Il dolo: studio delle manifestazioni cliniche ex.art.43 c.p. alla luce dei nuovi postulati della semeiotica penalistica
Nell’affrontare in questa sede l’analisi scieintifica del dolo , non posso sottrarmi dal richiamare , seppur sinteticamente, quella che ritengo essere la semeiotica penalistica ( per eccellenza ) finalizzata ad accertare la sussistenza di un fatto di reato , ovvero la Sistematica quadripartita del reato[1]: 1)Fatto, 2)antigiuridico,3)colpevole,4) punibile.Da questa semeiotica penalistica appena enunciata si assume che non può esserci reato senza la simultanea presenza dei suddetti quattro elementi caratterizzanti sopra descritti.In altri termini deve esserci un fatto che si possa definire antigiuridico ( contrario all’ordinamento giuridico interno vigente ) colpevole ( che possa essere rimproverato al suo presunto autore a titolo di dolo o di colpa) ,punibile( in riferimento a quelle condizioni extra fattuali , sulle quali fondare oppure escludere la punibilità del fatto antiugiuridico e colpevele). Fatta questa necessaria premessa, in questa sede affronteremo l’analisi dell’elemento della colpevolezza , nello specifico lo studio dell’elemento psicologico del dolo in tutte le sue forme ;si approfondiranno le sue possibili manifestazioni cliniche , ne studieremo la struttura molecolare al fine di identificare al microscopio giuridico la sua presenza all’interno di ipotesi di reato definibili tali da un’ipotetica analisi prima facies di un fatto storico .Nel proporre tali obiettivi, chi scrive si assume l’onere di dimostrare e definire, in scienza e coscienza, la valenza scientifica della formula giuridica dell’istituto dell’art.43 c.p. formula assoluta dalla quale dipende l’intera analisi di scienza ( e quindi di diritto ) che ci si appresta a cominciare.La presenza dell’elemento del dolo , all’interno di una dinamica fattuale antigiuridica comporta la forma più intensa di gravità di responsabilità penale.Proprio nella sua gravità si riassume il significato giuridico di reato doloso , ovvero nel determinarsi ad agire contro legem nel fatto antigiuridico scegliendo di compiere l’azione criminosa con motu proprio, volendo in piena coscienza , compiere l’atto criminoso.Per la scienza penalistica è possibile osservare il fenomeno doloso solo in presenza di due elementi caratterizzanti :la rappresentazione e la volizione del fatto antigiuridico.Da queste prime avvisaglie, l’interprete percepisce la fondamentale importanza della necessaria sussistenza di entrambi gli elementi appena richiamati all’interno della condotta antigiuridica per potersi diagnosticare come dolosa un’ipotetica condotta antigiudirica posta in essere da uno o più soggetti tramite un’azione ( condotta commissiva) o una “non azione” ( condotta omissiva ) ; da quanto appena assunto , deriva l’ulteriore specificazione della specie dolosa :commissiva o omissiva.Quanto appena esplicato è l’attuazione pratica della formula dell’art.43 c.p. comma I il quale recita:<< è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.>>.A conclusione di questo primario ragionamento, si assume che, in caso di difetto di rappresentazione sul fatto [2] o sulla fallace intepretazione del diritto[3] ( quindi della norma imperativa posta dal legislatore a protezione di quel particolare bene ) posta in essere dal soggetto agente , quest’ultimo si trovi in errore e che tale errore per come si è determinato , nonostante le conseguenze giuridiche che ha causato, non può integrare il requisito del dolo ( all’interno della condotta fattuale de qua) anzi lo esclude totalmente.Nella specie , a livello molecolare nella struttura del fatto antigiuridico , troviamo un antigene ( l’errore ) che determina una reazione repulsiva la cui univoca conseguenza è l’insussistenza del dolo stesso. In altri termini, l’errore ( con le sue dirette declinazioni sopra richiamate) crea degli anticorpi che impediscono , l’accesso all’interno del fatto antigiuridico , dell’elemento piscologico del dolo con le relative conseguenze sulla punibilità dell’autore del fatto stesso sia commissivo sia omissivo.
