Il partenariato sociale

 SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale. 3. Il baratto amministrativo. 4. La cessione di immobili in cambio di opere.
1. Premessa
In piena emergenza socio-economica, oltre che sanitaria, il presente contributo mira ad approfondire, nell’ambito dell’ampia tematica del partenariato pubblico privato, quelle ipotesi cd. “residuali”, introdotte dal Legislatore giusto in occasione della promulgazione del nuovo Codice dei contratti pubblici (Titolo I, Parte IV). Invero, ora la disciplina codicistica prevede finanche tre forme di partenariato sociale, le quali potrebbero inaspettatamente rivelarsi determinanti per la ripartenza dell’Italia, proprio perché basate su una nuova concezione della collaborazione tra autorità pubblica e società civile.
Alla luce di quanto esposto, è possibile notare che se da una parte le disposizioni in materia di interventi di sussidiarietà orizzontale, baratto amministrativo e cessione di immobili in cambio di opere sono state inserite subito accanto a quelle inerenti i tradizionali contratti di PPP – dunque, senza particolari elementi distintivi –, dall’altra, presentano comunque delle peculiarità tali da richiedere una trattazione a parte.
Come è stato osservato in dottrina, il nostro Legislatore sembra aver collocato in questa posizione le tre fattispecie di partenariato sociale allo scopo di fugare ogni dubbio circa l’applicabilità di quella cd. disciplina quadro, già individuata dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato1 quale archetipo generale – si noti bene – del partenariato contrattuale, di cui agli articoli 180, 181, 182 del Codice, finanche a quest’ultime, sebbene di minor rilievo economico, reputandole in ogni caso di sicuro impatto sociale2.
Tuttavia, è impossibile non avvertire che le ipotesi partenariali di cui si va dicendo sono espressione del fondamentale principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, comma 4 della Costituzione (in particolar modo le prime due) – mentre, in verità, pare non potersi dire altrettanto dei modelli di PPP contrattuale generalmente intesi; dopotutto, istituti quali gli interventi di sussidiarietà orizzontale ed il baratto amministrativo rispondono ad una logica completamente estranea a quella che, all’opposto, regge il settore della contrattualistica pubblica.
In effetti, a ben vedere, le figure di partenariato sociale sembrano configurarsi piuttosto come manifestazioni atipiche del fenomeno partenariale, e quindi riconducibili al Titolo I della Parte IV in virtù della formula aperta e generale che chiude l’articolo 180, comma 8: “Nella tipologia dei contratti di cui al comma 1 rientrano […] qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti”. Quest’ultimo approccio, ad ogni buon conto, merita alcune importanti precisazioni: «le fattispecie regolate agli articoli 189, 190 e 191 del Codice si caratterizzano soprattutto per l’assenza di uno dei presupposti “tipici” dei PPP, ovverosia la necessaria produzione di un flusso di cassa economico attivo, anche accompagnato da un prezzo o da canone, derivante al partner privato dalla realizzazione, dalla messa in disponibilità o dalla gestione dell’opera»3.
In  questi casi, invero, la remunerazione dei soggetti privati è squisitamente “indiretta”, molte volte di natura fiscale: la riduzione o l’esenzione da alcuni tributi locali, oppure la possibilità di detrarre i costi sostenuti in sede di dichiarazione dei redditi; a queste, in aggiunta, può pure accompagnarsi una “contropartita” di tipo immateriale (senza dubbio difficilmente valutabile in termini economici). Si pensi, per esempio, alla ricaduta positiva in termini urbanistici e di decoro urbano nonché al beneficio che l’intera collettività può trarre dal recupero e dalla gestione comune di aree pubbliche degradate: non vi è alcun ritorno economico-patrimoniale, ma si ottengono un innalzamento dei livelli di vivibilità ed un miglioramento delle condizioni generali della comunità non affatto trascurabili.
