Il diritto alla salute nella Costituzione italia
Sommario
Analisi dell’art. 32
L’importanza del consenso informato
La giurisprudenza della Corte Costituzionale sul diritto alla salute
1 . Analisi dell’art. 32
L’oggetto principale della trattazione è il diritto alla salute. Esso è l’unico diritto per il quale la Carta riserva l’aggettivo “fondamentale”, richiamato espressamente dall’art.32; da ciò derivano precise conseguenze giuridiche: esso è inalienabile, intrasmissibile, indisponibile e irrinunciabile; è un diritto valevole erga omnes, non solo per i cittadini italiani ma anche per gli stranieri.[1] Prima di passare alla disamina dell’articolo, è bene osservare anche la definizione che l’Enciclopedia giuridica Treccani da al concetto di “salute”: per salute si intende lo stato di benessere fisico e psichico, espressione di normalità strutturale e funzionale dell’organismo considerato nel suo insieme; il concetto di salute non corrisponde pertanto alla semplice assenza di malattie o di lesioni evolutive in atto, di deficit funzionali, di gravi mutilazioni, di rilevanti fenomeni patologici, ma esprime una condizione di complessiva efficienza psicofisica. Da quando nel 1946 l’OMS ha definito la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo come assenza di malattie e infermità, anche la qualità della vita ha assunto il significato di uno stato di benessere fisico e psichico.[2] Molteplici sono, dunque, gli aspetti ricompresi nella nozione in esame.
La disposizione costituzionale, riportata nella sua ultima definizione precedentemente, è ripartita in due commi ed è proprio il primo che sarà analizzato: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
Come si nota, la Repubblica è presente sin dal principio dell’articolo; il suo compito è stato letto come un precetto immediatamente cogente nell’ordinamento che pone in capo allo Stato un preciso dovere, al cui mancato rispetto corrisponde l’esperibilità di azioni giurisdizionali; un richiamo alla Repubblica è contenuto non solo nell’art.32, ma si riscontra in larga parte della Carta.[3] La salute è un diritto non solo fondamentale ma anche proteiforme, viste le innumerevoli situazioni soggettive garantite.
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Tra le situazioni soggettive presenti nella figura di tale diritto, sicuramente la più importante è quella relativa alla tutela dell’integrità psico-fisica; una tutela presente già prima dell’entrata in vigore della Costituzione consistente nel divieto per l’individuo di disporre del proprio corpo, allo scopo di conservare l’integrità biologica e contenente sanzioni dirette a colpire la lesione del bene salute.[4] Con l’entrata in vigore della Carta l’integrità psico-fisica viene ad essere considerata quale “condizione”, “stato” da garantire. Il rapporto che intercorre tra salute e integrità psico fisica ha dato adito alla formazione di due correnti di pensiero diametralmente opposte[5]: da un lato c’è chi ritiene non sovrapponibili i due concetti, in quanto non necessariamente ad una lesione del bene salute corrisponde una lesione dell’integrità psico-fisica[6]; dall’altro lato, invece, come ad esempio De Cupis, si pone chi afferma l’integrazione, nella tutela generale della salute, della tutela psico-fisica[7]. Il dato certo è che la figura della “salute” si pone come oggetto di interessi e diritti da attribuire alla persona complessivamente considerata: aspetto sociale, tutela fisica, tutela psichica.
Relativo al diritto in analisi, fondamentale è anche il concetto di “cure”, da cui discende un diritto ad essere curato tanto dall’affermazione del diritto alla salute in quanto “fondamentale”, quanto dalla parte in cui si impone alla Repubblica di garantire cure gratuite agli indigenti. Le prestazioni possono essere gratuite o venire offerte in forma di compartecipazione o a totale carico del destinatario, rimettendo la scelta in tal senso al legislatore che dovrà tener conto della disponibilità di bilancio dello Stato.