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Il momento rappresantativo del dolo nell’ideazione del fatto di reato e l’errore sul fatto
Come si è ampliamente esplicato nel paragrafo superiore, ai fini di una diagnosi di dolo in relazione ad una ipotetica azione o “ non azione” in un ipotetico fatto storico, è necessario che il soggetto agente si sia rappresentato interamente il fatto antigiuridico che intende mettere in pratica;infatti la norma dell’art.43 c.p. prescrive precipuamente la presenza del dolo quale elemento psicologico imprescindibile al fine di stabilirne in termini di punibilità la volontarietà dell’atto commesso.Da quanto sin qui affermato, si assume che solo in presenza del dolo ( inteso in tutte le sue componenti scientifiche sin qui descritte) si può rimproverare al soggetto agente la volontarietà dell’azione criminosa posta in essere dallo stesso; invece , venendo a mancare l’elemento psicologico del dolo, viene meno l’addebito di volontarietà ( restando ipoteticamente possibile un addebito a titolo di colpa in base alla fattispecie incriminatrice ) con tutte le conseguenze in odine alla punibilità del reo.Altro discorso è da farsi , invece, sull’ antigene del dolo ( l’errore ) , l’errore sul fatto ,e/o sulla norma incriminatrice invece rappresenta in specie l’assenza di dolo , pertanto in assenza di dolo , l’azione criminosa, posta in essere dal soggetto agente , è scaturita dall’errore , egli infatti “non sapeva” di aver sparato (colpendolo a morte) un cacciatore nascosto dietro un cespuglio, egli voleva solamente uccidere una lepre non avrebbe mai voluto determianare con la sua condotta la morte di un uomo…, oppure il soggetto agente, vistosi aggredito da un ladro all’interno della propria abitazione, prende il primo oggetto contundente che trova nelle sue vicinanze e colpisce ripetutamente il suo aggressore uccidendolo , essendo convinto di aver agito in presenza di una scriminante ( ex.art. 52 c.p. ) credendo quindi di aver agito al riparo da ogni ipotesi di reato , nel pieno rispetto dell’ordinamento giuridico.Sul punto è necessario specificare che il momento rappresentativo dell’intero fatto di reato che il soggetto agente intende determinare , ai fini di una diagnosi di dolo , necessita dell’effettiva conoscenza in capo al suddetto soggetto di tutti gli elementi rilevanti del fatto concreto che integrano una precisa figura di reato di parte speciale.Tale rappresentazione dell’atto ciriminoso, per i suddetti fini, non è necessario che perduri per tutto l’arco temporale in cui si svolge il fatto di reato, ma è sufficiente che sia prensente nella mente del reo almeno all’inizio dell’esecuzione del fatto criminoso.Tale conoscenza deve essere effettiva e non meramente potenziale ( in tal caso essa può avere una rilevanza ipotetica ai fini di una diagnosi di colpa dovuta ad ignoranza colpevele del reo che avrebbe potuto evitare di compiere il fatto, cadendo in errore, se solo avesse usato l’ordinaria diligenza) .[4] La conoscenza degli elementi costitutivi del fatto di reato può afferire alla sfera del sensorio soggettivo del soggetto agente, in specie , per una diagnosi affermativa della presenza del dolo , si deve necesariamente far riferimento ad elementi descrittivi individuabili , alcune volte, nella norma penalistica tramite la conoscenza effettiva in capo all’agente di astrazioni elementari ( quali la definizione di “ madre” “ padre” o “ minore di anni dieci “ etc.) .Vi sono poi da prendere in considerazione , ai suddetti fini diagnostici, ulteriori elementi del fatto di reato , espressamente contenuti nelle norme incriminatrici,quali appunto gli elementi normativi che sono individuabili quindi dal soggetto agente tramite il dettato normativo , il quale in determinate ipotesi chiama in causa specifici istituti giuridici afferenti ad altre sfere del diritto vigente ( fra i quali la proprietà, matrimonio avente effetti civili, atto osceno,)[5] , tali elementi non possono essere percepiti dal soggetto agente soltanto tramite l’utilizzo dei propri sensi, bensì tale conoscenza è mediata dalla conoscenza di norme giuridiche extrapenali( che spesso i giudicanti a torto o a ragione presumono sia parte del patrimonio conoscitivo dell’agente),sociali . Sul punto è necessario , in questa sede, specificare che il legislatore non pretende che i consociati abbiano una conoscenza del diritto tipica del giurista, o che gli stessi siano acclarati esperti di sociologia,ma ritiene sufficiente la conoscenza propria del profano, ovvero dell’uomo medio.Purtroppo, tale presupposto scientifico è messo, frequentemente ( come vedremo nel paragrafo successivo ), in costante cotraddizione dai pronunciamenti giurisdizionali promanati da giudicanti inadeguati, eretici ,portatori di un’insana presunzione narcisistica di applicare la legge, quando invece le loro sentenze sono in facto la negazione stessa del diritto positivo vigente.
