Il giudice deve liquidare il danno morale subito dal paziente per un evento di malpractice medica se quest’ultimo fornisce la prova che le conseguenze dannose subite sono specifiche rispetto a quelle subite da altri soggetti con stesse caratteristiche e stesso grado di invalidità

 
Fatto
Nel caso oggetto di esame della corte di cassazione, una paziente lamentava di aver subito presso l’ospedale di Siracusa un intervento di endoscopia, che era stato eseguito dal medico senza che fosse stato eseguito alcun accertamento ecografico preventivo e senza che quest’ultimo avesse fornito al paziente alcuna informazione circa i rischi e le possibili alternative dell’intervento.
L’attrice proseguiva rilevando come l’endoscopia fosse stata effettuata dopo che non erano andati a buon fine vari tentativi di inserire lo strumento chirurgico attraverso la sonda per le vie biliari e rilevava che la patologia della donna non fosse stata risolta. Anzi, quest’ultima lamentava che il quadro clinico era peggiorato dopo l’intervento. Infatti, il giorno successivo la stessa aveva effettuato una TAC dalla quale era emersa una pancreatite acuta, a causa della quale la paziente era stata ricoverata immediatamente al centro di rianimazione dell’ospedale e dopo poco era stata trasferita in elicottero all’ospedale di Roma, dove si era sottoposta ad una terapia farmacologica per circa 50 giorni prima di essere finalmente dimessa.
La paziente, ritenendo sussistente una responsabilità della struttura sanitaria e del medico che aveva effettuato l’endoscopia, aveva introdotto un giudizio di accertamento tecnico preventivo presso il tribunale di Catania, all’esito del quale i consulenti tecnici d’ufficio avevano accertato la sussistenza di un danno biologico permanente a carico della paziente pari all’8% nonché una riduzione della sua capacità lavorativa specifica e un’invalidità temporanea complessiva di circa 160 giorni.
In considerazione di ciò, la paziente adiva il tribunale di Catania, in un giudizio ordinario, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa della vicenda di cui sopra. Tuttavia, il tribunale siciliano respingeva la domanda di risarcimento danni formulata dall’attrice nei confronti della struttura sanitaria nonché nei confronti del medico e la condannava al rimborso delle spese legali a favore dei convenuti.
Parte attrice, ritenendo erronea la decisione di primo grado, la impugnava dinanzi alla corte di appello di Catania, chiedendone la riforma. La Corte territoriale siciliana riteneva sussistente una responsabilità, sia del chirurgo che aveva effettuato l’endoscopia che della struttura sanitaria, per i danni subiti dalla paziente e conseguentemente li condannava, in solido, al relativo risarcimento in favore della stessa che liquidava nell’importo di circa 25.000 euro a titolo di danno biologico.
L’attrice, non soddisfatta neanche dalla sentenza della corte di appello, ricorreva in Cassazione, facendo valere – per quanto qui di interesse – un motivo di impugnazione legato al mancato riconoscimento del danno morale.
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La decisione della Corte di Cassazione
La corte di cassazione ha accolto il ricorso promosso dalla paziente, ritenendo fondato il motivo dalla stessa invocato e relativo al mancato riconoscimento del danno morale.
Preliminarmente, gli ermellini hanno ribadito che la liquidazione del danno morale non può essere ritenuta una conseguenza che deriva automaticamente dal fatto che viene accertato un danno biologico a carico del paziente danneggiato. Ciò nonostante, prosegue la corte di cassazione, al danno morale deve essere riconosciuta una autonoma consistenza nel caso in cui esso si riferisca a dei pregiudizi che non hanno una natura di carattere organica (pertanto non sono ricompresi all’interno del danno biologico) e sono estranei alla determinazione di carattere medico legale del grado di percentuale di invalidità permanente del danneggiato. Tra queste tipologie di pregiudizi, la corte di cassazione ricorda il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione.