Un altro elemento distintivo di queste declinazioni cd.“sociali” del partenariato pubblico privato sta nel fatto che, di norma, fin da subito la proposta, così come la progettazione, sono rimesse interamente all’operatore economico privato – il che è del tutto eccezionale, vista altresì l’intenzione della Commissione Europea di riportare l’intera fase di progettazione in capo all’Amministrazione, lasciando viceversa ai privati la sola fase di esecuzione4.
Proprio in forza di quest’ultimo dato, siffatte puntualizzazioni potrebbero apparire vane nel momento in cui la Commissione Speciale del Consiglio ha già avuto modo di chiarire che, in realtà, le diverse forme di partenariato pubblico privato non sono tutte esattamente riconducibili né all’appalto né tantomeno alla concessione; di conseguenza, la normativa codicistica di cui agli articoli 180, 181, 182 del Codice è da considerarsi semplicemente quale “disciplina quadro” del partenariato pubblico privato contrattuale, da integrare eventualmente con le specifiche disposizioni dedicate all’istituto in questione5.
Allo stesso tempo, però, essendo gli interventi di sussidiarietà orizzontale ed il baratto amministrativo deficitari di qualsivoglia finalità lucrativa propria di appalto e concessione, oltre a sfuggire all’applicazione delle recenti direttive eurounitarie, è il loro nesso sinallagmatico ad essere costantemente posto in discussione dagli studiosi6: l’agevolazione e/o esenzione fiscale di cui si è accennato non pare difatti riconducibile ad alcuna delle forme di corrispettività previste nell’articolo 180, comma 2 del D.lgs. 50/20167, tanto è vero che in questi casi non si procede a redigere alcun PEF.
Di conseguenza, si avverte sin da ora la necessità di mettere in luce qualche incongruenza in ordine alle singole fattispecie che il Legislatore ha ricompreso nella categoria del cd. partenariato sociale. Invero, se da un lato le prime due presentano senz’altro elementi comuni – poiché, come si avrà modo di vedere infra, entrambe consentono ai cittadini di occuparsi degli spazi pubblici del comprensorio in cui loro stessi vivono, ricevendo in cambio agevolazioni fiscali di diversa natura8 –, dall’altro lato la terza, ossia la cessione di immobili in cambio di opere, si rivela alquanto peculiare, al punto che non pare azzardato metterne in discussione la sua stessa riconducibilità al partenariato sociale.
Dunque, all’interno del nuovo Codice del contratti pubblici le declinazioni sociali del fenomeno partenariale risultano, a tutti gli effetti, inquadrate nella cornice del PPP contrattuale; tuttavia, la scelta del Legislatore di inserire tali ipotesi di cooperazione sociale tra la Pubblica Amministrazione ed i privati (totalmente estranee alla logica economica) nel quadro di siffatta disciplina suscita parecchie perplessità, finanche a quattro anni di distanza9. D’altronde non è un caso se la dottrina sul punto si è letteralmente divisa: se da un lato quella minoritaria10, giudica la collocazione topografica del partenariato sociale – tra l’altro nemmeno riconducibili a qualcuna delle fattispecie di cui all’articolo 3, comma 15-ter del vecchio Codice – assai infelice; per converso, un cospicuo numero di autori ne sta attualmente rivalutando l’originaria qualificazione, anzitutto per quanto riguarda il baratto amministrativo ex articolo 190 del Codice: considerato l’uso in chiave di sostegno sociale che ne fanno sempre più enti territoriali (sul punto si veda infra), sulla tipica logica partecipativa pare ormai prevalere lo scambio di utilità.
2. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale
La prima delle tre figure di PPP che nella disciplina dei contratti pubblici del 2006 non erano previste è rappresentata dai cc.dd. interventi di sussidiarietà orizzontale. A ben vedere, non è un caso che la norma sia stata rubricata al plurale: all’articolo 189 il Codice dei contratti pubblici disciplina infatti ben due differenti fattispecie di partenariato sociale. Nello specifico, il comma 1 è riservato alla “gestione diretta delle aree e degli immobili”; i commi 2-5 invece alla “realizzazione di opere di interesse locale”.