L’ errore sul fatto:analisi del fenomeno scientifico disciplinato dall’art.47 c.p. in relazione alla diagnosi di dolo ,critica alle conseguenti imprudenze giurisprudenziali .
Ai fini di una esatta diagnosi di dolo in capo al soggeto agente, in relazione ad un ipotetico fatto di reato , nello specifico, per quanto attiene al momento rappresentativo dell’azione e di tutte le circostanze ad essa afferenti, non può sciogliersi una prognosi di esito positivo ( favorevole all’iniziale premessa) in presenza di “ errore sul fatto” in capo all’agente. La nozione scientifica penalistica di “ errore sul fatto” è stratificata nel disposto dell’art.47 c.p.[6]Ai fini dell’analisi in parola, la presenza dell’errore sul fatto in capo al soggetto agente esclude scientificamente la sussistenza in specie del dolo . In altri termini, considerati i criteri anamnestici indicati nel paragrafo precedente, l’elemento psicologico del dolo in capo al soggetto agente non può essere presente in specie perché materialmente negato dall’errore sul fatto ( che come abbiamo precedentemente acclarato può essere di varia natura ed afferire all’ipotetica azione criminosa tramite diverse modalità percettive) .Sul punto dal dato scientifico dell’art.47 c.p., emerge un’evidenza ulteriore ovvero la totale negazione di ogni responsabilità penale ove non possa rimproverarsi al reo , in base alle previsioni statuite dalla norma incriminatrice di parte speciale, una responsabilità a titolo di colpa[7].Quindi da quanto sin qui enunciato si assume che l’errore sul fatto ( sia sugli elementi descrittivi e/o normativi ad esso riferibili ) esclude scientificamente la presenza dell’elemento pscicologico del dolo in capo al soggetto agente.Quanto appena asserito, ci introduce al punto nevralgico della presente analisi , ovvero l’errore di diritto in riferimento all’errata percezione della legge extrapenale in capo al soggetto agente.Come si è esplicato nei capi precedenti, le manifestazioni dell’errore sul fatto, può riguardare l’errata percezione in capo al soggetto agente di dati normativi afferenti alla norma incriminatrice principale di parte speciale; nello specifico , il soggetto agente può essere caduto in errore credendo ( nell’ipotesi di reato di furto ex.art 624 c.p.) di aver ritirato presso un deposito bagagli una valigia che egli riteneva di sua proprietà, ignorando del tutto che invece la stessa apparteneva ad altra persona , cadendo quindi in un errore sul fatto ( determinato in specie da un errato convincimento sul diritto di proprietà in capo all’agente) determinato dall’esatta somiglianza dell’oggetto da lui inconsapevolmente sottratto con la sua valigia.Tale circostanza è l’ipotesi elettiva che ci descrive il fenomeno scientifico stratificato nell’art.47 c.p. ( I comma ) ; nell’esempio sopra indicato, assistiamo infatti all’errore sul fatto ( il soggetto agente non voleva sottrarre un bene altrui ma voleva ritirare solo la sua valigia ) determinato in via principale da un errore di diritto causato dal fatto che l’agente non credeva di ledere con la sua azione il diritto di proprietà altrui ritirando quella specifica valigia che egli credeva in buona fede fosse la sua.Sul punto , il dettato normativo dell’art.47 c.p. ( III comma ) è lampante , in quanto afferma con forza il principio di assoluta non punibilità in riferimento all’errore commesso dal soggetto agente su un elemento normativo di natura extra penale che lo ha portato a commettere il fatto di reato.Sin qui si è dato conto del dato scientifico , che in quanto tale è geneticamente incontrovertibile proprio perché generato dal diritto positivo ,purtroppo anche per tali fattispecie, dobbiamo fare i conti con una giurisprudenza maldestra, arrogante,eretica, che nega il diritto invece di applicarlo [8]. Per chi scrive, tale tendenza di gran parte della giurisprudenza volta a negare l’essenza dell’art 47 ( III comma ) c.p. non può tollerarsi in uno stato di diritto proprio perché si pone in antitesi con le stesse norme di diritto positivo e pertanto una giurisprudenza che nega in facto una norma di diritto non ha motivo di esistere , pertanto non deve essere presa in considerazioni sia per fini accademici sia per fini operativi ( dagli operatori del diritto ) .