Da tale quadro ne discende un diritto a farsi curare che vede il proprio contenuto in una prestazione onerosa per le finanze pubbliche, sia diretta, erogata cioè dalle strutture pubbliche o dai privati convenzionati; che indiretta, cioè da strutture non convenzionate per le quali è previsto un rimborso. Si parla, dunque, di “costo dei diritti”, il quale incide sul quantum delle prestazioni garantite. Il sistema finanziario costituisce un limite per il legislatore che deve assicurare l’accesso alle prestazioni sanitarie in egual misura a tutti gli individui. Tale limite, naturalmente, non può avere una prevalenza tale da comprimere il nucleo irriducibile di tutela del diritto alla salute. [8] Nell’alveo delle situazioni giuridiche discendenti dal più generico diritto alla salute deriva non solo un diritto a sottoporsi a cure ma anche un diritto “al contrario”, ovvero a non volere sottoporsi a cure. Importante in tal senso è la libertà della scelta terapeutica: in capo al singolo è riconosciuto il potere di decidere se sottoporsi o meno ad una determinata terapia. Si parla in tal senso di “autodeterminazione” del singolo che, pur non trovando espressi riferimenti nella Carta costituzionale, viene ad essere ricollegata al comma 2 dell’art. 32. Tale implicazione ha favorito la risoluzione di numerosi problemi; quali, ad esempio, il rifiuto di trattamenti sanitari per motivi religiosi, ammissibile proprio perché è impossibile imporre trattamenti che non rispettino la dignità o che non siano giustificati dal bisogno di tutela della salute altrui. Naturalmente affinchè possa dirsi lecito l’intervento medico è importante che il paziente venga informato circa le terapie ad esso connesso, informazioni che riguarderanno scopi, rischi ed alternative possibili.
Il primo comma dell’articolo in esame mette in luce la doppia dimensione del diritto alla salute come diritto del singolo e interesse della collettività. Questa relazione ci porta all’analisi del comma secondo: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Ne deriva la preminenza della salute individuale rispetto a quella collettiva che rende inaccettabile un sacrificio della prima se non in presenza di rischi per la salute della comunità in generale.[9] Da tale affermazione derivano due conseguenze: i trattamenti imposti per legge non possono causare conseguenze negative per chi vi è assoggettato; la limitazione all’autodeterminazione che deriva dall’imposizione del trattamento è correlata al soddisfacimento delle esigenze altrui, tenendo conto del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra valori.
Una questione ulteriore è la relazione che intercorre tra art.32 e art.13 Cost.[10] In relazione a ciò importante è tenere in considerazione il lungo dibattito che caratterizza tale rapporto, basato sulla contrapposizione “trattamenti obbligatori” e “trattamenti coattivi”; in tale contesto si scaglia da un lato chi ritiene che l’art.13 si estenda anche ai casi di cui all’art.32 e chi, al contrario, esclude una relazione in tal senso. Per ciò che concerne il primo orientamento, si sostiene che ogni volta che la legge attribuisce alla pubblica autorità poteri coercitivi sulla salute individuale, le misure vanno a toccare la disciplina delle restrizioni della libertà personale di cui all’art.13 e quindi tali trattamenti sarebbero costituzionalmente legittimi solo nei casi e nei modi previsti dalla legge[11]; il secondo filone, invece, sostiene che l’art.13 vada a riguardare esclusivamente le misure “afflittive e degradanti” e non i casi dell’art.32[12]. Il dibattito in questione non ha comunque riscontrato contatti con l’ambito legislativo poiché la legge sul SSN non va a distinguere tra trattamenti obbligatori e coattivi; l’unico parametro per la legittimità dei trattamenti (sia obbligatori che coattivi) è la riserva di legge del comma secondo.[13]
1.2 L’importanza del consenso informato