Va precisato che, nonostante la loro indiscutibile portata innovativa nell’ambito codicistico, complessivamente, entrambe erano viceversa già note al nostro ordinamento giuridico: la prima riecheggia infatti l’articolo 4 della legge 10 gennaio 2013, n.10 recante “Misure per la salvaguardia e la gestione delle dotazioni territoriali di standard previste nell’ambito degli strumenti urbanistici attuativi dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444”; la seconda l’articolo 23 del decreto legge 28 novembre, n.185 circa “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”.
«La ratio perseguita dal Legislatore è stata quella di confermare, finanche a livello codicistico, la volontà di promuovere una virtuosa applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate tramite l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali, come direttrici dell’azione amministrativa relative alla tutela del territorio e della manutenzione di esso»11. Anzi, è proprio calando tali attività nel paradigma partenariale che si è dato ulteriore risalto al ruolo che la società civile svolge nel perseguire finalità di interesse generale, oltre che una maggior dignità normativa rispetto al passato.
La prima forma di intervento attiene alla gestione delle aree riservate al verde pubblico urbano e degli immobili di origine rurale riservati alle attività collettive sociali e culturali di quartiere12: per quanto riguarda la manutenzione, difatti, questa può essere affidata – nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento – a soggetti privati. La disposizione in esame, tuttavia, assicura un diritto di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori territoriali su cui insistono le aree e/o gli immobili interessati che costituiscano un consorzio pari ad almeno il 66% della proprietà di lottizzazione. Inoltre, questi ultimi possono essere altresì favoriti da regioni e comuni mediante la messa a disposizione di numerosi incentivi, riduzione dei tributi propri compresa.
Analogamente, la seconda forma di intervento di cui ai commi 2-5 riserva a gruppi di cittadini organizzati la possibilità di presentare all’ente locale territorialmente competente proposte operative di pronta realizzabilità, nel rispetto della disciplina urbanistica nonché di tutela storico- artistica e paesaggistico-ambientale, indicandone costi e mezzi di finanziamento ma prive di spese a carico della PA. Del resto, parimenti al baratto amministrativo di cui si dirà infra, nulla prevede il Codice circa la progettazione di siffatti interventi: una volta ricevuta la proposta, l’ente ha due mesi di tempo per ultimarne la valutazione con il rilascio di un provvedimento espresso, altrimenti la si intende in ogni caso respinta. Ove, all’opposto, la proposta di intervento venga accettata, l’amministrazione allora ne dispone l’approvazione con una delibera motivata, che regoli tra l’altro le fasi essenziali ed i tempi di esecuzione del procedimento.
Per concludere, se da un lato le opere realizzate dai consorzi di cittadini vengono sempre acquisite a titolo originario al patrimonio indisponibile dell’ente, dall’altro, è direttamente il comma 5 ad escludere, a titolo incentivante, la possibilità che la loro realizzazione determini oneri fiscali ed amministrativi a carico di costoro (fatta salva l’imposta sul valore aggiunto). Piuttosto, le spese sostenute dai gruppi attuatori per formulare proposte e costruire opere sono in un primo momento detraibili dall’imposta sul reddito, per poi divenire, successivamente, detraibili dai tributi propri dell’ente competente.
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3. Il baratto amministrativo
All’interno del nuovo Codice è l’articolo 190 a disciplinare l’istituto del baratto amministrativo, istituto di cui, in realtà, il nostro ordinamento era già a conoscenza: questo fu infatti introdotto per la prima volta dall’articolo 24 del decreto legge 12 settembre 2014, n.133 (il cd. decreto Sblocca Italia) contenente “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”13.
Nonostante l’innegabile simiglianza con la disposizione antecedente, la normativa codicistica ha riformato, e non di poco, la seconda forma di partenariato sociale in esame: in primo luogo, è stata estesa a tutti gli enti territoriali la possibilità di ricorrere a tale strumento, dapprincipio riservato esclusivamente ai Comuni; in più, è stato soppresso l’ordine di priorità in favore di comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute: oggi le riduzioni tributarie vengono difatti concesse in ugual maniera tanto a fronte di iniziative provenienti da cittadini singolarmente considerati, quanto a fronte di iniziative promosse da cittadini costituitisi in associazioni – sempre purché individuate in relazione ad un preciso ambito territoriale14, ma non più necessariamente da riqualificare.