Il momento volitivo del dolo
Acclarato che ai fini della sussistenza ( in un’ipotetica fattispecie di reato ) del requisito del dolo sia necessaria in capo al soggetto agente una rappresentazione mentale specifica di ogni singolo frammento dell’azione criminosa che egli intende compiere,tale requisito caratterizzanzte non è però sufficiente ai fini diagnostici della fattispecie scientifica in argomento in quanto si rende ugualmente necessaria, in specie, la volizione assoluta dell’azione criminosa in capo al reo.Da tale enunciazione si assume che non c’è dolo se non vi è la presenza contemporanea in capo all’agente , nel suo progetto criminoso ( da questo effettivamente compiuto) sia della specifica rappresentazione di ogni singolo elemento edificante l’azione criminosa , sia della volizione specifica della stessa decidendo pertanto di porla in essere in tutti i suoi elementi costitutivi. Da quanto sin qui asserito discende che nell’ipotesi di chi agisce nonostante la previsione dell’evento ( come previsto dal comma III dell’art.61 c.p.) si debba applicare la disciplina penalistica della colpa ( con specifico riferimento in specie alla forma aggravata definitita “ colpa cosciente” o con previsione dell’evento).Tale premessa ha delle ricadute scientifiche sia in ambito dottrinale sia in ambito di diritto positivo ; sul punto quindi dati i suddetti presupposti diagnostici , devono negarsi in radice le desuete ( e ormai inapplicabili ) ipotesi dottrinali di dolo antecedente ( non vi è quindi dolo in un fatto di reato di omicido se il soggetto A decide di uccidere B all’ora x ma ne provoca l’uccisione in un momento precedente tramite una condotta accidentale , mentre era intento a pulire il fucile ); di dolo susseguente( non vi è dolo di ricettazione nell’azione posta in essere da chi acquisti , inconsapevolmente, una cosa proveniente da delitto , il quale dopo averne avuto effettiva conoscenza sull’illecita provenienza, decida comunque di non rammaricarsene) ; di dolo generale( non sussiste in specie dolo di omicidio nell’azione posta in essere dal soggetto A il quale ritiene di avere già compiuto l’azione criminosa, compie una successiva azione criminosa simulando un suicidio( tramite una sorta di impiccagione) al fine di occultare la prima , non sapendo che è stata invece la seconda azione eseguita a causare l’evento morte ).[9]Da quanto appena enunciato si assume l’importanza pregnante per la sussistenza di ogni fattispecie dolosa del momento volitivo (oltre a quello rappresentativo) del fatto di reato, tale volizione si estrinseca con manifestazioni fisiche immediate e/o improvvise in capo al soggetto agente determinandosi quindi a compiere il fatto di reato con dolo d’impeto,la cui base eziologica scatenante è ravvisabile nell’area affettiva del reo, nei sentimenti d’ira, o gelosia.In altri casi,invece, tale spinta psicologica non si manifesta con effetti immediati ma è diluita e/o mantenuta in un lasso di tempo anche prolungato ( senza alcuna soluzione di continuità) fino al compimento della condotta criminosa. In questi casi si parla di dolo di proposito , in riferimento al quale per determinate tipooligie di reati quali l’omicidio ex.artt 575-577 comma I n.3 c.p., lesioni personali ex.art.585 comma I c.p. , il legislatore usa il termine “ premeditazione” e ne inserisce la fattispecie tra le circostanze aggravanti .