Il rapporto che si instaura tra medico e paziente è un aspetto fondamentale del processo di cura e dell’attività medica; esso è definito come “…nucleo di forti relazioni civili, etiche, giuridiche e tecnico-professionali, ogni volta uniche e irripetibili, in cui l’autonomia e la responsabilità della persona si incrociano con l’autonomia e la responsabilità dei professionisti della salute nell’esercizio della loro funzione di cura e di garanzia”.[14] L’importanza di tale rapporto emerge fin dall’antichità, lì dove il ruolo che veniva attribuito al medico era quello di “guida”.[15] Tuttavia, il rapporto che si configura oggi è totalmente diverso da quello del passato: vigeva un orientamento “paternalista”, in base al quale il paziente doveva affidarsi alle azioni del medico il quale decide nell’interesse del malato, ma sostituendo la propria volontà a quella dell’assistito.[16] Con la crescente dimensione di libertà ed uguaglianza in capo al singolo, si è avuta una svolta nella relazione medico- paziente, in base alla quale il medico informa il suo assistito sulla condizione clinica, in modo da promuovere la sua autonomia all’interno del rapporto terapeutico.[17] Da ciò si è valorizzato un principio fondamentale del rapporto di cura: il consenso informato. Esso diventa indispensabile in quanto espressione dell’autodeterminazione della persona per cui, se gli si negasse rilevanza giuridica, si affiderebbe ad un estraneo la disponibilità di diritti personalissimi come quello della libertà e dell’integrità fisica. Il rapporto tra medico e paziente deve essere un rapporto di cooperazione tra due soggetti in cui in caso di contrasto tra le due volontà deve riconoscersi sempre, ove possibile, prevalenza delle volontà del malato. La decisione di sottoporsi o meno ad un determinato trattamento sanitario rappresenta una decisione che riguarda la dimensione valoriale e morale del singolo. Il consenso non può mai ritenersi presunto dovendo necessariamente costituire l’oggetto di una espressa manifestazione di volontà e deve essere continuato, nel senso che deve essere richiesto per ogni singolo atto diagnostico idoneo a cagionare rischi.[18] Per ciò che concerne la forma di raccolta e manifestazione del consenso non vi sono forme particolari richieste, con la rilevante conseguenza che in qualsiasi modo esso sia raccolto e manifestato, in presenza dei prerequisiti di libertà e consapevolezza della scelta, deve essere ritenuto valido ed efficace. Il consenso deve essere, quindi, libero da inganno, errore o coartazione.[19] Il principio del consenso informato ha trovato un esplicito riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, dove all’art.3 afferma che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere rispettato “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”. La Carta ha fatto proprio il principio in base al quale ogni persona capace di intendere e di volere può far valere il proprio diritto a che un trattamento sanitario possa essere iniziato o continuato soltanto con il proprio consenso. La nostra Costituzione è stata in grado di accogliere le nuove istanze di tutela della persona, grazie alla clausola dell’art.2, ma anche grazie all’art.13 dove afferma che “la libertà personale è inviolabile” e grazie all’art.32, nella parte in cui afferma che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.[20] Tutto ciò è stato confermato successivamente dalla Corte Costituzionale, che in una sentenza del 2008 ha consacrato il principio del consenso informato come sintesi del diritto all’autodeterminazione e alla salute. [21] Il consenso informato costituisce il fondamento del sistema sanitario, senza di esso l’intervento del medico è sicuramente illecito anche se svolto nell’interesse del paziente. Sul tema è intervenuta la Cassazione la quale, con una sentenza del 2018, ha riconosciuto un’autonoma risarcibilità del danno per la mancata acquisizione del consenso informato. La Corte ha sottolineato come il personale medico abbia due importanti funzioni: non solo quella di intervenire quando richiestogli, ma anche e soprattutto di informare il paziente circa la natura dell’intervento, i rischi, i costi e i possibili risultati. Da un lato abbiamo, dunque, il trattamento terapeutico che ha riguardo alla tutela del diritto fondamentale alla salute; dall’altro il consenso informato che attiene al fondamentale diritto della libera e consapevole autodeterminazione del paziente. In ragione di ciò “la mancata acquisizione del consenso informato del paziente costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento medico, sicchè in ragione della diversità dei diritti pregiudicati nelle due diverse ipotesi dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per l’errata esecuzione di quest’ultimo.”