Come se non bastasse, è stato considerevolmente esteso il catalogo degli interventi15 che possono essere portati a termine mediante il baratto amministrativo: “la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere16, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati”17. Posto ciò, la svolta più ragguardevole la si registra senza dubbio in ordine alle agevolazioni tributarie: per prima cosa, ora non si reputa più indispensabile quel rapporto di “stretta inerenza” che prima doveva sussistere tra gli interventi con cui i cittadini potevano prendersi cura nonché valorizzare il loro comprensorio e le esenzioni e/o riduzioni di tributi che il Comune poteva riconoscere loro18, benché soltanto per un periodo limitato e definito di tempo.
In effetti, che attualmente l’articolo 190 del Codice si limiti a richiedere “corrispondenza” tra lo scomputo ed il tipo di attività svolta, o quantomeno che si tratti di riduzioni e/o esenzioni comunque utili alla comunità di riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa, non è questione di poco conto. Proprio a tal proposito, si è espressa la Corte dei Conti, Emilia-Romagna, sezione controllo, che in relazione all’articolo 24 del cd. Sblocca Italia ha negato nel modo più assoluto la possibilità per il cittadino debitore di adempiere a tributi locali, compresi quelli di esercizi finanziari passati, mediante una delle attività in relazione alla cura e/o valorizzazione del territorio previste da suddetta norma, anziché effettuare il pagamento dovuto. Invero, così si andrebbe a configurare una sorta di datio in solutum ex articolo 1197 del Codice Civile che non solo rischia di determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio, ma che esorbita pure dall’ambito di applicazione della norma stessa giacché verrebbe meno il requisito dell’inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta19.
Tra l’altro, sempre in questa occasione, la sezione emiliano-romagnola della Corte dei Conti ha posto in evidenza un ulteriore elemento imprescindibile per poter correttamente applicare il baratto amministrativo – rimasto tale altresì ai sensi dell’articolo 190 del Codice. Siccome l’impiego di codesto istituto, oltre che un vantaggio tributario per il cittadino, comporta un’impegnativa riduzione delle entrate, viene allora imposto agli enti territoriali di approvare un apposito regolamento amministrativo (atto a valenza generale) ove vengano stabiliti i criteri e le condizioni in base ai quali i cittadini possono presentare i loro progetti così come le tipologie di interventi e l’entità massima delle agevolazioni offerte in quello specifico distretto. Parimenti, spetta a loro quantificare in termini monetari le prestazione soggettive in base alla durata (oraria o giornaliera) o al risultato da raggiungere (oneri di tipo assicurativo ed antinfortunistico inclusi), le quali in ogni caso potranno essere contabilizzate a sgravio, compensazione o riduzione dei crediti tributari solo dopo aver verificato che quanto proposto è stato effettivamente eseguito.
A ben vedere, le prescrizioni suesposte richiamano quelle che sono le finalità stesse del baratto amministrativo, strumento tramite cui i soggetti amministrati hanno l’opportunità di attivarsi per la cura dei beni comuni, avvantaggiando al contempo l’amministrazione locale che può così avvalersi delle preziose risorse e competenze dei privati; ciò nonostante, è indispensabile delimitare ambito e funzione dell’istituto in esame, posto che questo deve necessariamente conservare una funzione residuale: il compito di assolvere alle funzioni di interesse pubblico che riguardano la collettività rimane pur sempre in capo all’ente territoriale.
Ed in merito a ciò, è bene considerare che il baratto amministrativo non opera direttamente ex lege, dacché è rimesso all’iniziativa discrezionale dei diversi enti territoriali – i quali perciò possono ma non sono tenuti ad attivarlo –; conseguentemente, in caso di inerzia i cittadini interessati non hanno alcuna tutela giuridica nei confronti dell’amministrazione.