La gradualità del dolo: dolo intenzionale, dolo diretto, dolo eventuale.
Nelle sue manifestazioni cliniche il dolo può assumere svariate forme sintomatiche che possiamo in questa sede ricomprendere ( in base all’intensità del momento volitivo e rappresentativo dell’azione criminosa in capo al soggetto agente) in tre tipologie : a) dolo di tipo 1 ovvero il dolo intenzionale;b) dolo di tipo 2 ovvero il dolo diretto ;c) dolo di tipo 3 ovvero il dolo eventuale.
L’interprete , nel determinare il nesso eziologico di causalità ai fini della diagnostica di dolo di tipo 1 ( dolo intenzionale ) deve riscontrare ( nell’actio criminalis ) determinati segni identificativi e rapprensentativi dell’assoluta ed univoca volontà in capo al reo di realizzare il fatto di reato[10];tali segni identificativi ( che chi scrive definisce impronte indelebili dell’agire criminale ) si riscontrano nelle fattispicie tramite l’individuazione di specifici indizi comportamentali precedenti, contemporanei, e susseguenti all’azione delittuosa posta in essere dal soggetto agente, dalla modalità della consumazione del fatto di reato, dalle circostanze di luogo e di tempo, dall’anamnesi criminologica del reo , dalla vittimologia, dal movente, dalla personalità del soggetto agente, dai rapporti personali e/o professionali intercorsi tra l’autore del reato e la e/o le vittime , tra i rapporti personali e/o professionali intercorsi tra il reo e persone congiunte e/o amiche della vittima .Per quanto attiene invece alle altre tipologie di dolo, di tipo 2 e di tipo 3 la fase diagnostica è di più semplice attuazione per l’interprete, restando comunque validi i criteri clinici sopra descritti, per diagnosticare in specie un dolo di tipo 2 ( dolo diretto ) , per la scienza penalistica si ritiene sufficiente (e necessaria ) la mera rappresentazione ( in capo al reo ) del fatto criminoso,della presenza in ispecie dei suoi elementi caratterizzanti intesi in termini certi o altamente probalistici si limiti della certezza , stesso ragionamento è da estrinsecarsi sull’evento inteso come conseguenza dell’azione criminosa.Un esperimento di scienza penalistica astratta possiamo realizzarlo ipotizzando ( in relazione ai presupposti sulla condatta in ordine alla prima ipotesi di dolo di tipo 2 sopra descritta) un fatto di ricettazione ex.art.648 c.p. posto in essere da un collezionista di opere d’arte, il quale sappia per certo ( ne hanno parlato i giornali, inoltre è in possesso del bollettino ufficiale delle opere trafugate) che un quadro, che intende acquistare, sia stato trafugato da un’altra collezione , ciò nonostante il collezionista decida ugualmente di acquistare il quadro rubato; in tale ipotetica fattispecie di scienza penalistica, si riscontra chiaramente ( in capo al reo ) la rappresentazione sul presupposto, degli estremi normativi del fatto di reato di ricettazione , nella specie in esame, il soggetto agente è cosciente e consapevole che il quadro che intende acquistare è stato trafugato da un’altra collezione, eppure si determina ugualmente ad acquistarlo accettandone i presupposti e le conseguenze della sua azione criminosa.Altro esperimento può compiersi , ( in relazione alla seconda ipotesi di dolo di tipo 2) , in relazione all’evento si può ipotizzare che il proprietario di un centro commerciale , (al fine di percepire l’indennizzo dell’assicurazione) , causi volontariamente un incendio durante l’orario normale di apertura causando ( oltre i danni alla struttura e alla merce in esso contenuta) l’intossicazione da monossido di tutti i clienti presenti