[22] Il vuoto normativo che ha caratterizzato la nostra Carta in relazione al tema del consenso informato, è stato colmato non solo dalla citata giurisprudenza, ma anche grazie all’attività del Parlamento che ha introdotto una legge apposita: stiamo parlando della legge n.219 del 2017, titolata Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. La relazione tra medico e paziente è definita dall’art.1 di suddetta legge come un rapporto di vera e propria fiducia, dove il consenso ha lo scopo di favorire l’incontro tra “l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”. L’art.1 continua affermando che nella relazione di cura sono importanti anche i professionisti sanitari e i familiari, i quali forniscono un supporto professionale e morale al paziente. Elemento fondamentale della nuova legge è il diritto ad essere informato che spetta a ciascun paziente, un’informazione che riguarda le proprie condizioni di salute, la diagnosi, i benefici, i rischi e le possibili alternative. Rispettivamente ad ogni soggetto è riconosciuto il diritto di rifiutare la comunicazione di queste informazioni o di indicare una persona di fiducia che possa riceverle ed esprimere consenso in vece del paziente, secondo la sua volontà; in tal modo è ulteriormente salvaguardata l’autodeterminazione del paziente il quale viene lasciato libero di decidere in autonomia se e quando ricevere informazioni sulla propria condizione.[23] Un elemento importante introdotto dalla legge n.219 riguarda la pianificazione delle cure, cioè un percorso che riguarda la persona ad ogni età e in relazione ad ogni stato di salute, in modo da assicurare che l’individuo possa ricevere le cure più coerenti con i propri valori. Questo aspetto è nettamente diverso da ciò che risultano essere le disposizioni anticipate di trattamento, soprattutto in relazione al fatto che queste ultime prescindono dallo stato attuale di salute del paziente consentendogli di esprimere le proprie volontà pro futuro; la pianificazione, invece, si riferisce ad una situazione in parte già in atto.[24] Particolarmente delicata risulta essere la posizione del minore e l’assunzione del suo consenso informato. Si distinguono a tal proposito due situazioni: presunzione dell’esistenza della capacità di discernimento ed impossibilità di ritenere presente la capacità di discernimento. Nel primo caso il codice civile, all’art.316, prevede che l’adolescente venga sentito dall’autorità giudiziaria quando “vi sia contrasto su questioni di particolare importanza”. Si ritiene, dunque, corretto informare il minore capace di discernimento del significato delle vaccinazioni che debbono eseguirsi, operando per far maturare in lui un consenso informato. Nel secondo caso, il problema si ricollega all’esercizio della potestà parentale.[25] Non è prospettabile che si possa privare un incapace, soltanto per il fatto di essere tale, del diritto di decidere sui trattamenti sanitari che lo riguardano. Si ritiene che il consenso in tal caso debba essere prestato dal legale rappresentante dell’incapace di agire, fermo restando che un coinvolgimento del minore capace di discernimento è importante. Egli, infatti, deve essere informato su ciò che saranno i trattamenti a lui rivolti; informazione che deve provenire tanto dai suoi genitori, in ossequio all’esercizio della potestà, quanto dal medico.[26] Della sua opinione ne sarà tenuto conto come fattore decisivo in modo progressivamente crescente con la sua età e la sua effettiva maturità.
2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale sul diritto alla salute
Il diritto in esame è stato oggetto di numerose interpretazioni giurisprudenziali, atte a completarne la disciplina e a meglio definire i suoi caratteri essenziali.