Per converso, non si ha alcuna precisa indicazione, nemmeno di matrice giurisprudenziale, circa le modalità procedurali attraverso cui sia possibile addivenire a convenzioni di questa sorta: premesso che sarà il regolamento, pure in questa ipotesi, a definire volta per volta il relativo procedimento da seguire, l’orientamento prevalente sembra ammettere che quest’ultime possano essere affidate senza particolari formalità, a patto che venga tuttavia garantito il rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità di cui all’articolo 30 del Codice dei contratti pubblici.
«L’area d’intervento del baratto amministrativo concerne quindi i servizi strumentali, le iniziative culturali ed il recupero di beni pubblici e l’utilità retrocessa dall’amministrazione per la prestazione eseguita non prevede lucro, bensì riduzione o esenzione di tributi corrispondenti all’attività svolta dal privato o dall’associazione, in funzione dell’utilità che ne deriva alla Pubblica Amministrazione locale»20: d’altronde, non è un caso se, a parere della Corte dei Conti, Lombardia, sezione controllo, il baratto amministrativo può essere identificato quale “misura di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio, per il tramite di vantaggi fiscali”21.
Dopotutto, tale modello di collaborazione rappresenta un’interessante declinazione dello strumento partenariale, poiché è in grado di coinvolgere nello svolgimento di attività di interesse generale non solo gli operatori economici, ma finanche i cittadini (singoli ed associati), dando quindi piena attuazione a quel principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, comma 4 della Costituzione22.
Riprendendo ancora una volta la giurisprudenza contabile, è proprio in virtù di tutto ciò che “si giustifica, pertanto, l’erogazione di incentivi anche sotto forma di riduzione di tributi”23. Allo stesso tempo, però, è sempre la Corte dei Conti, Veneto, sezione controllo, a puntualizzare che “il baratto amministrativo non può essere utilizzato per eludere né le regole di evidenza pubblica per i contratti della PA né i vincoli di finanza pubblica”24. Del resto, per quanto il baratto amministrativo si profili quale istituto con finalità sociali di cittadinanza attiva e si fondi, pertanto, sull’iniziativa di semplici cittadini, i progetti presentati devono essere comunque tali da consentire l’esecuzione dell’intervento; dunque, devono essere in ogni caso rispettate tutte le regole sui livelli e contenuti della progettazione di cui all’articolo 23 del Codice.
Peraltro, il giudice contabile, una volta preso atto che nel baratto amministrativo si ritrovano prestazioni poste in essere da soggetti beneficiari di provvidenze economiche che danno vita a forme di corrispettività, le quali logicamente rientrano a fatica nelle cd. esperienze di sussidiarietà orizzontale (contrassegnate dall’assenza di legami sinallagmatici con le prestazioni svolte), ha escluso che il baratto amministrativo possa essere applicato pure alle imprese: “tale effetto produrrebbe una sostanziale elusione delle regole di evidenza pubblica, alterando la concorrenza”.
Parimenti, prima la sezione veneta25 e poi la sezione delle Autonomie26, hanno chiarito come non vi sia alcun punto di contatto tra l’istituto in esame ed il volontariato, mancando il primo dei requisiti di gratuità, personalità e spontaneità della prestazione. Di conseguenza, la figura di cui all’articolo 190 del Codice si differenzia dalle sempre più numerose esperienze di cittadinanza attiva su base mutualistica che si stanno diffondendo in molti Comuni italiani.
Il baratto amministrativo, come si è visto, è stato spesso fatto oggetto di pronunce giurisprudenziali: tanto prima della promulgazione del nuovo Codice dei contratti pubblici quanto dopo, ha coinvolto massimamente le funzioni della Corte dei Conti ai sensi degli articoli 100 e 103 della Costituzione. E non poteva essere altrimenti, tenuto conto che tale istituto, prevedendo un beneficio fiscale, va a toccare alcuni principi costituzionali fondamentali quali l’indisponibilità tributaria, la capacità contributiva, l’equilibrio di bilancio, il buon andamento della pubblica amministrazione (materie di contabilità pubblica).