al momento dell’atto criminoso;il fatto che il soggetto agente abbia solo presunto e si sia rappresentato la probabilità del danno alla salute delle persone presenti quale conseguenza della sua azione criminosa,è sufficiente sotto il profilo scientifico e normativo ad integrare la fattispecie di dolo diretto.Per quanto attiene invece al dolo di tipo 3 ( dolo eventuale) deve in questa sede affermarsi che tale ipotesi si realizza quando il soggetto agente non persegue la realizzazione del fatto ( che ha determinato con la sua condotta antigiuridica) ma si rappresenta come altamente possibile l’esistenza dei presupposti della condotta ,quindi il verificarsi dell’evento da lui non voluto, come conseguenza dell’azione ( anche tramite omissione ) ma pur di realizzare il suo intento ( che può anche essere di natura lecita ) , non rinuncia a porre in essere il fatto di reato accettando la possibilità che questo possa compiersi, “costi quel che costi” . Da tale asserzione, si assume che il dolo di tipo 3 ( eventuale, indiretto ) sia contraddistinto , sotto il profilo scientifico penalistico, dall’accettazione del rischio in ordine al concreto verificarsi del fatto ( non voluto) ; in ordine a quanto sin qui asserito è possibile quindi tracciare i confini che delimitano l’area penale del dolo con particolare riguardo alla prospicente area penale della colpa , all’interno della quale si riscontra la prensenza della colpa con previsione dell’evento ,la cosiddetta “ colpa cosciente” . A livello puramente atomistico, possiamo notare come i due istituti siano talmente vicini, quasi da confondersi a vicenda tanto da porre in crisi l’inteprete che deve diagnosticane la presenza nella fattispecie reale .E’ quindi evidente ,che la morfologia di questa specifica specie di colpa sia quasi sovrapponibile al dolo di tipo 3, ma vi è una differenza srutturale, molecolare, determinante, abissale, che ci conduce a definirla come ipotesi aggravata di colpa ; nella specie infatti l’istituto della colpa cosciente diverge dal dolo eventuale proprio perché , nonostante il soggetto agente si rappresenti il possibile verificarsi dell’evento ( non voluto,ma comunque astrattamente prevedibile) ,ritenga in realtà ,con assoluta certezza, che quest’ultimo non si realizzerà in base ad una sua leggerezza( o ad una supervlautazione delle proprie capacità) sottovalutando quindi la possibilità concreta che tale evento non voluto si verifichi . A conclusione di questo ragionamento è opportuno trarre le somme di quanto appena esplicato scientificamente , ovvero definire il confine ( ai fini di una corretta diagnostica del fenomeno in astrazione e anche di una corretta clinica processuale penalistica ) del dolo eventuale ;possiamo quindi asserire , secondo i precedenti canoni di scienza penale che: la fattispecie di dolo eventuale sussiste quando il soggetto agente , nel proprio foro interiore, si sia chiaramente rappresentato la fondata possibilità di realizzazione dell’evento antigiuridico accaduto, ma nonostante questa previsione si è determinato ad agire con l’assoluta convinzione consapevole di causare l’evento criminoso aderendovi nel caso si fosse effetivamente verificato ;di contro ricorre in ispecie la fattispecie di colpa cosciente nella circostanza in cui il soggetto agente pur rappresentadosi l’evento antigiridico secondario quale conseguenza del suo agire , egli non vuole che il suddetto fatto di reato si compia, ma non si determina ad evitarlo per inerzia, imperizia, irragionevolezza, ed ogni altro bisimevole motivo.
La diagnosi clinica di dolo.
