Il finanziamento della lite nel processo civile e nell’arbitrato

Opportunità e criticità: dal compenso per il finanziatore alle questioni sulla validità di alcune clausole.
In attesa di una Direttiva europea
Il Third Party Funding Litigation, per brevità TPFL o TPF, nasce nei Paesi di common law ed è una forma di finanziamento delle parti coinvolte nei procedimenti ordinari; negli ultimi anni, lo strumento si sta affacciando anche nel mondo dell’arbitrato.
Non è ancora particolarmente diffuso in Italia, tuttavia presenta diversi vantaggi: risponde all’esigenza di finanziare cause o arbitrati in aree particolarmente complesse e con importi elevati.
Il TPF consente infatti a una parte che non può o non vuole sostenere i costi del contenzioso di poter affrontare il giudizio senza sopportare alcun costo, compresi i rischi di soccombenza.
Definizione TPF. Non esiste una definizione condivisa, in generale è lo strumento attraverso cui un soggetto “terzo” – fondo, istituto di credito o altro ente – sceglie di finanziare le spese di una causa o di un procedimento arbitrale, in cambio di una fetta del credito ottenuto in caso di vittoria finale nel processo civile ordinario o nel procedimento arbitrale. Una possibile definizione condivisa si basa sull’articolo 8.1 dell’Accordo Economico e Commerciale Globale (CETA) del 2017: infatti, deve essere considerato Third party Funding (TPF) ogni finanziamento fornito da persone fisiche o giuridiche (non parti della controversia) “che concludano un accordo con una parte per finanziarne le spese del procedimento”, in cambio di una retribuzione soggetta all’esito della controversia.
Il contratto: il finanziamento della lite o TPF (Third party funding).
In generale, si può affermare che si tratti di un contratto stipulato tra un finanziatore (un soggetto terzo detto funder o società di finanziamento) e il titolare di un diritto azionabile in giudizio (la parte della controversia che riceve il finanziamento).
Grazie a questo contratto, il finanziatore si accolla i costi e il rischio dell’esito negativo di un processo giurisdizionale o arbitrale (inclusa la condanna al pagamento delle spese processuali a favore della controparte), trattenendo in cambio, solo in caso di esito vittorioso del giudizio, una percentuale di quanto concretamente incamerato dalla parte finanziata. Se le domande proposte dalla Parte risultano fondate, il soggetto che ha sostenuto i costi del procedimento otterrà una percentuale del credito accertato ovvero una somma stabilita, nella misura e secondo le modalità preventivamente concordate tra le parti. Viceversa, nel caso in cui le domande siano rigettate, il funder perderà il proprio denaro e, nella peggiore delle ipotesi, potrà essere chiamato a sostenere anche i costi della Parte avversa.
Elementi del contratto TPF in arbitrato: all’interno dei contratti di TPF, le parti, tra le altre pattuizioni, in genere hanno cura di stabilire:
– qual è il compenso spettante al funder in caso di vittoria;
– quale è il meccanismo di calcolo di tale compenso;
– determinare quali costi la società di finanziamento è disposta a sopportare (es. compenso dei difensori, onorari degli arbitri, costi dell’istituzione arbitrale, ecc.);
– definire se e in che misura il funder possa esercitare un controllo sulla Parte e sulle scelte di conduzione del procedimento adottate dalla stessa, inclusa l’ipotesi della transazione della vertenza;
– decidere chi deve sostenere i costi dell’eventuale esecuzione del lodo;
– definire se, come e quando possano essere variate le condizioni stabilite nel contratto;
– prevedere le modalità di risoluzione di eventuali controversie insorte tra la Parte e il funder;
– stabilire se, in caso di insuccesso, la società di finanziamento si farà carico dei costi della parte avversa.
Inoltre, occorre inserire una clausola di riservatezza, a tutela delle informazioni di cui il funder è venuto e verrà a conoscenza.
In arbitrato il TPF pone doveri di disclosure di un accordo di finanziamento per garantire i principi di imparzialità e indipendenza che devono caratterizzare i rapporti tra parti e arbitri.
Criticità: il compenso e validità di alcune clausole.
Generalmente, le società di finanziamento pretendono una percentuale, a seconda dell’entità dei costi e dei rischi connessi al singolo caso. I compenso del finanziatore è uno dei punti di più acceso dibattito in Italia (il compenso in media varia tra il 30% e il 50% di quanto ottenuto in giudizio dall’attore o si basa su moltiplicatori parametrati alla cifra investita).
Altro tema è la validità di clausole tipiche del contratto di finanziamento della lite: prima fra tutte quella del “material facts change” per la quale è data la possibilità al fondo di recedere unilateralmente dal contratto al variare di condizioni di fatto, o di diritto, che possono anche non dipendere dal comportamento della parte finanziata (per esempio riduzione solidità patrimoniale della controparte).
Proposte di legge: il Legislatore europeo.
Sono state delineate le principali proposte di una vera prima direttiva a livello Ue. A partire dal compenso, quindi l’attuale proposta è quella di impedire al finanziatore di ottenere più del 40% di ciò che viene riconosciuto alla parte vittoriosa. La ragione alla base di questo tipo di intervento è quella di impedire che l’istituto vada a ledere l’autonomia e l’effettività della tutela giurisdizionale della parte, rimanendo, nel nostro ordinamento sì un contratto atipico, ma pur sempre meritevole di tutela.
Altre proposte per la direttiva prevedono l’inefficacia per tutte quelle tipologie di clausole che limitano la parte nella disponibilità del diritto azionato o che permettono la risoluzione unilaterale del finanziamento.
Esperienza pratica della Camera Arbitrale di Milano: emerge un utilizzo ancora limitato dell’istituto del TPF anche in arbitrato. In questo momento, sono quattro i casi (tra l’altro con un valore economico particolarmente rilevante) in cui si evidenzia la presenza del finanziamento, sia lato attore sia lato convenuto.
In vista di un sempre maggiore utilizzo negli anni a venire, soprattutto in un’ottica di trasparenza nella scelta degli arbitri è stato introdotto già nel 2020 all’interno del Regolamento della Camera Arbitrale di Milano l’articolo 43 dedicato proprio al TPF.
Il testo prevede l’obbligo per la parte di rendere nota non solo l’esistenza del finanziamento ma anche le generalità del finanziatore sia alla controparte sia soprattutto al Tribunale Arbitrale, in modo così da permettere una completa disclosure da parte degli arbitri su eventuali circostanze che possano inficiare la loro indipendenza o imparzialità.
In sintesi, in un momento di particolare crisi ed emergenza come l’attuale, il TPF appare essere un utile strumento di supporto per un più ampio accesso alla giustizia.

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