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio, sezione staccata di Latina, veniva invocato l’annullamento di un provvedimento emesso da un Comune di sospensione, nonché immediata interruzione, delle opere in corso ed il divieto di divisione dei suoli ai sensi dell’art. 30 c. 7 d.P.R. 380/2001, oltre che di annullamento di un permesso di costruire, questo giudice accoglieva il ricorso rilevando che il provvedimento di annullamento in autotutela, oltre che privo di motivazione circa l’interesse pubblico ed attuale anche in relazione al tempo trascorso e all’affidamento dei privati, fosse anche in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa, tenuto conto di una deliberazione consiliare interpretativa delle disposizioni di Piano.
In relazione a tale provvedimento, veniva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato e, tra i motivi addotti, per quello che rileva in questa sede, da un lato, veniva fatto presente che il giudizio penale, conclusosi in via definitiva, avrebbe accertato il materiale contrasto tra il genuino ed originale contenuto del PRG del Comune che aveva messo il provvedimento summenzionato, e le attività di “rettifica” poste in essere, nel 2004, da un architetto, dall’altro, era rilevato che, forza di quanto emerso in sede penale, sarebbe stato del tutto non appropriato affermare che l’amministrazione avrebbe agito in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa.
Costituitasi in giudizio l’originaria ricorrente, costei eccepiva l’inammissibilità dell’appello per non avere l’appellante contestato la sentenza di prime cure nella parte in cui avrebbe affermato che il contenzioso in sede penale si era concluso con la formula “perché il fatto non sussiste“ e nella parte in cui si affermava che il Comune avrebbe dato conto alla Procura della Repubblica di Latina della correttezza del permesso.
Nel merito si sosteneva l’infondatezza dei motivi di appello, con particolar riguardo al fatto che la sentenza penale non avrebbe potuto scomporsi tra le varie parti in causa e quindi la acclarata insussistenza del fatto non avrebbe potuto giovare alla parte appellante.
>> Leggi anche: “Sindacato del giudice penale e giudicato del giudice amministrativo: una nuova soluzione al problema”
Le valutazioni giuridiche formulate dal Consiglio di Stato in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo
Per quello che rileva rispetto al tema trattato in questo scritto, il Consiglio di Stato, in ordine al rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo, rilevava innanzitutto che, quanto alla rilevanza del giudicato penale, l’efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., vale a dire quando all’esito del dibattimento è stata raggiunta la prova positiva dell’insussistenza dei fatti o della loro non attribuibilità all’imputato atteso che, come rilevato in sede di giustizia amministrativa (cfr. da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 1350): “Nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell’autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all’art. 654 c.p.p. secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all’amministrazione per l’accertamento dei fatti rilevanti nell’attività di vigilanza edilizia e urbanistica. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando il Comune non si sia costituito parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile. Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile.”
Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di Palazzo Spada osservavano come, per l’appunto nella fattispecie in esame, il giudicato penale fosse nel senso dell’impossibilità di affermare la piena assoluzione in ragione della logicità e correttezza della valutazione operata dalla Corte d’Appello in relazione all’illegittimità del permesso di costruire e, quindi, a loro avviso, sotto questo profilo era evidente che la qualificazione “illegittima” del provvedimento non vincolasse l’odierno giudicante che, però, poteva trarre argomento dal fatto accertato dalla sentenza della Suprema Corte secondo la quale il rilascio del permesso di costruire era derivata e indotta dalla rettifica della Tavola 5 a seguito e in funzione della richiesta di certificato di destinazione urbanistica.
Conclusioni
La decisione in questione è assai interessante dato che in essa si tratta in ordine al rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo.
Come è noto, il codice di procedura penale prevede, da un lato, che la “sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2”, cod. proc. pen. (art. 652, co. 1, c.p.p.) fermo restando che la “stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato” (art. 652, co. 2, c.p.p.), dall’altro, che, nei “confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa” (art. 654 c.p.p.).
Orbene, nella pronuncia qui in commento, i giudici amministrativi chiariscono in che modo il giudicato penale possa dispiegare i suoi effetti nel giudizio amministrativo rilevando a tal proposito, citando loro giurisprudenza conforme, che l’efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., vale a dire quando all’esito del dibattimento è stata raggiunta la prova positiva dell’insussistenza dei fatti o della loro non attribuibilità all’imputato atteso che, se sotto il profilo soggettivo, il giudicato (penale) è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile, sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile.
Ciò posto, tale orientamento ermeneutico è condivisibile, sia perché aderente al tenore letterale delle norme procedurali summenzionate atteso che, da una parte, nell’art. 652 c.p.p., si fa espresso riferimento all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, dall’altra, nell’art. 654 c.p.p., ci si riferisce, altrettanto espressamente, all’accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale, sia perché in linea con quell’approdo interpretativo, sostenuto dalla Cassazione penale, secondo sussiste “l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti, che gli artt. 652 e 653, cod. proc. pen., connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare” [Cass. pen., sez. III, 25/02/2016, n. 35277; in senso conforme, Cass. pen., sez. II, 18/05/2010, n. 33847 (“Sussiste l’interesse dell’imputato a impugnare la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, al fine di ottenere l’assoluzione perché il fatto non sussiste, avuto riguardo agli effetti pregiudizievoli derivanti dalla formula censurata in sede di giudizio amministrativo, civile o disciplinare”)] posto che, anche alla luce di tale indirizzo nomofilattico, la possibilità, che un provvedimento emesso in sede penale possa incidere in un giudizio amministrativo, è subordinato al fatto che in esso l’imputato venga assolto per insussistenza del fatto, e quindi per carenza dell’elemento oggettivo del reato che, a sua volta, come è noto, richiede l’accertamento della condotta materiale integrante l’illecito penale contestato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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