La clinica pratica penalistica [11] è una procedura operativa ai cui postulati scientifici l’operatore del diritto deve rendere conto in ogni momento della sua attività diagnostica riferita al caso concreto.Nella specie, ai fini diagnostici della fattispecie di dolo, l’operatore ( sia esso appartentente alle forze di polizia, sia esso appartentente all’autorità giudiziaria , sia esso un giurista, un criminologo etc..) deve fare i conti con una difficile ricostruzione anamnestica al fine di decifrare il percorso motivazionale e rappresentativo in capo al soggetto agente ( autore di un fatto di reato [12]) , tale difficoltà si origina dal fatto che gli elementi psicologici del reato dolo e colpa appaiono di difficile decrifrazione tramite il mero utilizzo del proprio sensorio , quindi l’operatore attraverso le massime di esperienza proprie della clinica pratica penalistica potrà desumerne l’esistenza attraverso le manifestazioni cliniche che si sostanziano in tutte le circostanze del fatto di reato tra le quali possiamo in questa sede citare le modalità della condotta ( mezzi adoperati per compiere il reato, durata, comportamento antecedente e susseguente alla commissione del fatto di reato , l’animus necandi[13],)[14]e il profilo criminale del reo , inteso in questa sede , non necessariamente in stretti temini criminologici,bensì un profilo di carattere generale del soggetto agente all’interno del quale inserire ogni notizia, circostanza utile attinente le sue cognizioni ( in riferimento alla sua cultura generale, credenze religiose, competenze specifiche in ambito professionale etc), il suo interesse estrinseco[15] ed intrinseco al compimento dell’azione criminosa, il movente.In conclusione , si può affermare che l’analisi scientifica delle argomentazioni sin qui prodotte ci porta a ritenere che in materia di semeiotica penalistica generale , è molto difficile diagnosticare il dolo ( e i suoi relativi gradi di intensità) proprio perché la materia da indagare risiede nell’ insondabile animo umano e come anche la criminologia applicata ci insegna, i dati esteriori , visibili, sono spesso contraddittori; chi scrive , rimane sempre più convinto che la scienza penale sia in continua evoluzione e solo tramite questa si possa giungere a risultati prognositici accettabili, fino ad allora , dovremo agire e prevenire con gli attuali strumenti grezzi della clinica pratica penalistica che sono la base operativa della scienza penale .
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Note
[1] Sul punto si fa specifico riferimento agli insengamenti ( Dei Proff. Marinucci , Dolcini, Gatta) acquisiti dallo scrivente tramite lo studio del loro Manuale di diritto penale , parte generale , Giuffrè Francis Lefebvre editore .8 edizione
[2]Cfr.art.47 c.p. il quale prescrive che:<< L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.>> estratto da Codice Penale, La Tribuna, 2015 Alibrandi. 37ͣ edizione.
[3] Cfr.art. 59 comma IV c.p.il quale prescrive che:<<Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.>> estratto da Codice Penale, La Tribuna, 2015 Alibrandi. 37ͣ edizione.
[4] Sul punto si segnala che per chi scrive, nei casi in cui il soggetto agente nutra dei dubbi sull’ azione che intende eseguire , ugualmente come anche autorevole dottrina ( Dolcini, Marinucci)ha riconosciuto, tali casi rientrano nella diagnostica del dolo secondo i priancipi scientifici di scienza penale richiamati in argomento.A tale assunto , è ammissibile , in ambito scientifico, una sola eccezione attinente alle ipotesi in cui la norma incriminatrice di parte speciale richieda in specie una conoscenza piena e certa ( in capo al soggetto agente) di un elemento del fatto di reato.E’ il caso, ad esempio, dei delitti di calunnia e autocalunnia previsti e disciplinati in parte speciale agli artt. 368,369 c.p. , nei quali si richiede, rispettivamente, che il soggetto agente incolpi di un fatto di reato una persona che egli sa innocente , ovvero si determini nel reato di autocalunnia cioè si incolpi di un reato che in realtà non ha commesso(cfr, da ultimo Cass.sez.VI , 14 dicembre 2016,n.4121, Micolta , CED 269440; v. anche Cass.sez VI 15 giugno 2012, n.29117 , Valenti, CED 253254,ove, sul punto si attribuisca rilievo scusante al solo dubbio ragionevole fondato cioè su specifici elementi oggettivi , connotati cioè da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona in possesso di normale cultura e capacità di discernimento, che ipoteticamente si trovi nella medesima situazione di conoscenza degli elementi del fatto criminoso e delle circostanze in cui questo si è svolto).Un ulteriore esempio, nell’ipotesi de qua è fornito dal delitto di detenzione di matariale pedopornografico ( art. 600 quater c.p.)che è integrato da <<chiunque…consapevolmente si procura o detiene materiale pedpornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto>>.
[5] Sul punto , chi scrive ritiene di proponderante importanza la conoscenza e rappresentazioni dei suddetti elementi extrapenali in capo al reo ai fini di una corretta diagnosi di dolo in caso contrario non può mai di intento doloso mancandone gli elementi costitutivi :rappresentazione e volizione.
[6] Cfr.art. 47 c.p. il quale prevede che:<< L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.