Una delle prime importanti sentenze della Corte costituzionale sul tema è la n.112 del 1975, con la quale essa ha affermato il carattere programmatico dell’art.32 Cost. che affida a leggi future il compito di provvedere ai bisogni sanitari della società attraverso l’organizzazione delle prestazioni e il riparto dei relativi costi tra comunità e assistiti, ponendo attenzione alle condizioni economiche di questi ultimi. La concezione della Corte era ancora legata alla natura programmatica della norma in esame; è solo successivamente che si è fatta strada la caratteristica “precettiva” della stessa. Pronunce altrettanto importanti sono quelle relative al diritto alle cure, diritto alla scelta del medico e del luogo di cura e il diritto a rifiutare le cure. Per ciò che concerne il primo aspetto – quello relativo al diritto di essere curato – già dal 1977 con la sentenza 103 la Corte si era espressa in un’accezione ampia di tale profilo: “l’infermo assurge alla dignità di legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno e incondizionato diritto, e che gli viene reso, in adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà umana e sociale, da apparati di personale e di attrezzature a ciò strumentalmente preordinati e che in ciò trovano la loro stessa ragion d’essere”. Con la sentenza n.88 del 1979[27], la Corte si è focalizzata poi sulla questione relativa all’operatività del diritto alla salute. Precedentemente si sosteneva che il diritto in questione fosse operante solo nei rapporti tra cittadini e Stato; la sentenza del 1979, invece, ha individuato “l’altra faccia del diritto alla salute”[28], consistente nella possibilità di operare anche nei rapporti tra privati cittadini. Con tale pronuncia si ebbe l’inequivocabile riconoscimento del diritto alla salute come un “diritto primario ed assoluto da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione”, riconoscimento destinato ad essere ribadito e precisato dalla storica sentenza n.184 del 1986 in tema di danno biologico. [29] Si precisa che il risarcimento presuppone una lesione del bene salute di una persona che resta in vita con menomazioni invalidanti e non si estende alla lesione dell’integrità fisica con esito letale.[30] Nella sentenza esaminata il diritto al risarcimento è fondato non sull’art.2059 c.c[31], ma sull’art.2043[32] il quale tratta della responsabilità aquiliana per danno ingiusto. Secondo la giurisprudenza della Corte è, dunque, “l’ingiustizia” del fatto menomativo dell’integrità psico-fisica il fondamento del risarcimento del danno biologico non tanto, invece, l’esistenza in concreto di conseguenze dannose. La risarcibilità deriva da una violazione della primaria norma desunta dal combinato disposto degli artt.32 Cost. e 2043 c.c. e dalla presunta lesione del bene giuridico salute, a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito che ne sia conseguenza immediata e diretta. Tale orientamento fu ribadito con il riconoscimento del cosiddetto “danno esistenziale” con la sentenza n.233 del 2003, la quale rigettava una questione di legittimità costituzionale dell’art.2059 c.c. Con tale pronuncia la Corte si è preoccupata di definire non solo il cosiddetto danno “esistenziale” come danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, ma ha fornito anche una definizione di “danno morale soggettivo”, come turbamento dello stato d’animo della vittima; per finire, una definizione è stata data anche al “danno biologico”, il quale è considerato quale lesione dell’interesse all’integrità psichica e fisica della persona. [33]
Con sentenza n.17387 la Corte ha peraltro riconosciuto il diritto a ricevere cure gratuite nelle strutture pubbliche ed in quelle private convenzionate con diritto al rimborso da parte del SSN; aggiu aggiungendo con sentenza n. 99288 che il diritto di cui sopra è riconosciuto anche per quelle strutture private non convenzionate quando siano le sole a disporre dell’attrezzatura necessaria.
La sentenza n.455 del 1990 ha portato il diritto alla salute ad esser definito quale diritto “finanziariamente condizionato”.[34] Con tale espressione si sono individuate situazioni che si connettono all’aspettativa di prestazioni erogate dal potere pubblico, che nella sua azione di garanzia è limitato da vincoli economici. Il legislatore nel momento in cui destina risorse e mezzi per il settore sanitario, è tenuto ad operare un bilanciamento con altri interessi protetti dalla Costituzione. Le finanze pubbliche non sono illimitate, di conseguenza, i fondi relativi alla sanità devono essere distribuiti secondo i principi stabiliti dalla legge. La Corte si preoccupa di individuare anche un altro limite, per così dire, invalicabile a fronte del quale il bilanciamento dei valori costituzionali e l’esigenza di mantenere l’equilibrio della finanza pubblica devono cedere rispetto al preponderante peso del diritto alla salute connesso all’inviolabile dignità della persona umana in quanto “nucleo irriducibile”. Infatti, qualora le esigenze finanziarie spingessero il legislatore a comprimere “il nucleo essenziale del diritto connesso alla dignità della persona, ci si troverebbe di fronte a un esercizio irragionevole della discrezionalità legislativa”.[35]
La sentenza del 1990 è considerata il punto di avvio della giurisprudenza costituzionale sui diritti finanziariamente condizionati che ha trovato una rinnovata eco; si pensi alla sent. 24811 nella quale la Corte ha utilizzato per la prima volta, in modo esplicito, la locuzione “finanziariamente condizionato” in riferimento alle prestazioni sanitarie.
