Il decreto di revoca dell’amministratore è un provvedimento di volontaria giurisdizione con la conseguenza che il ricorso alla Suprema corte è ammissibile solo in relazione alle decisioni sul pagamento delle spese processuali
riferimenti normativi: art 64 disp. att. c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. VI, Sentenza n. 15706 del 23/6/2017
La vicenda
Una condomina presentava un ricorso per la revoca dell’amministratore che riteneva colpevole di una grave irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12 (mancata redazione del rendiconto per 4 anni). Il giudice di primo grado riteneva fondato il ricorso. La Corte d’Appello rigettava con decreto il reclamo dell’amministratore; in particolare i giudici di secondo grado confermavano la sussistenza delle denunciate gravi irregolarità gestionali per la mancata redazione del rendiconto per quattro anni ed aveva perciò condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali del giudizio di reclamo.
Secondo l’amministratore – che ricorreva in Cassazione – il provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, avendo natura di volontaria giurisdizione, non poteva contenere alcuna statuizione sulle spese.
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La questione
Nei confronti del decreto di revoca dell’amministratore è ammissibile il ricorso alla Suprema Corte almeno in relazione alle decisioni sul pagamento delle spese processuali?
La soluzione
La Cassazione ha dato torto all’amministratore revocato. In particolare i giudici supremi hanno ricordato che è ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo. Secondo gli stessi giudici supremi, è del tutto conforme all’orientamento interpretativo di questa Corte, consolidatosi sulla base del principio enunciato da Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957, il principio secondo cui il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio è soggetto al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c., norma che trova applicazione anche ai provvedimenti di natura camerale e non contenziosa.
Le riflessioni conclusive
Il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio e si conclude con decreto reclamabile alla Corte d’Appello (art. 64 disp. att. c.p.c.). Tale procedimento si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria (in forma di decreto motivato reclamabile avanti alla Corte di Appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o comunicazione) in quanto non incide su situazioni sostanziali di diritti o “status” (Cass. civ., Sez. VI, 23/06/2017, n. 15706; Cass. civ., Sez. U, 29/10/2004, n. 20957). Il decreto si inserisce, quindi, nell’ambito delle misure cautelari e provvisorie, che, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non statuiscono su di essi a definizione di un conflitto tra parti contrapposte, né hanno attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale.
Lo stesso decreto può essere revocato o modificato dalla stessa Corte d’Appello per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: Cass. civ., sez. VI, 18 marzo 2019, n. 7623; Cass. civ., sez. I, 01/03/1983, n. 1540), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (Cass. civ., sez. I, 06/11/2006, n. 23673).
Rimane fermo, però, che il decreto con cui la Corte d’Appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost.; tali principi non contrastano con l’art. 13 CEDU, il quale, nello stabilire che ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione siano violati ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, non implica affatto che gli Stati debbano sempre ed in ogni caso accordare la tutela giurisdizionale fino al livello del rimedio di legittimità (Cass. civ., sez. VI, 27/02/2012, n. 2986).
Non è preclusa, però, la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, del diritto su cui il provvedimento incide, tutela che, per l’amministratore eventualmente revocato, non potrà essere in forma specifica, ma soltanto risarcitoria o per equivalente (non esistendo un diritto dell’amministratore alla stabilità dell’incarico, attesa la revocabilità in ogni tempo, in base all’art. 1129, secondo comma, c.c.).
Si consideri, però, che la diversità dell’oggetto e delle finalità del procedimento camerale e di quello ordinario, unitamente alla diversità delle rispettive “causae petendi”, così come impedisce di attribuire efficacia vincolante al provvedimento camerale nel giudizio ordinario, del pari non consente di ritenere che il giudizio ordinario si risolva in un sindacato del provvedimento camerale.
In ogni caso, per quanto riguarda le spese, il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento previsto dall’art. 91 c.p.c., i cui effetti devono esaurirsi nel rapporto tra condomino istante e amministratore (Cass. civ., sez. VI, 21/02/2020, n. 4696).
L’art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a sé, dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi, infatti, a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo.
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