Riprendendo ancora una volta la pronuncia n. 27/2016 della sezione regionale di controllo dell’Emilia Romagna, la quale ha vincolato il baratto amministrativo al rispetto del principio dell’indisponibilità tributaria (nel nostro ordinamento derogabile solo in forza di disposizione di legge), si è osservato che le agevolazioni fiscali previste dall’articolo 190 sono legittime solo a fronte di obbligazioni pro futuro – ossia quelle sorte posteriormente all’approvazione della delibera che disciplina per via regolamentare la fattispecie –; ed a tale rigida posizione si sono poi conformate tutte le diverse sezioni regionali27 nelle loro rispettive pronunce28.
Tra l’altro la Corte dei Conti, in funzione consultiva, è stata investita di un’altra importante questione attinente la materia fiscale: quella dell’estendibilità o meno del baratto amministrativo alle entrate extratributarie connesse all’erogazione di pubblici servizi o di prestazioni su domanda individuale. In questo caso, invece, si sono registrati pareri diametralmente opposti, probabilmente a causa dell’ambigua formulazione dell’articolo 190 sul punto: mentre la sezione di controllo veneta29 – in virtù del fatto che la disposizione fa esplicito riferimento ai tributi – lo ha escluso categoricamente, la sezione di controllo lombarda30 – partendo dall’assenza di uno specifico divieto e facendo leva sul fatto che la PA nell’adottare atti non autoritativi applica le norme di diritto privato – ha avallato l’estensione dello strumento in esame ai crediti extratributari, sebbene limitata alle fattispecie previamente tipizzate da ciascune ente locale31.
Complessivamente, tenuto conto della non completa e puntuale definizione codicistica nonché dell’interpretazione piuttosto eterogenea che ne hanno dato i regolamenti comunali destinati alla disciplina del baratto amministrativi, non è possibile negare che le indicazioni più utili alla definizione dell’istituto provengono dai pareri emessi dalle sezioni regionali della Corte dei Conti.
In chiusura, non si può fare a meno di segnalare come il baratto amministrativo, dopo aver percorso varie tappe di un percorso già assai accidentato e confuso nonostante la sua giovane storia, pare aver intrapreso una terza via, che si discosta tanto dalle logiche sottese al partenariato pubblico privato oneroso a cui il nuovo Codice dei contratti pubblici lo ha ricondotto, quanto all’originaria finalità di incentivare e sostenere iniziative virtuose dei cittadini a vantaggio della collettività sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale.
Invero, da due anni a questa parte la fattispecie di cui all’articolo 190 viene perlopiù applicata dalle amministrazioni locali per sostenere quei cittadini che non riescono ad onorare i propri debiti fiscali, rendendo in tal modo il baratto amministrativo uno strumento di sostegno sociale. «Questa peculiare declinazione del baratto amministrativo offre al cittadino una duplice possibilità di scelta: pagare il proprio debito fiscale nei modi e nelle forme ordinarie previste dalla legge oppure scambiarlo con attività positive da esercitare nei confronti della comunità, che consentono l’applicazione di uno sconto o, addirittura, l’annullamento del debito fiscale»32.
4. La cessione di immobili in cambio di opere
Sebbene si configuri più come una modalità alternativa per remunerare un appalto di lavori pubblici, all’articolo 191 del Codice dei contratti pubblici – quindi giusto in chiusura del Titolo I dedicato al partenariato pubblico privato, il Legislatore ha inserito la cessione di immobili in cambio di opere pubbliche. Una novità che tuttavia affonda le sue radici nell’appalto con corrispettivo immobiliare di cui all’articolo 53, comma 6 del Codice previgente. Ad avvicinarlo alle restanti figure di partenariato sociale sono piuttosto gli obiettivi che si tenta di perseguire attraverso siffatto istituto: la valorizzazione del patrimonio pubblico, in particolar modo di quello poco appetibile per il mercato, ed il risanamento di una serie di immobili alla cui manutenzione la PA non è più in grado di provvedere. In questo modo il soggetto pubblico tanto realizza risorse da reinvestire, quanto migliora e tutela la qualità del decoro urbano33.