Particolarmente interessante è la sentenza n.252 del 2001, in tema di titolarità del diritto alla salute. Come punto di partenza è bene sottolineare la necessità, anche nei confronti dello straniero, di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana previsti da norme interne o da consuetudini e convenzioni internazionali. [36]
La Corte si è pronunciata nel senso di non differenziare la posizione dello straniero rispetto a quella del cittadino, facendo leva sul dato testuale dell’art.32, il quale espressamente parla di “individuo” e non di “cittadino italiano” , per cui risulta indubitabile che la Carta Fondamentale riconosca questo diritto inviolabile anche allo straniero: “anche lo straniero presente irregolarmente nello Stato ha diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili ed urgenti trattandosi di un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito”. Esistono, dunque, garanzie costituzionali che valgono per tutti, cittadini e stranieri, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. La circostanza che l’art.32 riconosca la titolarità del diritto alla salute ad ogni individuo implica un’estensione della relativa protezione costituzionale a favore di tutte le persone, a prescindere dalla loro appartenenza razziale o dalla loro afferenza politica o nazionale. Questa sentenza risulta essere molto importante soprattutto alla luce delle recenti legislazioni che sembrano voler irrigidire il livello di tutela degli stranieri.[37]
Le pronunce fin qui analizzate hanno aggiunto poco per volta nuovi tasselli al controverso tema del diritto alla salute e rappresentano solo una minima parte di quello che è il panorama complessivo dell’attività della Corte sul tema analizzato; un tema che non manca di essere tutt’ora al centro dell’attenzione, suscitando dibattiti e sempre nuove pronunce dei giudici.
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Note
[1] D. Morana, La salute come diritto costituzionale. Lezioni, Seconda edizione, Torino, Giappichelli, 2013, p. 141.
[2] G. Majani, Introduzione alla psicologia della salute, Erickson, 2013, p. 39
[3] Si veda, ad es., l’art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. […]”; o ancora, l’art. 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
[4] Si vedano in proposito gli artt. 5 c.c (“atti di disposizione del proprio corpo”), 581 c.p. (“percosse”), 582 c.p. (“lesioni”).
[5] A. Simoncini, E. Longo, in Commentario alla Costituzione, Rapporti etico-sociali, art.32, R. Bifulco , A. Celotto M. Olivetti (a cura di), Torino, 2006, pp. 659-660.
[6] G. Gemma, Sterilizzazione e diritti di libertà, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1977, pp.254 ss.
[7] A. De Cupis, Integrità fisica, in Enc. Giur., XVII, Roma, 1989, pp. 1-2.
[8] S. Barbareschi, Tecniche argomentative della Corte Costituzionale e tutela dei diritti sociali condizionati. Riflessioni a partire dal diritto alla salute, in federalismi.it, fasc. n. 13, 2018, p. 10.
[9] Si veda la sentenza della C. Cost. 21894 dove si afferma l’importanza della tutela dell’altrui salute come elemento che giustifica la sottoposizione a trattamenti obbligatori.
[10] Art.13 Costituzione: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
[11] A. Pace, Libertà personale (dir.cost.), in Enc. Dir., XXIV, Milano, 1974, pp. 296 ss
[12] A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Vol. 56, Milano, Giuffrè, 1971, pp.98 ss
[13] D. Vincenzi Amato, in Commentario della Costituzione (a cura di) Giuseppe Branca, Rapporti etico-sociali, artt. 29-34, Bologna, Zanichelli, 1976, pp.169-170.