In tali casi, quindi, il danno morale dovrà essere risarcito, proprio in quanto mira a rifondere dei pregiudizi non compresi del danno biologico.
Secondo la Corte di cassazione, infatti, la liquidazione del danno alla persona deve sicuramente effettuarsi in maniera tale da non compiere delle duplicazioni risarcitorie a favore del paziente (da ciò deriva il principio dell’unitarietà del danno non patrimoniale), tuttavia tale liquidazione deve tenere anche conto del fatto che il paziente danneggiato deve essere risarcito per tutti i danni dallo stesso subiti. In altri termini, la vittima dell’evento dannoso deve ottenere un integrale risarcimento del danno e deve essere compensata per tutte le conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’evento dannoso: mentre il danno biologico non necessariamente esaurisce il danno non patrimoniale subito dalla persona.
In considerazione di ciò, la corte di cassazione evidenzia come il principio di unitarietà del danno non patrimoniale ripetutamente affermato dalla stessa suprema corte e la diffusione e la incentivazione all’uso delle tabelle di liquidazione del danno biologico, non esonerano il giudice dall’obbligo di individuare in maniera chiara quali sono i criteri che egli ha adottato per liquidare i danni e di specificare il contenuto descrittivo del danno liquidato.
Ebbene, qualora le conseguenze negative subite dal paziente nel caso esaminato dal giudice non siano diverse rispetto a quelle che subiscono le altre vittime della stessa tipologia e con lo stesso grado di invalidità permanente, non potrà essere riconosciuta al danneggiato alcun ulteriore voce di danno rispetto a quella biologica (proprio in considerazione dell’unitarietà del danno). Invece, il giudice dovrà accogliere la richiesta risarcitoria per le ulteriori voci di danno nel caso in cui ricorrano le due seguenti condizioni: 1) il risarcimento danni per quella voce non è già stato riconosciuto; 2) l’attore provi l’esistenza di circostanze di fatto che giustifichino l’accoglimento della domanda e quindi dimostrino delle conseguenze specifiche a carico del danneggiato.
Secondo gli ermellini, infatti, non è sufficiente che l’attore lamenti genericamente una sofferenza fisica derivante dall’intervento chirurgico, egli dovrà invece dimostrare la sussistenza di una sofferenza interiore (appunto identificabile nel cosiddetto danno morale) che sia derivata dalle modalità con cui il danneggiato ha percepito la lesione oppure dalle specifiche circostanze in cui si è manifestato l’illecito oppure ancora dalla specifica gravità della condotta dell’agente.
A tal fine, l’attore dovrà dimostrare, attraverso qualsiasi mezzo di prova (ivi compreso il fatto notorio le massime di esperienza o la logica inferenziale), l’esistenza di circostanze specifiche che dimostrino che, nel caso di specie, si sono verificate delle conseguenze peculiari tali da rendere il pregiudizio sofferto dalla vittima diverso e maggiore rispetto a quello che succede nella normalità dei casi simili.
Ebbene, nel caso di specie, la corte di cassazione ha ritenuto che la paziente avesse dimostrato l’esistenza di ulteriori profili di danno, diversi da quelli compresi nel danno biologico, in particolare provando l’esistenza di circostanze di fatto (quali: il ricovero in terapia intensiva, il trasferimento d’urgenza con l’elicottero in un altro ospedale, i ripetuti successivi interventi per risolvere la problematica non risolta dall’intervento de quo, la necessità di continuo monitoraggio delle condizioni di salute), dai quali è possibile desumere, anche in via induttiva, che la paziente abbia sofferto avuto delle sofferenze e delle angosce a causa del sinistro che andavano al di là dei limiti della normale sofferenza insita nel danno biologico.
In considerazione di ciò, la corte di cassazione ha cassato la sentenza della corte territoriale che non aveva accolto la richiesta risarcitoria per il danno morale ed ha inviato nuovamente la decisione alla corte d’appello siciliana affinché si pronunci tenendo in considerazione il suddetto principio.
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