Venendo alla fattispecie, per l’amministrazione aggiudicatrice questa si concretizza nel trasferimento della proprietà di beni immobili all’affidatario dei lavori, a titolo di corrispettivo totale o parziale. Del resto, similmente a interventi di sussidiarietà orizzontale e baratto amministrativo, il Codice è piuttosto scarno circa il contenuto del contratto e la corrispondente aggiudicazione.
In effetti, la disposizione in esame mira innanzitutto ad individuare quali tipologie di beni appartenenti all’amministrazione possono essere fatti oggetto di cessione: si tratta principalmente degli immobili che, dopo un’attenta valutazione, l’amministrazione ha ragione di ritenere non più confacenti ad assolvere funzioni di pubblico interesse; a questi poi si aggiungono gli immobili in procinto di essere dismessi, a patto però che il bando o l’avviso per la loro alienazione non sia ancora stato pubblicato, o che comunque la relativa procedura abbia già avuto esito negativo.
Tuttavia, l’aspetto più problematico resta sempre la stima del valore economico dei beni da trasferire: a norma del comma 2-bi s viene determinato dal Responsabile Unico del Procedimento (RUP), una volta che i competenti uffici titolari di tali cespiti ne hanno appurato l’esatto valore di mercato. Ma non sono previsti meccanismi di compensazione a tutela dell’operatore privato né in caso di deprezzamento degli immobili ceduti a titolo di corrispettivo né in caso di aumento dei costi relativi all’esecuzione dell’appalto, anche qualora per effetto di cause o motivi ad esso non imputabili.
La cessione di immobili in cambio di opere presenta una modalità di aggiudicazione doppia: se da un lato la procedura di gara per la realizzazione dell’opera è identica a quella dell’appalto di lavori, dunque a ribasso, dall’altra l’acquisizione dei beni si configura come un’asta al rialzo, in occasione della quale i partecipanti rilanciano in base all’importo delle proprietà descritto nel capitolato prestazionale34.
Successivamente, se i lavori sono stati effettivamente ultimati alle condizioni pattuite, l’amministrazione procederà a liberare l’immobile ed a trasferirne la proprietà al cessionario privato, con tutte le spese a suo carico. Nondimeno, il bando può sempre prevedere che la cessione avvenga in un periodo antecedente al collaudo dell’opera, previa presentazione di idonea polizza fideiussoria per un valore pari al valore dell’immobile medesimo35.
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Note
1 Si consideri, sul punto, Cons. St., comm. spec., parere n. 855, 1 aprile 2016
2 Si veda G. Santi, Il partenariato pubblico-privato ed il contratto di concessione nella normativa europea e nazionale. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale ed il baratto amministrativo. Il contraente generale, in Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Mastragostino F. (a cura di), ediz. 2019, p. 202
3 M. Viggiani, Le forme di partenariato, in Appalti Pubblici, 10 voll., Cabiddu M.A., Colombo M.C. (a cura di), Milano, Il Sole 24 Ore Editore, 2018, VII, Partenariato pubblico e privato/1. Forme, profili finanziari e internazionali, pp. 37