[14] C. Casonato – F. Cembrani, Il rapporto terapeutico nell’orizzonte del diritto, in L. Lenti – E. Palermo Fabris – P. Zatti (a cura di), Trattato di biodiritto. I diritti in medicina, Milano, Giuffrè, 2011, p.41.
[15] Già nelle civiltà mesopotamiche il dialogo con il malato era lo strumento principale del medico per comprendere se la malattia fosse stata causata dalle forze occulte de demoni in ragione delle azioni compiute dal malato nel corso della sua vita. In G. Corbellini, Breve storia delle idee di salute e malattia, Carocci, 2004, p. 35
[16] P. Donatelli, Paternalismo, in E. Lecaldano (a cura di), Dizionario di bioetica, Roma, Laterza, 2002, p.212.
[17] M. Fasan, Consenso informato e rapporto di cura: una nuova centralità per il paziente alla luce della legge 22 dicembre 2017, fasc. n.219, in www.giurisprudenzapenale.com, pp. 3-5.
[18] G. Baldini, La legge 21917 tra molte luci e qualche ombra, in Riv. Dirittifondamentali.it, fasc.1, 2019, p. 7.
[19] S. Marzot, Il consenso nel trattamento terapeutico. Il testamento biologico, in Sanità pubblica e privata, fasc. 1, 2018, p. 41.
[20] M. Meli, Dignità della persona e diritto all’autodeterminazione: l’incidenza del diritto sovranazionale sul diritto privato, in Le Nuove leggi civili commentate, fasc.1, 2019, pp. 21-22.
[21] Corte cost. sent. n.43808, in www.biodiritto.org.
[22] Cass. Civ., sez. III, sent. 25 settembre 2018 – 25 giugno 2019, n.16892, in www.dirittifondamentali.it, pp. 3-4.
[23] S. Marzot, op. cit. p. 43.
[24]P. Donatelli, op. cit., p. 200.
[25] A. Bompiani, Profilo etico – giuridico delle vaccinazioni obbligatorie e facoltative, in Medicina e Morale, fasc. n.591, pp. 770-772.
[26] L. Lenti, Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, in Trattato di biodiritto, I diritti in medicina, L. Lenti – E. Fabris – P. Zatti (a cura di), Milano, Giuffrè editore, 2011, p. 423.
[27] Corte cost., sent. n.8879 “Il bene della salute è direttamente tutelato dalla Costituzione non solo come interesse fondamentale della collettività, ma anche come diritto fondamentale dell’individuo, pienamente operante nei rapporti fra privati e risarcibile indipendentemente da qualsiasi riflesso sull’attitudine del danneggiato a produrre reddito.”
[28] A. Anzon, L’altra faccia del diritto alla salute, in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1979, p.656 ss.
[29] Corte Cost. sent. n.18486 “per danno biologico si intende quel danno derivante dalla lesione del bene salute a prescindere da qualsiasi conseguenza di ordine patrimoniale prodotta nella sfera giuridica del danneggiato.”
[30] Cfr. Corte cost. sent. n.37294
[31] Art.2059 c.c “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.
[32]Art.2043 c.c “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
[33] A. Mandetta, Il danno morale: la giurisprudenza di merito e i recenti interventi legislativi, in Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, 2013, p.1.
[34] S. Barbareschi, Tecniche argomentative della Corte Costituzionale e tutela dei diritti sociali condizionati. Riflessioni a partire dal diritto alla salute, in federalismi.it, fasc. n.13, 2018, pp. 3-4
[35] Cfr. Corte Cost. sent. 30494, punto 5 del considerato in diritto.
[36] Art. 2 comma 1, DLgs 28698
[37] D. Fiumicelli, L’integrazione degli stranieri extracomunitari alla luce delle più recenti decisioni della Corte Costituzionale, in federalismi.it, fasc. n. 18, 2013, pp. 1-5.
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