[7] Sul punto è necessario fare riferimento ad una definizione di colpa di natura precipuamente penalisica in base alla quale si possa muovere al soggetto agente un addbito penale per non aver agito impiegando in facto la diligenza ,l’attenzione del buon padre di famiglia.
[8] Sul punto si rimanda ai pronunciamenti della Suprema Corte: Cass.sez.VII, 13 luglio 2017 n 44293,CED 271487;Cass.Sez.I , 8 febbraio 2017, n.42795,Serratore,CED 270970;Cass.Sez.II, 31 gennaio 2017, n.8889 in Dejure;Cass.Sez VI, 13 gennaio 2017, n.9473; di diverso orientamento invece :Cass.Sez.II, 19 aprile 2002,n.17205, Dessì CED 221712).Sulla stessa linea della pronuncia sopra richiamata si collacano alcune pronuncie sul merito,su tutte :Trib.Marcianise 6 giugno 2013, in Leggi d’Italia;Trib.Perugia 18 dicembre2008 in Corr.merito, 2009,p.283ss.
[9] Nei casi sin qui richiamati possono farsi rientrare , in astratto, delle ipotesi di responsabilità penale a titolo di colpa ( in riferimento alla prima ipotesi di dolo antecedente
[10] Sul punto è necessario specificare che , la realizzazione del fatto di reato può anche non rappresentare lo scopo finale dell’agente , potendosi in specie , costituire un tramite per la realizzazione di un conseguente fatto di reato ( ad es. il reo uccide una guardia del corpo di un capo di stato al fine di causare delle lesioni personali gravi sul volto di quest’ultimo ) .Allo stesso identico modo , non si richiede per i fini diagnostici in analisi, la probabilità concreta dell’avveramento dell’evento voluto dall’agente , essendo invece sufficiente la mera possibilità che detta azione criminosa possa essere portata a termine( ad es. il soggetto a vuole uccidere il soggetto b tramite un fucile di precisione ad una distanza limite , per la portata dell’arma in uso ,la quale però non esclude la possibilità che il soggetto b possa essere colpito ed ucciso )
[11] Terminologia scientifica ideata dall’auotore dell’articolo in narrativa.
[12] La dinamica criminale , può svolgersi anche passivamente , tramite la “non azione” , ovvvero tramite un contegno operativo antigiuridico posto in essere dal soggetto agente che nel caso di specie aveva l’obbligo dell’agire imposto dalla norma incrimintatrice , ma anche dalle astratte regole del vivere civile;il caso di scuole più comune è il reato di omissione di soccorso ex art. fattispecie già studiata più dalla giurisprudenza di merito e di ligittimità , graie alle quali , anche alla luce dell’intervento del legislatore che ha incluso la suddetta tra le fattispecie delittuose sembra si sia giunti all’affermazione scientifica dell’irrilevanza della gravità del fatto ( in materia di omissione di soccorso in incidenti stradali) ma rileva ai fini della punibilità ( quindi in termini diagnostici di dolo di tipo 1,2,3) del reo la mera rappresentazione e volizione del fatto provocato.
[13] In tema di azione omiciaria , si segnala all’interprete l’importanza assunta dalla tipologia dell’arma utilizzata dal reo ( arma corta, lunga , arma biancha etc) e la sua distanza d’uso con la vittima , la quantità di colpi eslposi, di pugnalate inferte alla vittima e la loro posizione , al fine di ricostruire ex post la rappresentazione e volizione in capo al soggetto agente.
[14] Sul punto si legga Marinucci , Dolcini , Gatta in Manuale di diritto penale, parte generale , edzione Giuffrè Francis Lefevbre , pag.376-377.
[15] La criminologia applicata spesso ci da dimostrazione che nel reo possono coesistere anche due o più interessi all’azione criminosa da lui posta in essere; molte volte l’inquirente pubblico viene attratto dal movente estrinseco ( che chi scrive definisce apparente nei casi in cui nasconda un movente reale o primario ) ovvero quella spiegazione logica che l’uomo medio può dare in relazione ad un dato accadimento , ma tale ricostruzione porta ad una conclusione apparente non totalizzante proprio perché molte volte il soggetto agente nasconde dietro la dinamica fattuale antigiuridica un interesse inconfessabile ( definito appunto interesse intrinseco) .
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