4 Cfr. Ibidem
5 In questi termini Cons. St., comm. spec., cit.
6 L. Caianiello, Il partenariato sociale, in Note sui contratti pubblici alla luce del nuovo Codice, A. Clarizia, ediz. 2016, p. 4
7 Art. 180, comma 2, prima parte D.lgs. 50/2016: “Nei contratti di partenariato pubblico privato, i ricavi di gestione dell’operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall’ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna”
8 Nello specifico, le agevolazioni sono tassative per gli interventi di sussidiarietà orizzontale sotto forma di opere di interesse locale ed per il baratto amministrativo, facoltative per gli interventi di sussidiarietà orizzontale sotto forma di gestione di aree verdi ed immobili rurali
9 Inoltre, sebbene questa sia effettivamente la loro prima comparsa nella normativa sui contratti pubblici, nessuna delle tre fattispecie di partenariato sociale, in realtà, si configura quale novità assoluta per l’ordinamento italiano, visto che gli articoli 189, 190 e 191 ricalcano, sostanzialmente, precedenti disposizioni legislative, oggi per lo più abrogate
10 In questi termini R. De Nictolis, Il baratto amministrativo (o partenariato sociale), in La co-città. Diritto urbano e politiche pubbliche per i beni comuni e la rigenerazione urbana, P. Chirulli, C.Iaione (a cura di), ediz. 2018, pp. 61-82
11 M. Viggiani, op. cit., p. 38
12 Sul punto M. Viggiani, op. cit., p. 39
13 A onor del vero, un embrione di siffatto istituto era già stato individuato nell’art. 11, comma 2, lettera f) del D.L. 14 marzo 2011, n. 23 recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”, poi abrogato dalla L. 27 dicembre 2015, n. 208
14 «Il riferimento al preciso ambito territoriale non è un elemento soggettivo riferito ai cittadini che assumono l’iniziativa, ma un elemento oggettivo riferito all’ambito territoriale cui si riferisce il progetto» (R. De Nictolis, op. cit., p. 83)
15 In ogni caso, il baratto amministrativo afferisce esclusivamente a beni già esistenti, mentre vi esulano tanto la realizzazione ex novo di opere pubbliche, quanto qualsivoglia attività di tipo lucrativo o commerciale.
16 Novità che estende di molto le possibili attività oggetto di baratto amministrativo e quindi di partenariato.
17 D.L. 12 settembre 2014, n. 133, art. 24, comma 1, seconda parte: “Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade ed in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano”
18 Si veda R. De Nictolis, op. cit., p. 64
19 Sul punto C. Conti sez. reg.le Emilia-Romagna, parere n. 27, 9 marzo 2016
20 G. Santi, op. cit., p. 204
21 Sul punto C. Conti sez. controllo reg.le Lombardia, deliberazione n. 172, 17 giugno 2016
22 Si veda F. Giglioni, Limiti e potenzialità del baratto amministrativo, Rivista trimestrale di scienze dell’amministrazione, 3, 2016; M. Baldi, Locazione finanziaria, contratto di disponibilità e baratto amministrativo nel D.lgs. 50/2016, Urbanistica e appalti, 980, 2016
23 Sul punto C. Conti sez. controllo reg.le Veneto, deliberazione n. 313, 7 giugno 2016
24 Cfr. Ibidem
25 Cfr. Ibidem
26 Si veda C. Conti, sez. Autonomie, deliberazione n. 26, 14 novembre 2017
27 Si veda C. Conti, sez. controllo reg.le Veneto, cit.; C. Conti, sez. controllo reg.le Lombardia, cit.
28 «Ciononostante, si deve registrare che la maggior parte dei regolamenti sul baratto amministrativo, non è conforme ai pareri delle Sezioni regionali, ponendosi dunque in contrasto con quella che, secondo la Corte dei Conti, è la ratio dell’articolo 190, ed esponendo gli amministratori locali a possibili azioni di responsabilità erariale» (V. Manzetti, Baratto o baratti amministrativi. Una questione da dirimere, 2018, p. 27)
29 In questi termini C. Conti sez. controllo reg.le Veneto, cit.
30 Sul punto C. Conti sez. controllo reg.le Lombardia, deliberazione n. 225, 6 settembre 2016
31 Si veda V. Manzetti, op. cit., p. 28
32 F. Giglioni, op.cit., p. 3
33 Si veda M. Viggiani, op. cit., p. 43
34 Si veda M. Viggiani, op. cit., p. 44
35 Art. 191, comma 3, D.lgs. 50/2016
 
 
 

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